L’APPLICAZIONE DELLE VIBRAZIONI IN MEDICINA RIABILITATIVA
Facoltà di Scienze dello Sport dell’Università di Lione (Francia)
Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie di Torino (Italia)
Preparatore atletico F.C. Internazionale (Italia)
(New Athletic Research in Science Sport, 2007)
Abstract – Gli effetti della somministrazione controllata di vibrazioni sul corpo umano sono noti sin dal 1949, data del primo lavoro scientifico in quest’ambito specifico. Tuttavia, solamente quaranta anni più tardi fu scientificamente riconosciuto il valore terapeutico delle vibrazioni per ciò che riguarda il loro effetto osteogenico, che giustifica la loro applicazione in medicina geriatrica in senso generale ed in alcune patologie specifiche come l’osteoporosi. Inoltre, recentemente gli effetti fisiologici indotti dalle vibrazioni, sono stati sfruttati per indurre particolari adattamenti, in termini di aumento della forza contrattile nei suoi vari aspetti, anche in campo sportivo. Un ulteriore, anche se non molto conosciuto, ambito terapeutico delle vibrazioni, è costituito dalla riabilitazione funzionale. Lo scopo di questo lavoro è quello di, dopo avere ricordato i principi neurofisiologici del lavoro vibratorio, illustrare alcuni protocolli riabilitativi basati sulla somministrazione controllata di vibrazioni.
INTRODUZIONE
Praticamente ogni giorno e probabilmente, per lo meno nella maggior parte dei casi, senza nemmeno rendercene conto, il nostro corpo è sottoposto a vibrazioni di differente tipo; basti pensare a quando viaggiamo in tram, in treno, oppure in automobile, e questo solamente per citare i casi più ordinari. Molte altre categorie di individui invece, sottopongono il loro corpo a vibrazioni di ben altro genere, come quelle causate da macchinari quali i veicoli pesanti, i martelli pneumatici, oppure molti altri utensili manuali. Esattamente come per il caso del nostro apparato acustico, che può captare suoni piacevoli oppure estremamente sgradevoli, il nostro corpo può essere sottoposto a vibrazioni del tutto gradevoli, come ad esempio il leggero beccheggio od il piacevole rollio di una barca, oppure decisamente spiacevoli, come nel caso in cui si percorresse una strada dissestata con un mezzo scarsamente ammortizzato. Da un punto di vista meccanico, possiamo affermare che un corpo vibra quando quest’ultimo descrive un movimento di tipo oscillatorio intorno ad una posizione di riferimento. Se prendiamo come esempio un modello meccanico costituito da un corpo di massa m, che sia vincolato ad una molla la cui costante elastica viene indicata con K e lo poniamo in oscillazione, potremo osservare come la massa m si muova con regolarità nei confronti della posizione di equilibrio statico.
Inoltre, potremo notare come il movimento osservabile abbia un carattere periodico: in altre parole, ad intervalli di tempo regolari, si riprodurrà eguale a se stesso (Figura 1).
Figura 1 – In un sistema costituito da una massa vincolata ad una molla e posto in oscillazione si produrrà un movimento regolare di carattere periodico
In Figura 1 è rappresentata quella che può essere definita come la più semplice delle funzioni periodiche, ossia il “moto armonico”. L’andamento in funzione del tempo di questa funzione è rappresentato da un onda di tipo sinusoidale descrivibile dalla sua ampiezza D e dal suo periodo T.
Il numero dei cicli completi compiuti durante l’unità di tempo, ossia durante un secondo, è detto frequenza, la quale viene misurata in Hertz (Hz).
La frequenza è legata matematicamente al periodo T attraverso la seguente relazione:
f = 1/T
dove f è la frequenza espressa in Hz e T il periodo espresso in secondi.
Per cui ad esempio ad un periodo di 0.04 secondi corrisponderà un frequenza di 25 Hz.
Consideriamo il sistema meccanico massa-molla, descritto in Figura 1 e poniamolo in oscillazione avendo come riferimento un punto x posto sulla massa m. Nel momento in cui il sistema oscilla il punto x si sposta di un certo valore (misurabile in metri, millimetri, oppure micron nel caso di spostamenti di ridottissima ampiezza). Questo spostamento viene compiuto in un certo tempo, da questo consegue che si possa considerare la sua dinamica anche in termini di velocità e di accelerazione (Figura 2). È importante sottolineare che l’accelerazione costituisce uno dei parametri cruciali dell’allenamento vibratorio (AV).
Figura 2 – In un sistema in oscillazione sono misurabili, oltre che la frequenza e l’ampiezza dell’oscillazione,i parametri di velocità e di accelerazione
L’esposizione alle vibrazioni, come vedremo in seguito, può avere serie ripercussioni sull’organismo umano ed animale, non a caso esistono delle normative ben precise a questo proposito nell’ambito della medicina del lavoro; tuttavia il punto cruciale concernente la positività o la negatività dell’esposizione alle vibrazioni è costituito dalla loro frequenza ed ampiezza nonché dalla durata dell’esposizione stessa. I risultati degli studi scientifici in proposito, indicano come un periodo d’esposizione ridotto ed una frequenza di vibrazione dell’ordine di 20-30 Hz non solo non comportino alcun effetto negativo a livello organico, ma come, al contrario, possano indurre un positivo adattamento neuromuscolare (Kerschan-Shindl e coll., 2001).
CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE E RELATIVE
Anche l’AV può presentare alcuni effetti indesiderati o, quantomeno, il suo utilizzo richiede, in presenza di alcuni tipi di patologie, alcune accortezze particolari. Le patologie di tipo vascolare costituiscono la principale controindicazione all’utilizzo della metodica vibratoria. Per questo motivo le varici, soprattutto se in fase avanzata, costituiscono di per sé una controindicazione ben precisa all’AV. Anche la presenza di teleangectasie adiacenti ai distretti muscolari che vengono sollecitati dalle vibrazioni, sconsigliano l’utilizzo di tale metodica o, quantomeno, pongono dei limiti per quello che riguarda i parametri della seduta di lavoro sia in termini d’intensità, che di volume di quest’ultima. Per altri tipi di situazione, occorre comunque discriminare tra quella che potremmo definire con il termine di “controindicazione di tipo transitorio”, e quella definibile come “controindicazione di tipo permanente”. Nell’ambito delle cosiddette “controindicazioni transitorie”, possiamo annoverare l’immediato periodo post-traumatico e/o post-chirurgico, algie di diversa natura, come ad esempio le varie forme di cefalea, lombalgie e cervicalgie, soprattutto se in fase acuta. Per quello che riguarda invece le “controindicazioni di tipo permanente”, possiamo ricordare le ernie del disco, la presenza di mezzi di osteosintesi, gravi forme di artrosi, scoliosi gravi (oltre i 20° Cobb), alterazioni della conduzione neuromuscolare accertate sia clinicamente che strumentalmente , emorroidi, coliti severe, patologie a carico dell’apparato riproduttivo, prostatite, forme tumorali, gravidanza, epilessia, spasticità. Tutte le patologie a carico dell’apparato visivo costituiscono una controindicazione primaria all’utilizzo delle vibrazioni. Anche un importante grado di varismo o valgismo a livello dell’articolazione del ginocchio, possono costituire controindicazione all’AV, in quanto nel primo caso si verificherebbe un eccessivo carico funzionale a livello del compartimento mediale del ginocchio, mentre nel secondo, il sovraccarico funzionale sarebbe a livello del compartimento laterale. Ricordiamo ancora che l’adozione della spirale anticoncezionale, sconsiglia l’utilizzo della pedana vibratoria.
È importante quindi effettuare una distinzione netta tra quella che può essere definita come una controindicazione transitoria ed una controindicazione invece definibile come permanente: per controindicazione transitoria si deve pertanto intendere un’incompatibilità nei confronti dell’esposizione alle vibrazioni, dettata da una situazione temporanea e reversibile. Per controindicazione permanente, si intende invece una situazione di tipo stabile, tale da sconsigliare definitivamente l’utilizzo della terapia vibratoria. Sempre in quest’ambito è necessario distinguere tra “incompatibilità” ed “intolleranza” nei confronti dell’AV.
Con il termine di incompatibilità si intende la presenza di una situazione fisiologica d base che comporti delle controindicazioni, che come già detto possono essere di tipo transitorio oppure permanente, nei confronti dell’AV. Per intolleranza si intende, invece, un’attitudine negativa del soggetto nei confronti dell’AV, generalmente dettata da problemi di tipo sostanzialmente psicologico, che fanno vivere, al soggetto stesso, l’esposizione alle vibrazioni come un evento sgradito e fastidioso e comunque da evitare. Occorre comunque sottolineare che, in linea generale, frequenze che comportino picchi accelerativi al di sopra di 130 m.s-2, ottenibili con frequenze superiori a 40 HZ con ampiezza hight, sono comunque da considerarsi come aggressive e potenzialmente lesive. Ogni organo e tessuto possiede infatti una propria frequenza di risonanza, che nel caso di un suo raggiungimento, può scatenare una sintomatologia ben precisa e comunque generalmente reversibile al cessare dell’esposizione vibratoria. Bisogna però ricordare che le frequenze di risonanza generalmente riportate, non coincidono con quelle impostate sull’apparecchiatura, ma piuttosto con l’effettiva frequenza che raggiungono i tessuti e gli organi bersaglio stessi. La frequenza che raggiunge l’organo od il tessuto interessato, rappresenta la frequenza di arrivo effettiva, che abbia pertanto subito i fenomeni di smorzamento incontrati durante il suo percorso attraverso i vari tessuti biologici; per questo motivo è difficilmente quantificabile con precisione.
Riportiamo di seguito a titolo di esempio, una tabella nella quale sono brevemente elencate le varie sintomatologie associate al raggiungimento della frequenza di risonanza nei diversi organi e tessuti umani.
Apparato respiratorio | 1-4 Hz | Dispnea |
Apparato visivo (fissazione) | 20-40 Hz | Diminuzione delle capacità di fissazione dell’immagine |
Apparato visivo (acuità) | 1-10 Hz | Riduzione dell’acuità visiva |
Orecchio interno | 4-8 Hz | Turbe dell’equilibrio |
Cuore | 4-8 Hz | Algie precordiali |
Colonna vertebrale | 20-30 Hz | Dolore al tratto cervicale e lombare |
Encefalo | 4 Hz | Diminuzione delle capacità di attenzione |
Tabella 1 – Sintomatologia associabile all’esposizione alle vibrazioni dei vari organi interni
NEUROFISIOLOGIA DELLA PERCEZIONE VIBRATORIA
La percezione vibratoria costituisce di fatto una sensibilità di tipo meccanico e, per questo motivo, coinvolge delle strutture recettoriali sensibili allo stimolo meccanico, ossia i meccano-recettori (Mouncastle e Rose, 1959). Da un punto di vista anatomico-strutturale, i meccano-recettori sono provvisti sia di fibre mielinizzate di diverso calibro, che di fibre amieliniche, e si ritrovano in diversi tipi di tessuto, come la cute, il tessuto muscolare, il periostio, le capsule ed i legamenti articolari. Nello specifico, i meccano-recettori muscolari, prendono parte ai fenomeni di risposta riflessa conseguenti allo stiramento dell’unità muscolo-tendinea. Questi tipi di meccano-recettori, costituiscono delle strutture altamente specializzate e vengono definiti con il termine di “terminazioni anulo-spirali” dei fusi neuromuscolari. Da un punto di vista funzionale sono connessi a fibre mielinizzate appartenenti al gruppo Ia di Lloyd; queste ultime mostrano una velocità di conduzione elevata che si aggira attorno ai 100 m.s-1 e rispondono selettivamente a stimoli di tipo vibratorio dell’ordine di circa 150 Hz (Hagbarth, 1973). Inoltre, a livello cutaneo, nell’uomo sono identificabili, mediante tecnica microneurografica, altri quattro tipi di meccano-recettori, che possono essere classificati in base all’adattamento ed alle dimensioni del campo recettoriale (Johansson e Valbo, 1983). Tuttavia, non tutti i quattro tipi di recettori identificati si dimostrano sensibili alla percezione vibratoria, ed anche quelli che tra questi mostrano di essere recettivi nei confronti dello stimolo vibratorio, fanno registrare delle differenze nella risposta dettate dalla frequenza dello stimolo vibratorio stesso (Mountcastle e coll.,1969). Mountcastle e coll. (1969), in seguito a studi effettuati sull’animale, hanno classificato le unità recettoriali deputate alla ricezione sensitiva dello stimolo tremore-vibrazione in tre classi, che sono tra loro distinte in base al tipo di terminazione nervosa, all’area del campo d’azione recettoriale, alla proprietà adattive ed alla sensibilità dinamica. Le tre classi di meccano-recettori così individuati sono:
- I meccano-recettori ad adattamento rapido, che risultano essere sensibili al movimento. Sono essenzialmente ritrovabili a livello del derma e corrispondono ai corpuscoli di Meissner, altrimenti denominati FA-1 (Fast Adaptation-1).
- I meccano-recettori ad adattamento lento, sempre localizzati nel derma, corrispondono ai dischi di Merkel o SA-1 (Slow Adaptation-1). Mostrano recettività sia nei confronti del movimento, che nei confronti dell’intensità dello stimolo meccanico a cui sono sottoposti.
- I corpuscoli del Pacini o FA-2 (Fast Adaptation-2), localizzati nel tessuto sottocutaneo.
Studi condotti da Cosh (1953), sulla soglia percettiva vibratoria, prima e dopo anestesia cutanea, dimostrarono che la soglia recettoriale per la sensibilità vibratoria, si trova a livello sottocutaneo. Per questo motivo, i corpuscoli del Pacini, possono essere considerati a tutti gli effetti come i meccano-recettori maggiormente coinvolti nella percezione vibratoria. A conferma di quest’ipotesi, occorre sottolineare, come nell’individuo anziano si verifichi un’elevazione della soglia di percezione vibratoria concomitante ad una perdita dei corpuscoli del Pacini (Cauna e Mannan, 1958). Per quello che riguarda invece i meccano-recettori situati a livello del derma, sembrerebbe che quelli che possano ricoprire il ruolo maggiormente rilevante nell’ambito della percezione vibratoria, siano i corpuscoli di Messner, che però mostrano un’attivazione di tipo selettivo per gli stimoli vibratori di bassa frequenza, di valore compreso tra i 5 ed i 40 Hz (La Motte e Mountcastle, 1975). A questo proposito, occorre ricordare che la sensazione psicofisica a livello liminare, percepisce le vibrazioni di bassa frequenza, attorno ad un valore di 40 Hz, come una sensazione di tremore, altrimenti definita con il termine di “flutter” (Talbot e coll., 1968). Al contrario, per le vibrazioni di frequenza maggiormente elevata, dell’ordine di circa 100 Hz, viene percepito un senso di vibrazione vero e proprio. Per questo motivo, si può ragionevolmente addebitare la percezione dei flutter ai corpuscoli di Messner, la cui ricezione ottimale si trova appunto nel range compreso tra i 5 ed i 40 Hz, mentre la percezione dello stimolo vibratorio, sarebbe da addebitarsi essenzialmente ai corpuscoli del Pacini, che mostrano una frequenza vibratoria ottimale superiore ai 100 Hz, anche se, in verità, il loro range recettoriale spazia dai 90 ai 600 Hz (Loewenstein e Skalak, 1966).
I CAMBIAMENTI FISIOLOGICI INDOTTI DALL’AV
Recentemente molti studi testimoniano di come le vibrazioni inducano delle risposte adattive da parte dell’apparato neuromuscolare umano sia di tipo metabolico che meccanico. Da tempo è nota la correlazione esistente tra la specificità della disciplina sportiva praticata ed il profilo ormonale dell’atleta: atleti praticanti discipline di tipo esplosivo-balistico, come ad esempio gli sprinter, possiedono un alta concentrazione basale di testosterone (T) (Kraemer e coll., 1995; Bosco e coll, 1996). L’esercizio infatti è in grado d’indurre una significativa risposta ormonale, non solo in termini d’adattamento acuto all’esercizio stesso, ma anche sotto forma di riposta a lungo termine nei confronti di quest’ultimo (Inoue e coll., 1994; Viru, 1994; Kraemer e coll., 1996). Anche l’AV è in grado d’indurre simili risposte ormonali di tipo adattivo, specificatamente una seduta di AV provoca un aumento della concentrazione di T ed ormone somatotropo (GH) contestualmente ad una diminuzione della concentrazione di cortisolo (C) (Bosco e coll., 2000). L’aumento di T e GH è riconducibile all’azione dei metaborecettori muscolari (Kjaer, 1992), mentre la diminuzione del C è probabilmente da imputarsi ad un’insufficiente effetto stimolatorio del comando motorio centrale e del feedback nervoso a livello della muscolatura scheletrica (Knigge e Hays, 1963; Bosco e coll., 2000).
Sembrerebbe quindi che l’AV, se opportunamente reiterato, possa indurre degli adattamenti ormonali stabili che testimonierebbero di un altrettanto stabile adattamento, in termini migliorativi, della funzione neuromuscolare (Bosco e coll., 2000). Per ciò che riguarda l’aumento dei livelli di GH indotto dall’AV, si può avanzare l’ipotesi che un piano di lavoro basato sulle AV possa indurre un forte effetto lipolitico, indotto appunto dal massiccio aumento di GH (Kraemer e coll., 1995).
Tra gli altri ormoni la cui secrezione viene fortemente stimolata dall’AV, dobbiamo ricordare, in primo luogo, la serotonina (5-Idrossitriptamina), un’amina biogena derivata dalla decarbossilazione del 5-idrossitriptofano. La serotonina viene prodotta dalle cellule enterocromaffini della mucosa intestinale ed è presente nel sistema nervoso, nella muscolatura liscia e nelle piastrine del sangue. È un potente vasocostrittore locale e possiede un effetto ipotensivo generale, inoltre svolge un ruolo importante nella emostasi, stimolando la riparazione dei vasi lesi. L’AV stimola inoltre la produzione di neurotrofine, una famiglia di proteine, a cui appartiene anche l’NGF, che agiscono regolando la morte cellulare naturale dei neuroni che si verifica durante lo sviluppo. Le neurotrofine sono inoltre capaci di stimolare, in vitro, la sopravvivenza di distinte popolazioni di neuroni. Anche le endorfine, neuropeptidi oppioidi che mimano l’azione analgesica e gli effetti sul comportamento propri della morfina (azione morfino-simile), vengono fortemente stimolati dall’esposizione alle vibrazioni. In ultimo dobbiamo ricordare come l’AV stimoli la secrezione di IGF-I, o somatomedina C, che rappresenta uno dei due fattori di crescita polipeptidici (il secondo è rappresentato dall’IGF-II) ed è costituito da molecole formate da 70 aminoacidi, che presentano il 45% di omologia con l’insulina. Il ruolo fisiologico dell’IGF-I è quello di mediare l’azione dell’ormone della crescita, stimolando lo sviluppo scheletrico.
Un altro effetto provocato dalle vibrazioni meccaniche, applicate al ventre muscolare e/od alla struttura tendinea (10-200 hz), oppure all’intero corpo (1-30 Hz), è l’attivazione dei recettori dei fusi neuromuscolari (muscle spindle receptors), sia a livello del complesso muscolo-tendineo direttamente sollecitato, che dei gruppi muscolari adiacenti (Hagbarth e Eklund, 1985; Seidel, 1988). Questo tipo di risposta da parte del muscolo alla sollecitazione vibratoria viene definito con il termine di “riflesso tonico da vibrazione” (RTV) (Hagbarth e Eklund, 1966). È scientificamente ampiamente documentato il fatto che il RTV induca un aumento della forza contrattile dei gruppi muscolari coinvolti (Hagbarth e Eklund, 1966; Johnston e coll, 1970; Arcangel e coll., 1971; Armstrong e coll., 1987; Matyas e coll., 1986; Samuelson e coll., 1989; Bosco e coll., 2000).
Questo aumento della capacità contrattile del gruppo muscolare sottoposto a vibrazioni, si traduce in un evidente spostamento verso destra sia della relazione forza-velocità, che di quella forza-potenza (Figura 3), che vengono in tal modo fortemente influenzate positivamente (Bosco e coll., 1999). Questi cambiamenti nella risposta neuromuscolare sono da attribuirsi principalmente all’aumento dell’attività dei centri motori superiori (Milner-Brown e coll., 1975) ed al sostanziale miglioramento dei comandi nervosi che regolano la risposta neuromuscolare (Bosco e coll., 1998). In effetti, il complesso muscolotendineo sottoposto a vibrazione sopporta dei modesti, ma comunque significativi, cambiamenti della propria lunghezza, di tipo ritmico (Kerschan-Shindl e coll., 2001), che fanno si che l’AV sia sostanzialmente assimilabile ad un cadenzato susseguirsi di contrazioni concentriche ed eccentriche di piccola ampiezza (Rittweger e coll., 2001). Questo particolare comportamento meccanico potrebbe indurre una facilitazione nell’eccitabilità del riflesso spinale (Burke e coll, 1996).
In effetti, le posizioni statiche utilizzate che sono peraltro quelle maggiormente adottate nell’ambito dei programmi di AV, non sono, come erroneamente si potrebbe pensare, basate su contrazioni puramente isometriche ma bensì caratterizzate, come già accennato, da un susseguirsi di contrazioni ritmiche di piccola ampiezza. In questo tipo di situazione, la contrazione muscolare prodotta comporta, a sua volta, un allungamento del corpo tendineo. In sostanza si verifica un ritmico accorciamento muscolare, associato ad un contestuale allungamento tendineo. Sempre a questo proposito, alcuni Autori (Burke e coll., 1976) avanzano l’ipotesi che il RTV operi in modo predominante, se non esclusivo, attraverso gli a motoneuroni e non utilizzi gli stessi patterns corticali efferenti di cui si avvale il movimento volontario. Tuttavia, è anche possibile ipotizzare che il RTV, indotto dalle vibrazioni stesse, induca un aumento del reclutamento delle unità motorie tramite un attivazione dei fusi neuromuscolare ed i pattern di attivazione polisinaptici (De Gail e coll., 1966). Contestualmente e coerentemente a questo particolare adattamento neuromuscolare, l’AV provoca una diminuzione del rapporto intercorrente tra segnale mioelettrico di superficie e produzione di potenza, ossia della ratio EMG/P. Un decremento della ratio EMG/P indica verosimilmente un miglioramento nell’efficienza neuromuscolare (Bosco e coll., 2000). Un ultimo, ma non meno importante parametro fisiologico sul quale le vibrazioni possono influire è costituto dalla circolazione sanguigna, l’AV può infatti determinare una riduzione della viscosità del sangue ed un aumento della velocità media del flusso circolatorio (Kerschan e coll., 2001). Lo stimolo vibratorio, inoltre sarebbe in grado di attivare un ipertono simpatico che determina un effetto di tipo vasocostrittorio, derivante con molta probabilità dall’attività dei corpuscoli del Pacini in qualità di recettori sensitivi della branca afferente dell’arco riflesso responsabile del fenomeno della vasocostrizione (Kerschan e coll., 2001).
Figura 3 – L’aumento della capacità contrattile dei distretti muscolari sottoposto ad AV, si traduce in un sostanziale ed evidente spostamento verso destra sia della relazione forza-velocità (riquadro A), che di quella forza-potenza (riquadro B), che subiscono in tal modo un forte incremento positivo
LA QUANTITÀ TOTALE DI LAVORO OTTIMALE
Nell’ambito dell’AV, il tempo di esposizione alla vibrazione, corrisponde ovviamente alla quantità totale di lavoro alla quale il soggetto viene sottoposto. Esistono in quest’ambito delle regole di carattere generale alle quali è necessario attenersi onde evitare inutili rischi.
Per quello che riguarda la durata totale di una serie, quest’ultima non dovrebbe di norma superare i 60”. Tempi di esposizione superiori, non solo non apportano benefici migliorativi ma, al contrario, possono costituire una fonte di rischio per l’atleta. Anche la durata totale del tempo di esposizione di una singola seduta, dovrebbe essere abbastanza contenuta, in linea di massima non dovrebbe superare i 10′ totali. Tale valore, è infatti il valore medio dei protocolli di lavoro, che abbiano registrato dei risultati positivi ritrovabili in bibliografia, ed è pertanto ragionevole e razionale considerarlo come un valido termine di riferimento. In ultimo si consiglia di impostare inizialmente l’AV, mediante serie che non vadano al di là di un tempo di esposizione pari a 30” e di aumentare il tempo di lavoro solo dopo aver raggiunto un totale adattamento nei confronti del carico di lavoro.
LA TIPOLOGIA DEL LAVORO DA PROPORRE NELL’AMBITO DELL’AV
La tipologia del lavoro proponibile nell’ambito dell’AV è sostanzialmente suddivisibile in tre tipologie metodologiche:
- Il lavoro di tipo isometrico: si tratta di mantenere delle posizioni statiche, a carico corporeo o con l’utilizzo di sovraccarichi. Nel caso di aggiunta di un carico addizionale si raccomanda di non superare il 50% del peso corporeo e di utilizzare una frequenza di lavoro leggermente superiore a quella adottata per l’esecuzione dello stesso esercizio effettuato senza sovraccarico.
- Il lavoro dinamico: in questo caso il soggetto, generalmente utilizzando dei sovraccarichi, esegue dei veri e propri esercizi di muscolazione direttamente su pedana vibrante. Anche in questo caso si consiglia di adottare una frequenza di lavoro leggermente superiore.
- Il lavoro statico-dinamico: è un tipo di metodologia di lavoro nella quale, a fasi isometriche, seguono fasi dinamiche, concatenate tra loro in una sequenza biomeccanica ben precisa. Si tratta di un metodo di lavoro interessante, ma di livello piuttosto avanzato. Anche in questo caso è fortemente consigliato l’utilizzo di sovraccarichi e di frequenze di lavoro maggiormente elevate.
L’UTILIZZO DELLE VIBRAZIONI IN AMBITO RIABILITATIVO
Abbiamo già accennato al fatto di come, nel corso dell’esposizione alle vibrazioni, nell’ambito della modalità di lavoro isometrica, soprattutto nella fase iniziale, il muscolo contraendosi, provochi un suo leggero ma comunque effettivo accorciamento, al quale fa seguito un altrettanto leggero allungamento del complesso tendineo. Questa “strategia” biomeccanica, permette all’unità muscolo tendinea (UMT) di poter mantenere la posizione statica imposta. In effetti, questa staticità è, di fatto, solamente esteriore, dal momento che, all’interno del muscolo, si registra comunque un minimo scorrimento dei miofilamenti, associato ad un modesto accorciamento del ventre muscolare, oltre ad un allungamento del tendine. In ambito riabilitativo, è ormai noto l’effetto positivo della somministrazione di vibrazioni sulle capacità rigenerative del complesso muscolo tendineo (Falempin e In-Albon, 1999). Inoltre, ultimamente (Karnath e coll., 2000) è stato dimostrato come temporanei e transitori effetti positivi indotti dall’AV, a livello dell’UMT, possano essere comunque mantenuti nel tempo, grazie a fenomeni di memoria cellulare, inquadrabili nell’ambito della “short term memory”. Il fatto che si sia dimostrata l’effettiva possibilità di instaurare, grazie all’AV, un tipo di risposta adattativa a corto termine, giustifica l’avanzamento dell’ipotesi che, grazie alle caratteristiche di adattamento funzionale ed alla plasticità intrinseca del sistema neurale, attraverso un sistematico e razionale piano di lavoro vibratorio, si possa arrivare all’attivazione di una risposta di tipo “long term memory”. Soprattutto per quello che riguarda l’utilizzo dell’AV in ambito riabilitativo, non dobbiamo dimenticare come le UMT degli arti inferiori, durante la corsa, assorbano shock, dovuti all’impatto del piede con il suolo, che producono, frequenze di vibrazione comprese tra i 10 ed i 20 Hz (Nig e Wakeling, 2000). La completa restitutio ad integrum di un UMT, comporta quindi necessariamente un suo riadattamento funzionale allo stress vibratorio. Questo si rivela di importanza capitale nell’ambito della riabilitazione funzionale di alcuni complessi tendinei, come il tendine rotuleo ed il tendine di Achille che, nell’ambito della corsa, vengono particolarmente sollecitati dallo stress vibratorio. Presentiamo di seguito tre protocolli riabilitativi, a nostro avviso, particolarmente interessanti.
I primi due, riguardanti, la riabilitazione della tendinopatia rotulea e della sindrome degli ischiocrurali, sono stati messi a punto dal Dr. Jose Manuel Sanchez, del Centro di Alto Rendimento di Barcellona, che ringraziamo della gentile concessione. Il terzo, che peraltro persegue lo stesso tipo di razionale scientifico, è stato da noi messo a punto per la riabilitazione delle tendinopatie Achillee.
L’UTILIZZO DELLE VIBRAZIONI NELLA TERAPIA DEL DOLORE
L’effetto analgesico delle vibrazioni si basa sulla teoria del “gait control”, già enunciata da Melzack e Wall nel 1965, sui cui si fonda il razionale scientifico delle correnti di tipo TENS (Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation). Esattamente come nel caso dell’utilizzo delle TENS, anche le vibrazioni si mostrerebbero in grado di produrre una sorta di “barrage” afferente lungo le fibre mielinizzate di tipo Ia, di intensità tale da poter essere definito come un vero e proprio effetto di “busy line” (Bini e coll. 1984). Anche da un punto di vista clinico, oltre che sperimentale, sembrerebbe potere essere giustificato affermare che la vibrazione abbia un effetto neurofisiologico, di tipo però solamente segmentario. Questa affermazione è inoltre suffragabile sia dalla rapidità con la quale si registra l’effetto analgesico, che dal suo altrettanto rapido declino, fattori che testimonierebbero la “pura” inibizione segmentarla spinale, esercitata dalle vibrazioni, sulle afferenze Ia, per ciò che riguarda la trasmissione degli input nocicettivi (Ottoson e coll., 1981). Le vibrazioni, l’utilizzo del caldo e del freddo e le correnti elettriche, sono, in letteratura, i metodi maggiormente citati come mezzi di stimolazione periferica a scopo antalgico (Procacci e Maresca, 1979), anche se le vibrazioni, tra questi, appaiono comunque come la metodica meno utilizzata. In bibliografia è possibile riscontrare come le vibrazioni siano state essenzialmente utilizzate, a scopo antalgico, per il dolore di origine cefalica (Ottoson e coll., 1981; Lunderberg e coll., 1983), nei dolori muscoloscheletrici (Lunderberg, 1984; Lunderberg e coll., 1984; Lunderberg e coll., 1987), nell’ambito di alcune patologie dolorose di origine neurogena (Lunderberg, 1984; Lunderberg e coll. 1987) e nel low back pain (Lunderberg e coll., 1984; Casale e Tiengo, 1985; Casale e coll., 1985).
I tempi applicativi delle vibrazioni utilizzate a scopo antalgico, variano, in funzione dei diversi protocolli di lavoro sperimentale, da 5 a 30 minuti, mentre il valore di frequenza ritenuto generalmente maggiormente efficace a questo scopo, si aggira attorno ai 100 Hz. In linea generale la tecnica applicativa prevede che la vibrazione sia effettuata omolateralmente, sul dermatomero su cui si registra la sede del dolore, effettuando, con l’apparecchiatura vibratoria una certa pressione. A seguito di 5 minuti di applicazione vibratoria il dolore scompare o, quantomeno, si attenua sensibilmente, per ripresentarsi però a distanza di 5-10 minuti dalla fine dell’applicazione stessa. Al contrario, se l’applicazione vibratoria è della durata di 30 minuti, l’effetto antalgico può mantenersi sino a 5 ore (Kemppainen, 1983; Bini e coll., 1984). È inoltre interessante segnalare come, nel low back pain di media intensità e non associato a compressione radicolare, l’applicazione di vibrazioni a 100 Hz di frequenza e di ampiezza pari a 1.5 mm, tramite cilindro vibrante posizionato sul tendine di Achille, sia in grado di diminuire drasticamente, ed in tempi brevi, l‘intensità del dolore (Casale e Tiengo, 1987).
1) L’UTILIZZO DELLE VIBRAZIONI NELLA RIABILITAZIONE DELLA TENDINOPATIA ROTULEA
Il protocollo che segue è stato messo a punto, nella sua forma originale, dal Dr. Jose Manuel Sanchez del Centro di Alto Rendimento di Barcellona (ES). In questa sede ne presentiamo una versione leggermente modificata ma che sostanzialmente ricalca in pieno il razionale scientifico perseguito dal Dr. Sanchez.
Il soggetto deve realizzare dei movimenti di flesso-estensione all’interno di un range di movimento compreso tra 0 e 45°, ossia all’interno del range di funzionalità ottimale dell’intervento biomeccanico funzionale del tendine rotuleo (ROF). Allo scopo di ottimizzare il lavoro eccentrico del quadricipite femorale, la piattaforma vibratoria deve essere inclinata di 45°.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Ripetizioni per serie: da 7 a 10
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Il soggetto deve realizzare dei movimenti di flesso-estensione all’interno del ROF. Allo scopo di ottimizzare il lavoro eccentrico del quadricipite femorale, la piattaforma vibratoria deve essere inclinata di 45°. Il lavoro eccentrico a carico del quadricipite femorale viene ancor più enfatizzato, rispetto all’esercizio precedente, dalla posizione del busto che viene mantenuto in estensione.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Ripetizioni per serie: da 7 a 10
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Flesso estensioni all’interno del ROM nel senso dell’inclinazione (la punta del piede è rivolta verso il basso). In questo caso il lavoro muscolare è maggiormente rivolto al VMO.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Ripetizioni per serie: da 7 a 10
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
2) L’UTILIZZO DELLE VIBRAZIONI NELLA RIABILITAZIONE DELLA HAMSTRING SYNDROME
L’hamstring syndrome, o sindrome degli ischio-crurali, venne descritta per la prima volta da Puranen e Orawa nel 1988. Questo tipo di patologia è inquadrabile come una tendinopatia inserzionale dei muscoli ischiocrurali, caratterizzata dalla presenza di bande di natura fibrotica, capaci di causare una dissociazione delle strutture tendinee. La presenza di queste bande fibrotiche simil-tendineee, rende prominente la parte laterale della tuberosità ischiatica corrispondente all’inserzione del muscolo bicipite femorale, dove quest’ultima è a diretto contatto del nervo ischiatico, che viene in tal modo compresso.
Esercizio di allungamento della catena muscolare posteriore. Il soggetto deve effettuare una flessione/estensione della rotula, forzando l’estensione per aumentare lo stiramento del complesso muscolo tendineo.
Frequenza di lavoro consigliata: da 30 a 35 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 2 a 4 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 35.5 m.s-2 (3.6 g) e 96.6 m.s-2 (9.8 g)
Serie: da 3 a 5
Durata serie: 1′
Recupero tra le serie: 2′
Esercizio di auto-allungamento del rachide con piattaforma di Freemann, abbinato a vibrazioni. Occorre abbinare una profonda espirazione durante l’elongazione della colonna vertebrale.
Frequenza di lavoro consigliata: da 30 a 35 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 2 a 4 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 35.5 m.s-2 (3.6 g) e 96.6 m.s-2 (9.8 g)
Serie: da 3 a 5
Durata serie: 1′
Recupero tra le serie: 2′
Esercizio di allungamento prolungato della catena muscolare posteriore.
Frequenza di lavoro consigliata: da 30 a 35 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 2 a 4 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 35.5 m.s-2 (3.6 g) e 96.6 m.s-2 (9.8 g)
Serie: da 3 a 5
Durata serie: 1′
Recupero tra le serie: 2′
Esercizio di allungamento del muscolo piriforme e del legamento sacro-tuberoso.
Frequenza di lavoro consigliata: da 30 a 35 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 2 a 4 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 35.5 m.s-2 (3.6 g) e 96.6 m.s-2 (9.8 g)
Serie: da 3 a 5
Durata serie: 1′
Recupero tra le serie: 2′
Esercizio di allungamento prolungato della catena muscolare posteriore.
Frequenza di lavoro consigliata: da 30 a 35 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 2 a 4 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 35.5 m.s-2 (3.6 g) e 96.6 m.s-2 (9.8 g)
Serie: da 3 a 5
Durata serie: 1′
Recupero tra le serie: 2′
3) L’UTILIZZO DELLE VIBRAZIONI NELLA RIABILITAZIONE DELLE PATOLOGIE DELL’ACHILLEO
La percentuale d’incidenza della rottura traumatica del tendine di Achille è, negli ultimi anni, notevolmente aumentata, soprattutto in funzione di numerosi parametri, come l’aumento dell’allenamento con l’utilizzo di sovraccarichi, l’incremento del numero dei soggetti che praticano attività intense e continuative e l’utilizzo di supplementazioni dietetiche. La rottura del tendine di Achille, costituisce pertanto un’evenienza abbastanza frequente, soprattutto in atleti al di sopra dei 30 anni di età. Generalmente la rottura è comunque conseguente ad alterazioni di carattere degenerativo che costituiscono, in sé, un’importante causa predisponente. Anche se la scelta di un trattamento di tipo chirurgico, oppure conservativo, è oggetto, ancora a tutt’oggi di dibattito, il trattamento di tipo chirurgico, si definisce sempre di più come la scelta di tipo elettivo. Il tendine di Achille può anche essere la sede, estremamente frequente, di lesioni da sovraccarico, che si manifestano, in un primo momento, come paratenoviti ed in seguito come tendinosi, stadiate in diversi gradi.
Contrazione isometrica dei muscoli gemelli.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Durata serie: 1′
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Contrazione isometrica del muscolo soleo.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Durata serie: 1′
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Contrazione eccentrica dei muscoli gemelli.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Durata serie: 1′
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Nota: l’esercizio prevede che, durante la somministrazione della vibrazione, l’atleta esegua una fase di contrazione eccentrica a carico dei muscoli gemelli. Alla fine di quest’ultima, il soggetto si riporta sulla punta del piede dell’arto leso, grazie alla spinta effettuata con l’arto controlaterale.
Contrazione eccentrica del muscolo soleo.
Frequenza di lavoro consigliata: da 20 a 25 Hz
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Durata serie: 1′
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Nota: l’esercizio prevede che durante la somministrazione della vibrazione, l’atleta esegua una fase di contrazione eccentrica a carico del muscolo soleo (il ginocchio deve essere mantenuto pertanto in posizione flessa), alla fine di quest’ultima, il soggetto si riporta sulla punta del piede dell’arto leso, grazie alla spina del controlaterale.
Esercizio di allungamento dei muscoli gemelli.
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Durata serie: 1′
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Nota: durante la somministrazione delle vibrazioni il soggetto deve effettuare uno stretching dei muscoli gemelli. L’ampiezza dell’allungamento è determinata dall’altezza dell’apposito cuneo utilizzato.
Esercizio di allungamento del muscolo soleo.
Ampiezza delle vibrazioni: da 4 a 6 millimetri
Picco accelerativo: compreso tra 31.5 m.s-2 (3.2 g) e 74 m.s-2 (7.5 g)
Durata serie: 1′
Serie: da 3 a 5
Recupero tra le serie: 2′
Nota: durante la somministrazione delle vibrazioni il soggetto deve effettuare uno stretching del muscolo soleo (il ginocchio deve essere mantenuto pertanto in posizione flessa). L’ampiezza dell’allungamento è determinata, come nell’esercizio precedente, dall’altezza del cuneo utilizzato.
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