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AUTISMO: ESPERIENZA CON I PROGRAMMI PROPRIOCETTIVI PEC (Propriocettiva Equilibrio Coordinazione)

Maurizio Ronchi *
con la collaborazione di Elisa Volontè ° e Federico Polimene **

IL PROGETTO

“ DIVERTI(RSI)…TEMPO “ è il progetto al quale abbiamo partecipato, portando la nostra esperienza di staff medico del Seregno Rugby nello sviluppo di protocolli preventivi per lo sport, con il supporto dello staff di Bodyworks-TPM.
Il progetto, sostenuto dalla Fondazione della Comunità Monza e Brianza Onlus e Anffas Seregno Onlus, intende sviluppare attività e spazi in cui il tempo libero delle persone disabili sia occasione per accrescere relazioni con altri ragazzi non disabili permettendo così la reale inclusione sociale.

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La parte del progetto da noi gestita, senza nessun fine sanitario che non ci compete, prevede l’utilizzo dei programmi PEC (Propriocettiva Equilibrio Coordinazione [1]) per un gruppo di ragazzi autistici accompagnati da alcuni loro amici, con l’intento di “mischiare” le diverse abilità dei partecipanti. Il presupposto è stato che se i ragazzi si fossero divertiti, la cosa ci avrebbe riempito di gioia e avremmo raggiunto lo scopo del progetto.
In noi c’era la voglia, il desiderio e lo sforzo per cercare di metterli in condizioni di  far proprio qualche schema motorio al fine di ottenere una migliore coordinazione dei movimenti, che potesse aiutarli nella vita di tutti i giorni.
Non è stato difficile come primo passo, anzi tutt’altro, coinvolgere i proprietari del CobraGym Fitness Club di Seregno, dove abitualmente lavoriamo con i protocolli PEC per atleti e sportivi, per mettere a disposizione la struttura e le attrezzature necessarie per il progetto.
Hanno partecipato al progetto educatori, personale di supporto, persone occupate nel settore sociale-disabilità, oltre ovviamente ai genitori dei ragazzi.

IL COIVOLGIMENTO

Spesso illustriamo in conferenze e workshop, la nostra esperienza sullo sviluppo e l’utilizzo dei bodyworks miofasciali e dei protocolli PEC. Scopo di questi programmi è la prevenzione dell’infortunio sportivo, il supporto nelle fasi di riabilitazione terapeutica e la successiva riatletizzazione. In uno di questi incontri ci è stato chiesto se questi protocolli fossero utili anche per persone con disabilità o con limitate capacità motorie. La domanda era stata posta ad ampio raggio, in modo da comprendere una vasta gamma di potenziali “utenti”: dai bambini in piccola età, agli anziani, ma soprattutto per chiunque avesse sia problemi temporanei che permanenti di abilità motoria o più generalmente di limitazioni funzionali.
Ho spiegato che, data la mia lunga esperienza nei vari settori dello sport, un’atleta in caso d’infortunio, specie se importante e che abbia anche avuto bisogno di un intervento chirurgico-ortopedico, si presenta alla fase terapeutica riabilitativa, con inevitabili gap fisici ma anche psicologici per via della forzata inattività e conseguente separazione dall’ambiente sportivo agonistico: la perdita del ruolo, lo stop degli allenamenti, campionati, gare, eccetera. Quindi gli atleti infortunati in questa fase sono potenzialmente alla pari di persone che hanno problematiche motorie non dovute a trauma sportivo o per disabilità.
La domanda era stata posta dal presidente dell’associazione Onlus ANFFAS di Seregno (MB), Mauro Brambilla, tra l’altro ex atleta di spicco come bodybuilder, papà di Alessia una splendida dolce ragazza (autistica). Come lo è la storia della vita, “da cosa nasce cosa” e abbiamo accettato questa proposta partecipando attivamente a questo progetto, che si doveva svolgere per 12 incontri, un giorno alla settimana della durata di 1 ora e mezza circa, ma che dopo i primi risultati è stato prolungato di quattro mesi.

Programmi PEC (PROPRIOCETTIVITA’ – EQUILIBRIO – COORDINAZIONE)

Nell’attività del nostro staff, i programmi PEC sono una parte molto importante nell’ambito dei bodyworks per atleti e sportivi. Questi protocolli consistono in una serie di trattamenti interconnessi tra loro – massaggi, tecniche miofasciali, stretching, taping, PEC e altro – che noi utilizziamo e per lo sviluppo di protocolli di prevenzione infortuni, e per dare anche un aiuto nel migliorare la vita di tutti i giorni per sportivi e non.
Questi programmi sono il risultato – sempre in working progress – di studi, di collaborazioni internazionali con bodyworkers e medici ricercatori, di esperienze dirette con atleti e sportivi, che ho coltivato dagli anni Ottanta del secolo scorso fino ad oggi, da atleta prima, come tecnico istruttore e preparatore atletico poi, e in seguito come massaggiatore bodyworker sportivo non terapista, divulgatore e docente per BODYWORKS-TPM, e da ormai quasi dieci anni come coordinatore dello staff medico del Seregno Rugby.

Ora prima di illustrare questa bellissima esperienza, descriverò brevemente il concetto di propriocettività, prendendo a prestito il pensiero di Maurizio Zanolla, grande alpinista e climber, che per tutti quelli che come me amano arrampicare, è semplicemente “Manolo”. In un passaggio di una sua intervista [2], racconta la sua percezione di quello che accade durante l’attività sportiva.
Mi sono permesso di riassumere così quanto da lui detto:
“… in certe situazioni di stress capita qualcosa al nostro corpo che sconvolge la “normalità” della percezione. In questi momenti i sensi sono super amplificati e acquisisci una sensibilità della percezione simile a quella degli animali selvatici, che ci permette di avvertire un cambiamento imminente prima che questo accada e di prendere decisioni che ti aiutano a uscire da situazioni difficili e impreviste.”
In pratica Zanolla spiega quello che viene definito come il sesto senso, in altre parole quell’abilità di ascoltare-recepire gli stimoli che l’ambiente che ci circonda invia al nostro corpo. Siamo poi noi a rielaborarli il più velocemente possibile per interagire con esso, attuando delle risposte, degli schemi, idonee ad adattare e/o proteggere il nostro corpo dai repentini e accidentali mutamenti delle situazioni che si susseguono durante l’attività fisica. Questo sesto senso altro non è che il nostro Sistema propriocettivo.
Questa caratteristica atavica dell’uomo era già stata oggetto di studio verso la metà dell’Ottocento, in pieno movimento filosofico-scientifico del “Positivismo”, sotto la spinta degli studi sull’evoluzionismo di C. Darwin.
Mentre sotto l’aspetto scientifico F.M. Alexander, ideatore della tecnica omonima utilizzata per migliorare gli schemi motori, considerava il corpo non come solo l’esecutore della propria attività neuromuscolare, ma anche la coscienza consapevole nel percepire una nuova tipologia di schemi sensoriali prima, che si traducono in equilibrati e coordinati pattern statici o motori poi. Il concetto di propriocettività comincia quindi a delinearsi come la sensibilità di auto ascoltare le proprie sensazioni-stimoli, e di rispondere a esse in modo opportuno e veloce per relazionarsi allo spazio in cui viviamo. Quest’aspetto però va educato, “svegliato” secondo Alexander, per non cadere nell’abitudinarietà inconscia, causa possibile di disarmonicità, vizi posturali e lenta lettura degli stimoli esterocettivi e conseguentemente lenta risposta enterocettiva. Da lì a poco C.S. Sherrington, nei primi del Novecento, mise le basi della neurofisiologia e del sistema propriocettivo.
Per fare un esempio del significato della correlazione di istinto/sesto senso/propriocettività, quando guidiamo l’automobile il subconscio è quello che ci fa allacciare la cintura, mettere la prima marcia, sintonizzare la radio, immetterci nel traffico canticchiando e che con istintiva naturalezza e perfetta coordinazione ci permette di guidare verso destinazione, incluso il pensare a cosa preparare per cena, agli appuntamenti di domani, pianificare, fantasticare … e arrivare alla meta “senza” quasi accorgersene.

Il Sistema Propriocettivo è un vero network fatto di corpuscoli e recettori situati in muscoli e tendini, nelle articolazioni, nei legamenti e nella fascia connettivale, tutti interconnessi col Sistema Nervoso Centrale. Agendo proprio attraverso il nostro subconscio, ci rende consapevoli della posizione del nostro corpo nello spazio in cui viviamo, attuando adattamenti e modificazioni che sono le conseguenti risposte che il nostro corpo elabora per affrontare le mutevoli situazioni dell’ambiente circostante. Per esempio questo sistema-network gestisce e regola in piena autonomia tutte quelle situazioni che noi facciamo in “automatico”: dalle attività “grossolane” come camminare e correre, andare in bici o salire una scala a pioli, a quelle “di fino” come disegnare con la matita, ritagliare con la forbice, allacciare le stringhe delle scarpe o sbucciare la mela con il coltello.
Il sistema propriocettivo, come già suggerito da Alexander, ha però bisogno di essere allenato e stimolato in continuazione poiché soggetto a torpore propriocettivo. Tutte le situazioni di routine che non causano particolare stress neuro-muscolare o motorio fanno, di fatto, abbassare la guardia al sistema, come una sorta di assuefazione per la ripetitività gestuale o dei movimenti. Questo torpore aumenta la possibilità che, i corpuscoli-organi-recettori del sistema-network deputati alla propriocezione, si assopiscano e possano mal interagire con l’ambiente che ci circonda: situazioni tipiche dell’infortunio con cause banali, come la classica distorsione della caviglia causata da un piccolo ostacolo o asperità della superficie sulla quale si stava camminando, o l’aumento della goffaggine con la tendenza a cadere oppure il far fatica a eseguire alcune semplici attività di destrezza. Queste situazioni possono essere un avviso che il sistema propriocettivo non è più reattivo.
Ecco perché i programmi di allenamento PEC, atti all’allertamento propriocettivo, devono essere di continuo praticati sia in ambito sportivo sia nella vita di tutti giorni, come prevenzione di possibili rischi/infortuni fisici causati da imprevisti ambientali.

PEC e AUTISMO

In un primo momento con lo staff avevamo pensato su come impostare il protocollo PEC, dove e come rielaborarlo per renderlo più efficace e fruibile dai ragazzi. Già dopo il primo incontro è parso subito chiaro che tutto si sarebbe inevitabilmente adeguato “solo vivendo”, incontro dopo incontro. Abbiamo avuto ovviamente premura di mettere in sicurezza quanto più possibile la sala corsi, in modo da prevenire quelle situazioni di potenziale pericolo causato dalle attrezzature presenti.
Per ottenere il massimo supporto dalle persone dello staff che mi affiancavano in sala corsi, ho posto la condizione che tutti avrebbero dovuto eseguire gli esercizi del protocollo. Infatti, affinché la PEC sia performante e di reale aiuto propriocettivo, il network sensoriale deve necessariamente provare, sentire e vedere per capire, cosa e come si svolgono gli esercizi, al fine di poter conseguentemente rispondere in modo ottimale agli stimoli in entrata.
E’ quindi soggettivamente importante percepirne le relative difficoltà o semplicità, se sono divertenti, oppure possono creare uno stress da prestazione.
Questa condizione, specie per chi non ha mai praticato con continuità esercizi di equilibrio e coordinazione, è una sorta di livella tra abili e disabili che naturalmente accende una sorta di confronto/competizione sia con se stessi che con gli altri.
Come oggetti (tools) per creare instabilità, abbiamo utilizzato di tutto: dai tappetini in espanso alle palle e palline di gomma di varia densità, colore e dimensione, dalle swiss-ball alle tavole Freeman a cuscino d’aria, stepper, tappeto elastico, aste ginniche, hula-hoop, elastici e tutti i tools che ci sembravano utili di volta in volta.

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Gli esercizi sono stati eseguiti cercando di sfruttare tutte le possibili situazioni/posizioni sostenibili e non, da parte dei ragazzi: da quelle in piedi a quelle sedute, sdraiate, dalle statiche a quelle in movimento, fino ai mix fatte in circuito, eseguite singolarmente o in coppia o di gruppo, con e senza scarpe (Figure).

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I ragazzi autistici possono avere problemi o difficoltà nel valutare e nell’adattare la posizione del loro corpo nello spazio/ambiente, oppure non saper gestire la velocità e l’intensità/durata di un movimento, o dosare la forza necessaria per prendere un oggetto o per lanciarlo.
Abbiamo quindi esplorato tutte le possibili situazioni normali o impreviste che accadono nella vita di tutti i giorni, collegate all’equilibrio e alla coordinazione, e comparandole di volta in volta con gli esercizi PEC abbiamo cercato di inserire quelli più “difficili” fra quelli preferiti e più richiesti dai ragazzi. Mi preme chiarire la definizione di un esercizio “facile” o “difficile”, poiché per natura collegato alla soggettività e alla capacità personale: tutte le prove sono impegnative e possono essere l’uno o l’altro, l’importante è che con gli esercizi propriocettivi non bisogna mai diventare “bravi”.
Sembra un paradosso, ma stare diversi minuti in equilibrio su una tavoletta Freeman con un solo piede, mentre con le mani faccio “giocoleria” con tre palle da tennis e ripeterlo tutti i giorni senza difficoltà, potrebbe generare il pericolo di entrare nella routine/ripetitività, diminuendo le capacità di apprendimento propriocettivo.
Si deve quindi avere l’accortezza di “non diventare mai bravi” e inserire sistematicamente qualcosa di nuovo che crei instabilità o difficoltà, novità-ostacoli-varianti anche casuali che possano simulare l’imprevisto, con lo scopo di tenere sempre ben “allertati” i corpuscoli propriocettivi del sistema-network.
E’ stato sorprendente, nella prima esperienza del rapporto autismo-attività fisica, scoprire come questi ragazzi con diversi gradi di disabilità si siano adattati con semplicità e naturalezza a molti esercizi ritenuti “difficili”.
Nel mio passato d’istruttore di atletica leggera, ho avuto esperienze con ragazzi con sindrome di Down, dove il relazionarsi era molto più semplice e immediato e anche la loro capacità motoria nulla aveva da invidiare a quella degli altri ragazzi. L’autismo presenta invece l’indubbia difficoltà di relazione con altre persone, ma è stata davvero sorprendente l’immediata empatia creatasi nel gruppo, che sicuramente ha favorito l’espressione delle capacità atletiche in tutti, con grande soddisfazione dei genitori dei ragazzi con autismo.
A dimostrazione che uno degli scopi del progetto “DIVERTI (RSI) … TEMPO“, la relazione e il confronto dei ragazzi con altre persone, è stato centrato sono proprio questi inaspettati atteggiamenti di apertura, ma soprattutto il divertimento dei ragazzi sia durante gli esercizi che nei momenti di recupero e di “chiacchiera”.
Non sono uno psicologo, ma ritengo che un atteggiamento aperto, disponibile e solidale verso chi ti sta accanto, specialmente se presenta problematiche psico-motorie, sia di stimolo nell’eseguire correttamente gli impegnativi esercizi fisico-atletici di un programma PEC. E’ stato quindi davvero di grande aiuto per i ragazzi vedere come tutti avessero gli stessi problemi di adattamento per la riuscita delle prove.
Pur essendo esercizi semplici, e alcuni addirittura banali, eseguirli in condizioni di equilibrio precario o con posture non abituali, li rende impegnativi per chiunque.
Abbiamo quindi sfruttato questo legame di amicizia tra i ragazzi, per stimolare e accendere l’attenzione dei ragazzi autistici: questo è il primo passo da attuare prima di iniziare qualsiasi attività. Superare il problema relazionale, che per un autistico è realmente un ostacolo, è stato fondamentale per ottenere la loro attenzione e portarli a risultati significativi.
Le tipologie di esercizi PEC prescelti sono state le più diverse, miscelando difficoltà e impegno con il divertimento … e spesso la fatica nell’esecuzione era alta anche per chi ha, come me, un discreto allenamento per questo protocollo. E’ stato utilizzato un largo spettro di stimolazioni propriocettive, inizialmente per le fasi statiche e in seguito utilizzando circuiti con tipologie di esercizio/stimolo diversissime tra di loro. Abbiamo poi avuto modo di attuare alcune metodiche per specifiche problematiche fisiche o posturali di ognuno dei ragazzi, e non solo per quelli con disabilità, e ovviamente queste sono state le più impegnative sia dal punto di vista fisico che mentale.

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Ho avuto la conferma anche in questa nuova esperienza, del mutuo soccorso che interviene tra persone in difficoltà. Ognuno di noi capisce quando il nostro vicino è in difficoltà nell’eseguire una figura o un esercizio: questa solidarietà si manifesta nell’allungare una mano a sostegno, nell’accorciare la distanza tra una tavoletta e l’altra, nell’aiutarlo ad alzare il piede che non ne vuol sapere di alzarsi, o semplicemente mettendosi al suo fianco per far vedere che “lo si può fare insieme”.
Quest’aspetto solidale, tipico nei gruppi di atleti in fase di recupero, si è evidenziato anche durante questa attività.
Inoltre durante gli ultimi circuiti multi-esercizio, sono stato più volte “scavalcato” al punto di partenza da alcuni ragazzi che si stavano divertendo, ma che stavano migliorando equilibrio e coordinazione, aumentando la velocità di completamento del percorso.
Tendenzialmente i ragazzi con autismo, per sicurezza cercano sempre con la mano un contatto come supporto/appoggio di chi gli sta vicino, ma si è cercato di ridurre al minimo questo effetto “sostegno”, lasciandolo solo in caso di reale difficoltà e sempre per l’importante aspetto relazionale del contatto-legame fisico.
A proposito di contatto fisico, la situazione più divertente per tutti è stata quella in cui è stata simulata la “mischia” del rugby utilizzando le swiss-ball come “bag” di protezione.

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Abbiamo cercato di sottolineare il messaggio tanto caro al rugby: il sostegno verso il compagno!
Utilizzo una sintesi di un testo  sul “sostegno” che l’attore Marco Paolini ha utilizzato in un suo spettacolo: […] nel mondo di ovalia sentirete ripetere spesso una parola, “sostegno!”. Che non è solo un aspetto tecnico del gioco, ma rappresenta un valore sociale fondamentale di aiuto che i compagni di squadra devono darsi reciprocamente e che inevitabilmente diventa un comportamento per la vita di tutti i giorni […].
Il “sostegno” è qualcosa di più psicologico che materiale: è sapere che non sei solo. Proprio come avviene nel rugby con la “mischia”, dopo un’azione di spinta ordinata in posizione contrastante: inevitabilmente si creano degli spostamenti, delle rotazioni del “pacchetto” dovute alle spinte dei giocatori. Perciò ti puoi trovare repentinamente sia in una posizione di spinta, che in quella opposta, che si contrasta arretrando o girando, ma cercando sempre un sostegno, un appoggio di un tuo compagno di mischia, per non cadere o per spingere più forte.
Le swiss-ball hanno reso tutto più protettivo e divertente per via della loro elasticità. Inutile dire che la “mischia” sia stato uno degli esercizi propedeutici più divertente, chiassoso e sempre richiesto.

CONCLUSIONI

Esperienza più che positiva per tutti i partecipanti; personalmente è stata una grande crescita tecnica, professionale e umana.
La chiave vincente di questo successo è stata proprio quella promossa dal progetto: la socializzazione dei ragazzi con autismo con i loro amici e con gli altri componenti degli incontri. Conoscendo la loro problematica nel relazionarsi con gli altri, si è cercato, con successo, di coinvolgerli negli esercizi PEC, facendo leva sulla loro curiosità, per accendere la voglia di provare a fare quello che tutti i presenti in sala avrebbero poi fatto.
Non abbiamo mai avuto sentore che si sentissero “incapaci” o a disagio durante gli esercizi, nonostante, come già detto, non siano esercizi facili per nessuno.
Si è adottato a tal proposito il principio fondamentale per il gioco del rugby, il “sostegno”, affinché capissero di potersi fidare e si sentissero sicuri che in qualsiasi momento, e per qualsiasi necessità, c’era qualcuno accanto a loro pronto ad aiutarli.
Si è poi cercato di evitare il più possibile il contatto fisico, utilizzato come puro “supporto”, sicuri che servisse a ben poco per l’esecuzione degli esercizi, poiché è più efficace per lo scopo PEC, sfruttare l’insicurezza come vera e propria stimolazione propriocettiva: è stato più efficace far capire che si poteva fare tutto da soli, pur con la sicurezza che  in caso di necessità qualcuno li avrebbe aiutati.
Il progetto, dopo quattro mesi d’incontri, è terminato con una piacevole “coda” a due ruote.
Visti i più che buoni risultati sotto l’aspetto dell’equilibrio e della coordinazione, verso la fine degli incontri abbiamo voluto testare la motricità dei ragazzi con le cyclette della palestra.
E’ stato un po’ macchinoso per alcuni di loro questo approccio … una sorta di esercizio nuovo che forse incuteva qualche timore. Come sempre è stato adottato lo schema dell’amico che mostra l’esercizio per stimolare/incuriosire, ma spesso è stato laborioso convincerli.
Non si doveva fare nulla di particolarmente difficile: si doveva solo salire in sella e pedalare sia in avanti che all’indietro per alcuni minuti, e poi ridiscendere. Ma a questo punto è sorto il vero problema … non volevano più scendere!
In seguito è stata inserita la pedalata sulla cyclette per 5-10 minuti e poi pianificata la possibilità di farli pedalare con una bicicletta vera.
Uno degli assistenti al progetto, Marino Valtorta, direttore sportivo e collaboratore della Federazione Ciclistica italiana Comitato di Monza e Brianza,si è attivato per avere i dovuti permessi e per procurare alcune bici con rotelle adatte al peso dei ragazzi, che sono poi stati inseriti con le biciclette adattate, sulla pista del campo di rugby. Un successone!
Alcuni nostri timori iniziali si sono sciolti come neve al sole, perché i ragazzi hanno mostrato una discreta padronanza del mezzo: ovviamente erano assistiti, ma alcuni di loro, che mai erano saliti in bici, si sono cimentati in diversi giri di pista. E’ stata una grande vittoria!

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Pensiamo di aver ottenuto con questa attività degli effetti positivi nei ragazzi, “svegliando” la capacità di percepire stimoli esterni diversi dal solito, e rendendo il loro network propriocettivo più preparato a dare risposte più veloci e funzionali ad utilizzare schemi motori opportuni nelle diverse situazioni giornaliere che implicano coordinazione, equilibrio e destrezza.
Mentre finivo di scrivere questo report ho ricevuto la proposta di estendere la durata del progetto da settembre fino alla fine dell’anno: la squadra è già tutta pronta!

RINGRAZIAMENTI
– Mauro Brambilla, presidente Anfass Seregno che fortemente ha voluto che in questo progetto fossi coinvolto con il protocollo PEC.
– Tutti i genitori dei ragazzi.
– Gli assistenti e amici dei ragazzi, Enzo, Sabrina, Davide, Marino, Letizia, Melissa.
– L’educatrice Elisa, tutte le persone e gli interessati del settore che hanno voluto vedere come si sviluppava il progetto PEC-autismo.
– Piera e Massimo Terragni della CobraGym FitnessClub.
– Lo staff medico del Seregno Rugby 
GRAZIE A TUTTI!

BIBLIOGRAFIA

  1. Ronchi M, Gibin M, Masera J, Polimene F, Zecchinello F., PEC – Propriocettività, Equilibrio, Coordinazione: programmi di prevenzione, riatletizzazione e sportbodyworks – FITMEDonline anno 2 n. 11,12 2010; anno 3 n. 1 2011
  2. Stralcio dell’intervista apparsa su Montagne360 – La rivista del Club Alpino Italiano – febbraio 2016

* Maurizio Ronchi
Studioso e ricercatore per lo sviluppo di tecniche miofasciali e protocolli preventivi l’infortunio sportivo e per la riatletizzazione post terapeutica.
Operatore olistico bodyworker sportivo non terapista disciplinato ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n.4 (G.U. 26 gennaio 2013, n. 22), divulgatore e docente per Bodyworks-TPM, coordinatore dello staff medico Seregno Rugby, membro dell’Associazione Manipolazione Fasciale® e dell’Associazione Italiana Taping Kinesiologico®, istruttore FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera), istruttore postura MBT (Masai Barefoot Technology).
Membro APODIB – Associazione Professionale Operatori Discipline Bionaturali
E-mail info@bodyworks-tpm.it
** Federico Polimene
MFT, preparatore atletico e membro dello staff medico Seregno Rugby, docente Bodyworks-TPM
° Dr.ssa Elisa Volontè, Educatrice professionale, laureata in Scienze dell’Educazione

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Disclaimer – dichiarazione di non responsabilità
Le informazioni presenti nella pubblicazione, sono puramente esperienziali, costituiscono un’indicazione di massima come riferimento alle eventuali problematiche descritte. Scopo del contenuto è “educational e divulgativo” e non sostituisce in alcun modo l’intervento o l’opinione del medico e la sua diagnosi riguardo ai casi reali.
E’ quindi d’obbligo prendere contatto con il proprio medico di fiducia o lo specialista di sua indicazione, per ricevere una diagnostica e le disposizioni terapeutiche del caso.

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