FRATTURA METARSALE DA STRESS IN ATLETA MARATONETA DONNA: CASE REPORT E REVISIONE DELLA LETTERATURA
Introduzione
Con il crescente interesse pubblico alla forma fisica, nella società attuale si verificano un numero sempre maggiore di fratture da stress note anche come fratture da fatica, in particolare in sportivi competitivi e ricreativi che praticano sport di impatto di lunga distanza come la maratona, o saltatori, pattinatori, ballerini e soldati. Le fratture da stress in ossa sane derivano da sovraccarico ciclico e di solito colpiscono le ossa degli arti inferiori verificandosi con maggiore incidenza negli atleti e nei militari (Major N.M. & Helms C.A., 2000). Queste fratture, di solito coinvolgono le ossa del metatarso, tibia, perone, femore, bacino e colonna vertebrale. I pochi casi di frattura da stress sacrale che sono stati descritti in letteratura coinvolgono giovani atlete donne (Lin J. et al, 2001) e sono considerate un evento raro, considerando che spesso la diagnosi di fratture da stress sacrale è ritardata perché il sintomo principale, il dolore lombare basso, è molto diffuso nella popolazione generale.
Descrizione del caso
Atleta donna, fondista amatoriale, età anni 51, altezza cm 160, peso Kg 54.8, Body Mass Index (BMI) 21.48. Assenza in anamnesi patologica remota e recente di fratture pregresse o eventi traumatici osteoarticolari di rilievo; all’esame clinico si evidenzia: menopausa fisiologica e alluce valgo al piede sinistro.
Alla fine di una seduta di routine di allenamento l’atleta avverte un dolore non acuto nella regione dorsale del piede sinistro che le impedisce di terminare gli ultimi dieci minuti di allenamento, riferendo una leggera zoppia e dolore che tratta in modo autonomo con crioterapia. Il giorno seguente si reca a controllo medico ambulatoriale dove viene praticato l’esame clinico del piede ed un esame ecografico che non evidenzia particolari alterazioni. Il medico consiglia riposo per 48 ore e terapia locale.
La zoppia e il dolore si risolvono senza ulteriori cure e l’atleta ritorna sul campo di allenamento dopo 2 giorni, terminando il programma settimanale e prendendo parte, dopo 3 giorni, ad una gara cittadina di 10 chilometri. La gara è condotta senza particolari problemi fino al 7 chilometro dove, senza nessun trauma riferito, avverte un dolore improvviso nella regione dorsale esterna del collo piede, riuscendo con difficoltà a terminare la gara.
La notte è caratterizzata da dolore acuto ed edema locale e il giorno successivo da dolore e difficoltà alla deambulazione. Nella stessa giornata (Foto 1 – 20 Aprile 2011) si effettua esame RX del piede che evidenzia una frattura della diafisi del quarto metatarso. Si invia la paziente a consulenza ortopedica, che indirizza ad un trattamento di tipo conservativo con doccia gessata e divieto di carico per giorni 40.
Si organizza il piano terapeutico in tre fasi:
- Fase 1 (Tabella 1)
Dopo un primo controllo RX (Foto 1 – 11 maggio 2011) e un successivo controllo RX (Foto 1 – 31 maggio 2011), si rimuove la doccia gessata dopo 40 giorni, come programmato, e viene consentito il carico. Dopo controllo ortopedico, si effettua un primo test con saltelli di circa 10 cm su una sola gamba per 15 secondi, che non evidenzia sintomatologia dolorosa e/o limitazione funzionale.
- Fase 2 (Tabella 2)
Al controllo radiografico a 90 giorni dal trauma (Foto 1 – 20 Luglio 2011) si effettua un secondo test di saltelli di 10 cm su una sola gamba per 30 secondi, che da esito favorevole: viene programmata la Fase 3 (Tabella 3), suddivisa in 4 settimane di “riadattamento sport specifico”, sviluppate tra allenamento da campo e piscina.
- Fase 3 (Tabella 3)
A 50 giorni dal trauma (9 Giugno 2011), l’atleta riprende la corsa in modalità di “riadattamento sport specifico”, a bassa intensità; il 10 Agosto 2011 la paziente riprende il ritmo di allenamento con la stessa frequenza e intensità precedenti al trauma, esattamente a 110 giorni dal trauma stesso. La fase di passaggio tra i 50 e i 110 giorni dall’infortunio è caratterizzata dal graduale riadattamento allo sforzo sport specifico ed al graduale ritorno al ritmo ed alla frequenza di allenamento precedenti al trauma (Tabella 3). La prima gara viene effettuata a 110 giorni dal trauma stesso.
Materali e metodi
Per definire lo stato dell’arte in letteratura biomedica di questa condizione clinica è stata impostata una ricerca in lingua inglese su Pub-Med dal 1991 al 2011, per restringere i risultati è stato inserito il solo indicatore boeliano (AND) combinando le frasi di ricerca: stress (AND) fractures in women atlete, stress (AND) fractures in elite atlete, stress fractures (AND) women runners. Gli articoli ritenuti idonei sono stati selezionati in base a livello di evidenza pertinenti con il caso clinico e sono riassunti nella Tabella 4.
Risultati
La ricerca ha prodotto un numero di 151 articoli di cui 32 sono stati ritenuti idonei in base agli obiettivi dello studio ed al livello di evidenza.
I dati evidenziano che già nel 1855 Breithaupt (Breithaupt M.D., 1855) per primo descrisse l’infortunio al quinto metatarso in soldati prussiani durante la marcia. L’infortunio, comunemente noto come “frattura da marcia” non è stato confermato fino all’avvento degli esami radiografici, circa 40 anni dopo. Nel 1958 Devas (Devas M.B., 1958) segnala questo infortunio negli atleti.
La frattura da stress è oggi riconosciuta come una fonte comune di dolore e disfunzione in una popolazione attiva: è questo primo passo importante di riconoscimento che consente una diagnosi accurata e il piano di trattamento successivo. Diversi studi hanno affrontato l’epidemiologia delle fratture da stress, evidenziando gli sport in cui l’infortunio è più comune. Johnson e colleghi [Johnson A.W. et al, 1994) in un studio prospettico di 2 anni hanno studiato l’incidenza di fratture da stress negli atleti dei college. Diversi studi riportano la distribuzione anatomica delle fratture da stress, con le seguenti localizzazioni più frequenti: tibia, metatarso e perone, evidenziando maggiore incidenza negli arti inferiori rispetto ai superiori (Bennell K.L. et al, 1996 – Brukner P.D. et al, 1996).
Bennell e colleghi hanno seguito 111 atleti competitivi per 12 mesi; questi hanno presentato 26 fratture da stress, con il 46% degli infortuni che hanno interessato la tibia, il 15% lo scafoide e il 12% il perone.
La predominanza di coinvolgimento delle estremità inferiori riflette gli elevati carichi ripetitivi che interessano soprattutto gli arti inferiori rispetto agli arti superiori. Per l’incidenza delle fratture da stress negli atleti non sembra evidenziarsi alcuna differenza tra uomini e donne, nonostante vi sia una predilezione femminile nelle reclute militari (Bennell K.L. et al, 1996).
La guarigione della maggior parte delle fratture da stress avviene senza complicazioni, con il riposo e relativa attività modificata; queste fratture sono state recentemente definite “a basso rischio” (Boden D.C. et al, 2001). Al contrario, ci sono siti anatomici che più frequentemente evidenziano una guarigione lenta o incompleta, una forte tendenza alle recidive o un elevato rischio di complicanze: queste fratture sono definite ad alto rischio (Boden B.P. & Osbahr D.C. 2000). Queste localizzazioni sono: collo del femore laterale, base del V metatarso e scafoide.
Per evitare tempi di guarigione prolungati, inadeguati e le complicanze potenzialmente gravi, è importante essere consapevoli dei maggiori rischi di fratture in queste localizzazioni. Una diagnosi tempestiva e il trattamento adeguato sembrano essere gli elementi necessari per minimizzare l’impatto delle fratture ad alto rischio sulla carriera dell’atleta. La frattura da stress più comunemente associata con un elevato livello di morbilità è la frattura del collo del femore che si verifica nella parte laterale. La diagnosi ritardata di un tale infortunio potrebbe causare una frattura scomposta, con la possibilità di necrosi vascolare della testa femorale. In uno studio condotto da Johansson e colleghi (Johansson C. et al, 1990) il 60% degli atleti che ha avuto un adeguato trattamento delle fratture scomposte del collo del femore sono stati in grado di tornare alle loro livello di attività pre-infortunio.
Fratture da stress ad alto rischio di frattura completa, ma con minore morbilità associata sono quelle della base del quinto metatarso e dello scafoide tarsale. Per entrambe queste fratture, nello sportivo di elite, un intervento chirurgico precoce è considerato spesso il trattamento di prima scelta.
Il successo del trattamento delle fratture da stress non deve solo concentrarsi sulla guarigione ossea, ma deve anche valutare le cause che hanno determinato la frattura stessa. Queste possono essere suddivise in fattori di rischio intrinseci e fattori di rischio estrinseci.
– Fattori di rischio intrinseci – Includono fattori biomeccanici, ormonali e stato nutrizionale. Comuni fattori biomeccanici che possono portare a fratture da stress ricorrenti sono: debolezza muscolare, bassa densità ossea, piede cavo e piatto, dismetria arti inferiori e, probabilmente, avampiede e ginocchio varo (Korpelainen R. et al, 2001 – Cowan D.N. et al, 1996 – Hoffman R. et al, 1999 – Bennell K.L et al, 1999).
Uno studio prospettico di coorte disegnato per studiare l’influenza della fatica muscolare sulla pressione plantare (Weist et. al, 2004), ha arruolato trenta corridori con esperienza, disponibili a partecipare ad una corsa al limite della soglia anaerobica. L’attività superficiale elettromiografica è stata monitorata per 14 muscoli e sono state misurate le pressioni plantari. La fatica è stata documentata con l’andamento dei valori di lattato nel sangue.
I risultati hanno dimostrato una maggiore forza massima (5%, P <.01), pressione di picco (12%, P <.001) e di impulso (9%, P <.01) sotto la testa del secondo e terzo metatarso e sotto la volta plantare mediale (forza = 7%, P <.05; pressione = 6%, P <.05; impulso = 17%, P <.01) misurate nella fase finale della corsa.
L’attività media muscolare valutata con l’elettromiografia è risultata significativamente ridotta nel gastrocnemio mediale (-9%, P <.01), gastrocnemio laterale (-12%, p <.01) e soleo (-9%, P <.001).
Lo studio ha dimostrato che l’aumento di carico sull’avampiede può spiegare l’incidenza di fratture da stress dei metatarsi in condizioni di carico elevato e prolungato.
Irregolarità del ciclo mestruale sono state collegate ad una maggiore incidenza di frattura da stress nella donna (Barrow G.W.& Saha S., 1998). Un basso contenuto di estrogeni nell’atleta femminile è associato con la perdita di densità minerale ossea, che predispone l’atleta a frattura da stress. Myburgh e colleghi (Myburgh K.H. et al, 1990) hanno rilevato che atlete con riduzione della densità minerale ossea erano a maggior rischio di frattura da stress. Una analisi della fisiologia del ciclo mestruale è richiesta ogni volta che una diagnosi di frattura da stress si presenta in atlete donne; deve inoltre essere considerata nell’atleta donna la triade (Nattiv A. et al, 1994) costituita da: disturbi alimentari, amenorrea e osteoporosi.
La valutazione di uno studio randomizzato in donne reclute militari (Tenforde A.S. et al, 2010) ha dimostrato che l’assunzione di calcio e vitamina D riduce l’incidenza di fratture da stress. Uno studio prospettico in giovani corridori di sesso femminile ha ulteriormente confermato la ridotta incidenza di fratture da stress e l’aumento della densità minerale ossea con una maggiore assunzione di calcio nella dieta. I risultati di entrambi gli studi suggeriscono che atlete e reclute militari che hanno consumato più di 1500 mg di calcio giornaliero evidenziano una significativa riduzione di fratture da stress.
– Fattori di rischio estrinseci – i più comuni sembrano essere: errori di preparazione di base, tipo di calzatura utilizzata e tipologia di terreno durante l’allenamento. In reclute militari che iniziano l’attività in cattive condizioni fisiche ed hanno elevati volumi di attività si è evidenziato un maggior rischio di fratture da stress e l’aumento dell’attività è spesso risultato l’evento scatenante le lesioni da stress (Almeda S.A. et al, 1999 – Gardner L.I. et al, 1988).
Numerosi studi su militari hanno dimostrato l’alta percentuale di danni da stress durante l’allenamento di base per i quali è richiesto un regime di esercizio progressivo e di alta intensità (Berstein A. & Stone, 1944 – Berstein A. et al, 1946 – Freaney R.B. et al, 1983 – Giladi M. et al, 1985 – Kreipe R.E. & Thompson J.R., 1944).
L’attrezzatura di un atleta non comprende solo ciò che indossa, ma anche la superficie su cui si allena. Diversi studi(Milgrom C. et al, 1985 – Schwellnus M.P. et al, 1990 – Stacy R.J. & Hungerford R.L, 1984) hanno esaminato l’effetto delle calzature con maggiore “ammortizzazione” sulla incidenza di fratture da stress. Questi studi tendono a supportare l’utilizzo di una buona ammortizzazione nella prevenzione delle lesioni al piede, mentre si evidenzia un effetto variabile sulla prevenzione delle lesioni tibiali.
Nello studio prospettico randomizzato di Milgrom et al, 1985, su 390 reclute militari, si evidenzia una minore incidenza di fratture da stress del metatarso durante l’addestramento militare utilizzando scarpe da basket modificate rispetto ai normali stivali (ricordando che gli individui con pregressi episodi di frattura da stress sono a ad alto rischio di future lesioni (Giladi M. et al, 1986).
Trattamento
Il campo elettromagnetico a bassa frequenza (EMF) è in grado di promuovere la guarigione delle fratture ma l’effetto clinico dei campi elettromagnetici sulla guarigione della frattura da stress non è chiaramente definito dalla letteratura. Zhang e colleghi (Zhang X. et al, 2007) nel loro studio esaminano la risposta delle cellule ossee craniche del ratto neonatale con campo elettromagnetico rettangolare (REMF), campo elettromagnetico triangolare (TEMF), campo elettromagnetico sinusoidale (SEMF) e campi elettromagnetici pulsati (CEMP). I risultati suggeriscono che le forme d’onda dei campi elettromagnetici siano parametri “cruciali” per indurre la risposta degli osteoblasti. La maggior parte degli studi indagano sull’effetto sella ritardata consolidazione o sulla pseudoartrosi (Benazzo F. et al, 1995 – Rettig A.C. et al, 1998) e non sono specificamente progettati per valutare l’efficacia sulla guarigione della frattura da stress. Sebbene questi due studi evidenzino un effetto positivo sulla guarigione ossea in una pseudoartrosi, non danno informazioni chiare sull’uso in fratture da stress in fase iniziale.
Discussione e conclusioni
La prima descrizione di frattura da stress risale al 1855 da parte di Breithraupt M.D, 1855, confermata da Devas M.B, 1958 che descrive questa tipologia di frattura in atleti.
Studi epidemiologici (Johnson A.W. et al, 1994) hanno evidenziato in quali sport questa frattura si riscontra con maggior frequenza: calcio, pallavolo, atletica leggera. Ulteriori studi (Bennell K.L. et al, 1996 – Brukner P.D. et al, 1996) hanno segnalato le aree maggiormente interessate: tibia, perone, scafoide e metatarso e ne hanno anche studiata l’incidenza, che sembra essere maggiore sugli arti inferiori, pur confermando che non si evidenziano differenze statisticamente significative tra uomini e donne (Bennell K.L. et al, 1996).
Per la tempistica di guarigione si conferma che la maggior parte delle fratture da stress guariscono senza complicazioni, ma si raccomanda di differenziare i tempi in base ai siti anatomici colpiti, evidenziando le fratture ad alto rischio di complicanze (Boden B.P. & Osbahr D.C, 2000) rispetto a quelle a basso rischio di complicanze (Boden B.P. et al, 2001).
Le localizzazioni a maggior rischio sembrano essere le seguenti: collo del femore laterale, base del V metatarso e scafoide.
Il successo del trattamento delle fratture da stress sembra dipendere non solo dalla guarigione ossea, ma anche dalla prevenzione/eliminazione delle cause della frattura stessa. L’analisi dei fattori predisponenti ha permesso di suddividerli in:
1) Fattori di rischio intrinseci:
– biomeccanici, legati a debolezza muscolare, piede piatto o cavo, varismo del ginocchio, dismetria arti inferiori (Korpelainen R. et al, 2001 – Cowan D.N. et al, 1996 – Hoffman R. et al, 1999 – Bennell K.L. et al, 1999 – Weist et. al, 2004)
– ormonali (Barrow G.W. & Saha S., 1998 – Myburgh K.H. et al, 1990)
– nutrizionali (Tenforde et al, 2010)
2) Fattori di rischio estrinseci:
– errori negli allenamenti di base (Almeda S.A. et al, 1999)
– aumento del carico (Bersteinet A. et al, 1946)
– superficie di allenamento e tipologia di calzature (Milgrom C. et al, 1985 – Schwellnus M.P. et al, 1990)
Il trattamento terapeutico è orientato ai mezzi fisici con campi elettromagnetici, ma i risultati in letteratura appaiono discordanti perché hanno studiato gli “outcomes” sulle complicanze sopraggiunte (ad esempio pseudoartrosi) (Benazzo F. et al, 1985 – Sharrard W.J.W., 1990) e non vi sono molti studi sul processo di osteogenesi primario. A sostegno sono (Scott G. & King J.B., 1994) studi su esercitazioni specifiche per una stimolazione corretta della osteogenesi e riadattamento allo sport specifico (Stone M.H., 1998) e sulla osteogenesi, che sembrano coerenti al quesito clinico (Zhang X. et al, 2007).
Il caso descritto è considerato dalle evidenze correnti non ad alto rischio di morbilità e conferma i dati sulla incidenza riportati in letteratura (Bennell L. et al, 1996) sul sito (piede) ma non sulla zona anatomica (IV metatarso, mentre la lettaratura evidenzia il V metatarso) e si confermano i dati sui fattori ormonali.
Di rilevanza clinica è la risposta della lesione alla somministrazione di magnetoterapia con campi elettromagnetici pulsati (CEMP), abbinata ad esercitazioni specifiche con progressioni dei carichi: il ritorno alla corsa è avvenuto in 50 giorni e la competizione specifica a 110 giorni senza sintomatologia dolorosa.
Questi elementi clinici della fase terapeutica sono da analizzare con studi di gruppi di confronto [sembra non ci siano studi (RCT in doppio cieco o dati di meta-analisi sistematiche) che confrontino i risultati “statisticamente significativi” di somministrazione a gruppi di pazienti come terapia primaria di CEMP + Esercizio, con solo CEMP o con solo Esercizio]. La ricerca è stata orientata maggiormente sullo studio della complicanza “pseudoartrosi”.
Quindi sembra opportuno che la decisione sulla ripresa della piena attività fisica sia adottata attraverso una adeguata formazione del team sanitario sulla conoscenza di queste patologie e della gestualità sport specifica, per determinare il rischio corrispondente di complicanze significative e non significative per la carriera futura dell’atleta.
Il piano di trattamento personalizzato sulla base dell’indagine clinica e strumentale e di eventuali variazioni dei fattori di rischio intrinseci ed estrinseci, deve mirare ad un recupero ottimale e prevenire futuri incidenti. Con questa pianificazione di trattamento ai pazienti atleti saranno applicate le migliori evidenze disponibili per il ripristino della forma fisica e la ripresa agonistica.
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