Riabilitazione

NUOVE TECNICHE E PROTOCOLLI DI RIABILITAZIONE IN PAZIENTI CON PATOLOGIE A CARICO DEL GINOCCHIO

Sabrina Zanolli, Piero Faccini, Dario Dalla Vedova

Le tecniche di riabilitazione in uso oggi hanno come principale scopo il recupero funzionale del paziente in tempi brevi, atte a ridurre il più possibile sia le complicanze post-operatorie sia a permettere un reinserimento celere in ambiente socio-lavorativo e/o sportivo. Le metodologie usate si rifanno per la maggior parte a due correnti:

1. riabilitazione con esercizi passivi ed attivi a catena cinetica chiusa
2. riabilitazione in acqua

In questo nostro articolo, quindi, presentiamo una tecnica di riabilitazione innovativa in acqua, con l’uso di sovraccarichi periferici (tecnica Wat-Job), messa a punto dal nostro gruppo di lavoro.
Tale tecnica permette il recupero totale e in tempi più brevi rispetto alle tecniche tradizionali, cosa questa di fondamentale importanza per un reinserimento nella attività senza complicanze muscolo-tendinee o recidive. Tale metodica, può essere somministrata sia a sedentari che hanno tutto l’interesse a riprendere precocemente l’attività lavorativa, che ad atleti di qualsiasi livello.

Descrizione della Tecnica

Fra i compiti che possono essere considerati ” istituzionali” nel lavoro del tecnico riabilitatore, spicca quello di dover continuamente ricercare metodi terapeutici di facile attuazione, agenti nel rispetto di precise regole di progressione del carico somministrato e, soprattutto, che non danneggino ulteriormente una struttura che ha già subito insulti traumatici e/o chirurgici.
A questo principio metodologico, negli ultimi anni, si è aggiunto il concetto di riabilitazione/ricondizionamento, cioè la ricerca di programmi riabilitativi che prevedano, oltre le manovre classiche di terapia cinetica, anche l’introduzione, fin dalle prime fasi di lavoro, di particolari movimenti consensuali alla biomeccanica del gesto che il paziente è uso fare.
Tuttavia, a volte, ciò può risultare di difficile realizzazione, come quando ci si trova di fronte ad un paziente con una patologia osteo-articolare complessa, dove il carico gravitario, specie nelle prime fasi della riabilitazione non è consentito. In questi casi, la moderna cinesiologia consiglia di ricorrere a tecniche di terapia in acqua che prevedano, oltre all’uso delle tradizionali metodologie (pinne, corpetti antigravitari, etc.), anche l’uso di tavolette Wat-Job, le quali, con l’applicazione di un carico idrodinamico quantificabile, permettono di impostare un lavoro programmato che accompagna il paziente dalla prima fase di riabilitazione fino alla fase finale di ricondizionamento senza sottoporre l’articolazione o l’arto leso ad un carico eccessivo, quale quello gravitario, ma permettendogli nel contempo di riattivare uno schema neuro-motorio specifico.
Dopo diversi studi, sperimentazioni in galleria del vento e varie teorizzazioni si è giunti alla conclusione che le forze fluidodinamiche dipendono dalla densità del fluido in cui sono generate, dalla velocità alla quale ci si muove elevata al quadrato (questo ha importanti conseguenze, come vedremo), da una sezione di riferimento del corpo e da un termine convenzionale che chiamiamo coefficiente di forma e che dipende, appunto, dalla forma del corpo e dal modo in cui questo incontra il fluido.
La formula dice che:
F=1/2p.V2.S.Cx
dove:
– F è la forza fluidodinamica calcolata in Newton (la potenza si ottiene considerando la velocità al cubo);
– p è la densità del fluido in cui ci si muove espressa in Kg/m3, per l’aria vale 1,2 mentre per l’acqua dolce 1000; entrambi i valori sono riferiti a condizioni standard avendo visto che altrimenti sarebbero funzione della temperatura e della pressione;
– V è la velocità di movimento in m/s elevata al quadrato (al cubo nel caso del computo della potenza);
– S è la sezione di riferimento del corpo espressa in mq, di solito si prende quella frontale rispetto al senso del moto;
– Cx è il coefficiente adimensionale di forma che convenzionalmente dipende solo dalla forma del corpo a qualunque velocità e in qualunque fluido si muova (questo non è sempre vero, ma per la maggior parte dei casi non cambia molto).
Se si vuole avere la forza espressa in chilogrammi bisogna dividere il risultato ottenuto per l’accelerazione di gravità che per semplicità di calcolo prendiamo pari a 10 m/s2 (a Roma vale 9,806 m/s2, quindi la semplificazione comporta l’errore del 2%).
A titolo di esempio calcoliamo la forza che occorre applicare ad un corpo semplice come una lastra piana per muoverlo in acqua a bassa velocità, ci troviamo quindi nel caso teorico ideale di una Riabilitazione in vasca. Premettiamo che fisicamente la lastra è un corpo piano, cioè avente due dimensioni, i lati, predominanti rispetto alla terza, lo spessore: una lastra quadrata, cioè con il rapporto tra i lati uguale circa ad uno, ha il coefficiente di forma pari a circa 1,2. Supponiamo infine che si muova in acqua alla velocità di 1 m/s (pari a 3,6 Km/h) e che abbia il lato di 20 cm (quindi la sezione frontale è di 0,2 x 0,2 = 0,04 mq).
La forza è, come abbiamo detto, F= 1/2 p.V2.S.Cx
cioè:
1000 : 2 x (1 x 1) x 0,04 x 1,2 = 24 Newton
Se la vogliamo espressa in Kg dobbiamo dividere il tutto per il valore dell’accelerazione di gravità che abbiamo preso pari a 10 m/s2, otteniamo così il valore di 2,4 Kg.
Nel caso la velocità fosse stata di 2 m/s la forza sarebbe stata
1000 : 2 x (2 x 2) x 0,04 x 1,2 = 96 Newton oppure 96:10 = 9,6 Kg
cioè, come si è visto, raddoppiando la velocità la forza si quadruplica.
A titolo di esempio vediamo la forza che servirebbe per muovere la stessa lastra sempre a 1m/s ma in aria:
1,2 : 2 x (1 x 1) x 0,04 x 1,2 = 0,0288 Newton cioè 0,00288 Kg!!!
Non si deve poi dimenticare che il galleggiamento assume valori notevoli in acqua proprio per la sua elevata densità e che spesso può essere di aiuto facendo diminuire il peso gravante su di un arto agevolandone così il moto secondo le modalità stabilite (in realtà la spinta di Archimede esiste anche nell’aria, ma, dal momento che è pari al peso del volume di fluido spostato e che, come abbiamo visto, l’acqua è molto più pesante, nell’aria è molto ridotta).

Applicazioni pratiche

Veniamo adesso al caso pratico di nostro interesse, cioè quello del computo della forza necessaria a muovere un arto (ad esempio la rotazione di una gamba attorno al ginocchio) in acqua dopo che gli sia stata applicata saldamente una lastra piana per aumentarne la resistenza all’avanzamento.
Allo scopo è stato messo a punto un software dedicato (ROSS; Zanolli, Faccini, Dalla Vedova, Besi, Leonardi)) con il quale si considerano, oltre a variabili fisse, anche variabili dipendenti, che permettono di calcolare sia il carico che si applica ad ogni movimento per diverse superfici di tavolette, che la progressione del carico stesso aumentando la velocità di esecuzione.

Le prove sperimentali effettuate hanno confermato l’ordine di grandezza riportato nelle figure per i carichi ottenuti.
Si può dunque concludere dicendo che il modello di calcolo presentato presenta sufficiente precisione per descrivere lo stato attuale della ricerca e che, pur con le varie imprecisioni presenti e con la necessità di ulteriori aggiustamenti sperimentali, è già in grado di fornire velocemente e con calcoli relativamente semplici un’idea abbastanza precisa della dinamica del fenomeno e dell’ordine di grandezza delle forze in gioco.
Le tavolette utilizzate in questa metodica riabilitativa, sono di materiale plastico, la cui forma, dimensione e collocamento, variano a seconda del carico e dei distretti articolari che si vogliono impegnare.

E’ quindi possibile, conosciuta la superficie della tavoletta e la velocità di esecuzione del movimento (cronometrabile con buona approssimazione), definire il carico cui è sottoposta la catena cinetica muscolare interessata, oppure viceversa, stabilito il carico, indicare a quale velocità deve essere fatto il movimento.
In questo modello sperimentale non è stato considerato, per ovvi motivi esemplificativi, il coefficiente di galleggiamento del corpo umano, dal momento che, nella fase riabilitatoria, si può zavorrare il paziente, allo scopo di annullare questa forza tendente verso l’alto o, come normalmente avviene, il paziente si sostiene ad apposite maniglie.

Descrizione del metodo di lavoro in acqua

Nella pratica riabilitatoria si utilizza una tavoletta di materiale plastico duro, di forma quadrangolare, con sottostante una centina anatomica che la adatta alla forma del distretto muscolare su cui viene collocata, assicurandola con una cinta di Velcro.
Il metodo di lavoro con tavolette in acqua dovrà prevedere tale progressione metodologica:

1- Dinamometria isometrica (valutazione della forza muscolare)
2- Scelta del carico da applicare tramite software (quantità, intensità) e quindi delle caratteristiche su cui si baserà il movimento (larghezza della tavoletta, numero e velocità delle ripetizioni).
3- Effettuazione del movimento (dopo aver posto il paziente in vasca nelle condizioni ottimali).

E’ di fondamentale importanza che il paziente assuma durante la riabilitazione in acqua una posizione verticale, facendo in modo che si assicuri a delle maniglie poste ai lati della vasca: si è infatti in precedenza descritto come sia variabile il carico con il variare della direzione del moto imposto alla tavoletta. Per angoli diversi consigliamo di studiare la resistenza in base alla formula descritta in precedenza.

Descrizione di alcuni esercizi

La descrizione completa del metodo con WAT-JOB, presuppone una classificazione del tipo di patologia da riabilitare: pertanto si descriveranno due soli esercizi, considerati, dal punto di vista didattico, i più esplicativi.
1- Patologia dell’ articolazione coxo femorale: riabilitazione del movimento di flessione della coscia sul bacino.

La tavoletta va posizionata in senso parallelo alla coscia, distalmente all’articolazione dell’anca, poi si procede all’esercizio.
Sulla base di quanto in precedenza detto, con una tavoletta di cm. 20×20 sottoposta a movimento di semirotazione su un asse fisso ( in questo caso l’ asse è quello passante per l’articolazione coxo-femorale) a circa 2 m/s il paziente deve vincere una resistenza di 3.32 Kg ogni rotazione, pertanto, dopo 10 ripetizioni, egli avrà spostato circa 33 Kg.
2- Patologia dell’articolazione femoro tibiale: “movimento tipo catena cinetica ” di flessione semi completa dell’anca e di estensione del ginocchio. 

La figura dimostra come sia possibile far compire ad un muscolo un movimento complesso: il quadricipite femorale è flessore della coscia sul bacino ed estensore della gamba sulla coscia (estensore del ginocchio). Posizionando quindi una tavoletta come in Fig. 3 ed un altra sulla zona sovrastante la caviglia, si otterrà il risultato di un movimento a catena cinetica completo del quadricipite.
E’ chiaro che le tavolette utilizzate possono essere di diverse dimensioni, onde somministrare carichi differenziati.
Quindi, in conclusione, le due condizioni che possono far aumentare il carico di lavoro sono: l’aumento della velocità del movimento in acqua e l’aumento delle dimensioni di superficie esposta alla resistenza della tavoletta. Allo scopo, si possono utilizzare delle appendici laterali da applicare alla tavoletta stessa.

VALIDAZIONE DEL METODO WAT-JOB DI RIABILITAZIONE IN ACQUA CON SOVRACCARICHI QUANTIFICABILI, TRAMITE STUDIO DEL COSTO ENERGETICO SU ATLETI.

Faccini, Zanolli, Dalla Vedova, Selletti, Giombini, Vernieri

Gli autori, in passato, hanno sviluppato e messo in pratica un originale protocollo di lavoro, denominato Wat-Job, per lo svolgimento di esercizi riabilitativi in acqua con sovraccarichi quantificabili. E’ stato provato in molte pubblicazioni scientifiche che la riabilitazione in acqua con questa tecnica, presenta diversi vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali: va ricordato che il lavoro in acqua si svolge in presenza di forze gravitazionali ridotte che caricano in modo trascurabile le articolazioni infortunate, prevenendo così l’insorgere di patologie infiammatorie, ottenendo la riabilitazione della “functio lesa” in tempi minori rispetto alle tecniche tradizionali.
Per contro, una delle maggiori difficoltà consiste nella quantificazione corretta delle forze in gioco durante i diversi tipi di movimento in acqua: ciò non è sempre semplice a causa della complessità del movimento e della particolarità dell’ambiente in cui viene eseguito.
Il principio su cui si basa la tecnica Wat-Job è che un corpo in moto in un fluido genera una scia e dei vortici, dai quali derivano turbolenza e una resistenza globale all’avanzamento di tutto il sistema. Per accentuare il fenomeno gli autori hanno introdotto l’uso di tavolette di dimensioni diverse applicate sugli arti in movimento; ottenendo con buona approssimazione la quantificazione dell’entità dei carichi. Ciò è stato possibile tramite la messa a punto di un software dedicato (R.O.S.S. – Rehabilitation Overload Simulation Software) basato sul calcolo di variabili quali i parametri antropometrici dell’atleta, il tempo di esecuzione del gesto in acqua, la dimensione delle tavolette. Infatti, è noto che la resistenza all’avanzamento di un corpo in un fluido dipende dalla densità del fluido (p), dalla forma (Cx), dalla sezione del corpo (S) e dalla velocità relativa di movimento (V): F=1/2p.V2.S.Cx
I risultati, che qui presentiamo, si riferiscono alla validazione fisiologica del metodo. Allo scopo abbiamo studiato con l’ausilio di metabolimetro telemetrico (K4 della COSMED), il consumo energetico (VO2, frequenza cardiaca, lattatemia) di 7 atleti (5 giocatori di rugby e 2 atlete di mezzofondo veloce) durante lo stesso tipo di esercizio svolto in acqua con le tavolette in tre maniere diverse: 2 serie di 10 ripetizioni eseguite per 3 volte senza sovraccarico e, successivamente applicando tavolette da 20 x 20 e da 25 x 25 cm di lato.

I dati sono stati suffragati dallo studio del carico ottenuto applicando degli accelerometri sulla tavoletta a parità di gradi di movimento corrispondenti ai sovraccarichi calcolati dal software R.O.S.S. Il confronto fra gli esercizi in acqua ha messo in evidenza che, nell’esercizio senza sovraccarichi si hanno costi energetici molto bassi (mediamente il 33,3% di VO2 max, 64,5% di Hr max e 26,1% di Lattatemia max), mentre applicando sovraccarichi (tavolette), questi consumi aumentano notevolmente, arrivando, in alcuni atleti, a superare sia il lavoro organico che quello meccanico ottenuto nella prova da sforzo al cicloergometro (93,9% di VO2 max). La spiegazione di ciò va individuata nel fatto che il Cx della coscia è molto favorevole, resistendo all’acqua in maniera molto minore rispetto allo stesso distretto anatomico a cui è stato aggiunto una lastra piana con Cx più sfavorevole.

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