MASSAGGIO & BODYWORK T.I.B.
Giovanni Chetta
PREMESSA
Tutto nasce alla fine degli anni ’90 quando, lungo il mio cammino nel campo della salute, iniziato ufficialmente nella seconda metà degli anni ’80, incontrai il Dr. Giovanni Leanti La Rosa. All’epoca egli aveva già sviluppato e praticava da ca. 20 anni una sua tecnica di massaggio, denominata “Massaggio Antistress”. Mi accorsi subito che questa tecnica, vero e proprio mix creato ad arte del meglio di innumerevoli metodologie di trattamenti manuali, presentava enormi vantaggi rispetto alla classica massoterapia e agli altri metodi di massaggio da me conosciuti. L’approfondita preparazione scientifica del Dr. Leanti nonché la sua personale fortissima motivazione personale, derivata dal fatto che solo il massaggio lo aveva “salvato” da un crescendo di problematiche ansiogene che null’altra terapia (convenzionale e non) era riuscita a placare, avevano permesso tutto ciò.
Da allora mi sono adoperato prima ad apprendere nei minimi dettagli e “segreti” tale metodica, lavorando “gomito a gomito” col suo ideatore, e successivamente a svilupparne l’applicazione anche in ambiti diversi da quello delle tipiche problematiche da stress, quali masso-fisioterapico, sportivo e posturologico, trasferendone i preziosi vantaggi e peculiarità.
Sulle solide fondamenta già costruite e formate dai presupposti scientifici e dalla tecnica operativa, è così occorso integrare ancor più con tecniche osteopatiche, bodywork nonché alcune del tutto originali, approfondendo e ricercando sinergicamente in materie come la posturologia, l’ergonomia, la programmazione neuro-linguistica la psiconeuro-endocrino-immunologia e, non certo ultime per importanza, le nuove conoscenze sul sistema connettivo.
Tenendo sempre ben presente l’insegnamento del Dr. Leanti La Rosa “Tutto è perfettibile”, ciò che viene in questa pubblicazione descritto è così il frutto di dieci anni di ricerca nonchè pratica personale su svariate problematiche in più di 2.000 soggetti.
IL MASSAGGIO
IL PIÙ ANTICO E NATURALE SISTEMA DI CURA
La parola massaggio sembra derivare dall’arabo “mass” o “mash” (frizionare, premere) o dal greco “masso” (impastare, maneggiare). I benefici fisici e psicologici di questa pratica sono stati riconosciuti fin dall’antichità tanto che si può senz’altro affermare che l’arte medica abbia avuto inizio proprio col massaggio.
Nel “Kong Fou”, testo cinese del 2698 a.C., vengono descritti esercizi fisici e vari tipi di massaggio il cui scopo era il raggiungimento di un perfetto equilibrio psico-fisico. Nel XVIII secolo a.C., nel testo sacro L’Ayur-Veda, Brahama raccomanda ai suoi discepoli il massaggio a scopo igienico. Anche la letteratura medica di Egiziani, Persiani e Giapponesi contiene spesso riferimenti ai benefici effetti del massaggio.
Basandosi su conoscenze limitate sulle funzioni del corpo, i primi medici erano tuttavia in grado di utilizzare il massaggio in modo efficace per la cura dell’affaticamento, delle malattie e dei traumi. Ippocrate (406 a.C.), medico greco padre della medicina moderna, descrisse “l’anatripsis”, letteralmente “frizione verso l’alto”, come pratica più efficace rispetto allo stesso movimento effettuato verso il basso sugli arti, dimostrando di aver intuito il meccanismo della circolazione linfatica e sanguinea dimostrato poi da Harvey all’inizio del XVII secolo d.C. Nei suoi scritti, Ippocrate confermò le virtù del massaggio dedicando alla pratica massoterapica importanti osservazioni, anch’esse confermate molti secoli dopo la sua morte. Egli scriveva “i medici devono essere esperti in molte cose, tra queste senza dubbio anche il massaggio” e, ancora, “Il rimedio è applicabile ai mali acuti come a quelli cronici e alle varie forme di debolezza, poiché queste cure hanno potere rinnovatore e rinvigoritore. Mi è spesso sembrato, mentre stavo così curando i miei pazienti, come se le mie mani avessero la singolare proprietà di estrarre i prodotti di rifiuto e le diverse impurità raccolte nelle parti malate”. In Europa, per tutta la durata dell’Impero Romano, questa pratica è stata un elemento importante per la cura della salute, tanto da porre il “massista” sullo stesso piano del medico; e se ne parla molto nei documenti di tale periodo.
Mentre in Oriente la tradizione del massaggio fu portata avanti, nei paesi occidentali il culto di questa pratica si interruppe durante il Medioevo, quando l’oscurantismo portò a disprezzare e rinnegare i bisogni del corpo e i piaceri della carne, concentrandosi esclusivamente sulla sfera spirituale (creando così una frattura nell’individuo) e occorse attendere il Rinascimento e il XVI secolo per assistere al ritorno del massaggio in ambito terapeutico (principalmente in Francia e nord Europa).
Nel XX secolo, i grandi progressi compiuti dalla medicina convenzionale posero inizialmente in secondo piano le terapie tradizionali, che erano state praticate per secoli, così che la maggior parte della popolazione occidentale, abbagliata da ciò, fino a qualche decade fa, conosceva a stento il valore terapeutico del contatto umano.
Tuttavia attualmente il massaggio sta vivendo un momento di vigorosa rinascita, grazie a un forte bisogno di ritorno ai valori “naturali” soprattutto come reazione alle condizioni di intenso stress e di abuso di farmaci imposti dalla moderna società.
Oggi la moderna ricerca scientifica ha definitivamente riconosciuto il massaggio come terapia efficace definendone i meccanismi d’azione, le indicazioni e le controindicazioni cliniche. Non solo, le sempre più numerose e recenti scoperte sull’importanza di matrice extracellulare e sistema connettivo nell’intera fisiologia stanno riportando coloro che, con tecniche di movimento e/o di massaggio, sono in grado di agire profondamente su di essi, all’antico ruolo di primaria importanza nell’ambito della salute.
INDICAZIONI DEL MASSAGGIO CLASSICO
La massoterapia ovvero il massaggio terapeutico presenta numerose applicazioni in medicina riabilitativa, sportiva, vascolare, estetica e in reumatologia anche se l’azione globale del massaggio fa sì, come già accennato in precedenza, che il suo campo di applicazione sia in realtà più vasto di quanto normalmente si immagini.
CONTROINDICAZIONI E ZONE INTERDETTE AL MASSAGGIO CLASSICO
Il massaggio può comportare, nei seguenti casi, l’accentuazione dei sintomi:
- traumi recenti (occorre aspettare riparazione tessuto)
- processi infiammatori acuti (di origine traumatica, infettiva o allergica)
- gravi flebopatie (flebiti o tromboflebiti)
- insufficienza cardiaca con edema agli arti inferiori (edema di natura secondaria)
- patologie del sistema nervoso centrale (SNC) a evoluzione spastica (in realtà più correttamente tale controindicazione è da riferirsi solo a talune manualità, in particolare ,quelle che comportano un aumento del tono muscolare)
- gravi necrosi (per il pericolo di eccesso di eliminazione di sostanze proteiche)
- processi febbrili (per il pericolo di aumento della temperatura locale)
- neoplasie (per il supposto ma non dimostrato pericolo di diffusione linfatica delle metastasi)
- dermatiti o dermatosi (per il pericolo di irritazione, relativamente alle dermatiti e le dermatosi pruriginose, e di contagio, relativamente alle dermatiti infettive).
Di norma si definiscono zone interdette al massaggio (in quanto potrebbe risultare fastidioso o dannoso): tutte le salienze ossee (malleoli, cresta e piatto tibiale, rotula, grande trocantere del femore, cresta iliaca, apofisi spinosa delle vertebre, osso sacro, sterno, clavicola, scapola, gomito-olecrano) e i punti di affioramento di organi vascolari, nervosi e linfatici (cavo popliteo, cavo inguinale, cavo ascellare, cavo o fossa retro-claveolare), organi sessuali.
Zone semi-interdette al massaggio, ovvero da massaggiare con particolare cautela, vengono invece considerate: la faccia antero-laterale del collo, la zona retro-auricolare, il solco tibiale e la zona anteriore del gomito.
TIPI DI MASSAGGIO
Classicamente si distinguono quattro classi di massaggi con diverse indicazioni:
1) Massaggio terapeutico (massoterapia), la cui finalità è ristabilire totalmente o parzialmente la funzionalità di organi malati tramite specifiche manualità massoterapiche. In questa categoria di massaggi rientrano, oltre al massaggio terapeutico classico e al massaggio e bodywork TIB qui esposto, il linfodrenaggio, il massaggio connettivale (miofasciale, neuroconnettivale, il massaggio trasverso profondo, il massaggio miofasciale, il rolfing, il massaggio Tuina, il massaggio Ayurvedico e numerose altre tecniche di massaggio e bodywork occidentali e orientali.
2) Massaggio igienico che ha come scopo la prevenzione e il miglioramento delle condizioni di salute esistenti. Agisce a livello delle strutture muscolo-tendine (ottimizzandone la fisiologia), della circolazione sanguinea (favorendo gli scambi metabolici e il ritorno venoso e linfatico), sul sistema nervoso e quindi sulla psiche (grazie alle sue proprietà rilassanti riduce il ritmo cerebrale e riequilibra l’attività dei due emisferi cerebrali). In questa categoria di massaggi troviamo il massaggio antistress, il massaggio californiano, il massaggio trager, lo stone massage ecc.
3) Massaggio estetico che ha l’obiettivo di eliminare gli inestetismi cutanei e sottocutanei e di rallentare l’invecchiamento della pelle. L’azione di questo tipo di massaggio riguarda quindi perlopiù la pelle, in particolare il derma e l’ipoderma, e viene normalmente combinato all’utilizzo di prodotti estetici (creme, oli ecc.) specifici.
4) Massaggio sportivo specifico per le attività agonistiche (in cui si possono avere grosse sollecitazioni di muscoli, tendini e articolazioni). Questo tipo di massaggio si differenzia, a sua volta, in massaggio sportivo pre-gara ossia di preparazione al gesto atletico (con manualità elasticizzanti e vascolarizzanti), massaggio sportivo post-gara che mira a velocizzare al massimo il recupero fisico dopo lo sforzo muscolare (con azione drenate, defaticante e miorilassante ossia di decontrazione muscolare), massaggio sportivo infra-gara che utilizza manualità del massaggio pre-gara e post-gara in base alle caratteristiche fisiologiche dell’atleta e dell’attività sportiva.
MANUALITÀ E MECCANISMI D’AZIONE DEL MASSAGGIO CLASSICO
Ogni manualità produce cambiamenti fisiologici sempre tramite due tipi di azione (presenti in proporzione diversa in base alla manualità):
1) azione diretta o meccanica: stimolo fisico prodotto direttamente su tessuti e organi
2) azione indiretta o neuroriflessa: stimolazione dei recettori nervosi di cute, fascia connettivale, muscoli, tendini, legamenti e capsula articolare che trasmettono lo stimolo al SNC, il quale risponde provocando variazioni fisiologiche di tipo riflesso anche su organi lontani dal punto di stimolazione diretta.
– Sfioramento superficiale. Si esegue con la mano o entrambe le mani che scivolano sulla cute, con le dita lunghe unite e il pollice abdotto; la pressione esercitata equivale a quella di una carezza. Serve a distribuire il lubrificante ed è il primo contatto rassicurante. Evidenzia anomalie cutanee-vascolari e zone interdette.
– Sfioramento appoggiato: si esegue come lo sfioramento superficiale ma con una pressione decisamente maggiore. Se lento ha effetto miorilassante e psico-rilassante (azione neuroriflessa sul sistema nervoso vegetativo), di drenaggio, peeling (eliminazione cellule morte dello strato corneo), mentre se eseguito velocemente determina iperemia con aumento della temperatura locale, del tono muscolare e del livello di attenzione (aumento dei ritmi cerebrali).
– Frizione: si esegue con la mano, con le dita lunghe unite e il pollice addotto o con le sole dita (in base alle zone da trattare), effettuando delle rotazioni, senza scivolare, sulla cute, in modo tale che il sottocute scivoli sui tessuti sottostanti. Ha come effetto il riassorbimento dei liquidi interstiziali (elimina edemi, ematomi e cataboliti) e la risoluzione strati aderenziali (per traumi esogeni o endogeni quali gli strappi muscolari).
– Impastamento o spremitura: si esegue una compressione del muscolo tramite: pressione della mano e contro-pressione dell’osso sottostante, pressione di una mano e contro-pressione dell’altra, pressione del pollice e contro-pressione delle dita lunghe della stessa mano o dell’altra mano. Se si esegue in modalità profonda ha come effetti la diminuzione del tono muscolare e, per azione neuroriflessa, delle attività cerebrali, con effetti antispasmotici e di miglioramento della circolazione (importante effetto antalgico nei casi di contratture reumatiche o da affaticamento) e rilassante. Se eseguito in modalità superficiale (pincè roulè, palpé roulè) agisce come iperemizzante e risolve i casi di strati aderenziali superficiali.
– Scuotimento: si esegue con una mano che afferra il ventre muscolare, tra pollice e dita lunghe unite, e imprime un movimento trasversale, rispetto al segmento osseo sottostante, di tipo “vai e vieni”. Presenta effetto drenante e, se blando, rilassante o tonificante e “risvegliante” se energico.
– Rotolamento: si esegue con le due mani, con le dita lunghe iperestese e il pollice addotto, che afferrano il muscolo e gli imprimono torsioni “vai e vieni” intorno all’asse osseo. Gli effetti sono uguali a quelli dello scuotimento ma più marcati. Inoltre presenta un’azione fibrolitica su microcicatrici muscolari e aderenze varie.
– Battitura a coppetta: si esegue con le mani, con le dita semiflesse e il pollice addotto (come nell’atto di bere da fontana), che percuotono alternativamente il muscolo così da avere, come effetti, un aumento della circolazione arteriosa (iperemia), del tono muscolare e del livello di attenzione (manualità utile ad es. quale preparazione poco prima di un gesto sportivo).
– Percussione ulnare e a “pugnetto”: si esegue con le mani, con le dita lievemente semiflesse, per la percussione ulnare, o flesse, per la percussione a pugnetto, che percuotono alternativamente il muscolo con, rispettivamente, la zona ulnare del V dito o il V metacarpale. Gli effetti sono uguali alle battiture a coppetta, con maggior effetto meccanico sui tessuti connettivi lassi sottocutanei, a causa dell’effetto vibratorio.
– Vibrazione: si esegue con le punte delle dita che imprimono profondamente un’onda vibratoria, con direzione alto à basso o tangenziale rispetto alla cute. Nel primo caso (direzione alto à basso), gli effetti sono: aumento del tono muscolare e della peristalsi, se eseguita a livello dell’intestino. Nel secondo caso (direzione tangenziale alla cute), si ha invece una normalizzazione della densità della sostanza fondamentale dei tessuti connettivi lassi sottocutanei.
– Pizzicamento: si effettua utilizzando le prime dita con le mani che, alternate ritmicamente, sollevano una plica cutanea. Come effetto risulta un’iperemia e un aumento della sensibilità locale (per azione neuroriflessa vasomotoria), utile nel trattamento di ipoestesie (abbassamento della sensibilità per traumi al sistema nervoso periferico).
Pressioni manuali profonde, eseguite in maniera statica o con lenti movimenti, oltre a favorire la trasformazione “gel to sol” della sostanza fondamentale della fascia connettivale (grazie alle sue proprietà tixotropiche), stimolano i meccanorecettori di Ruffini (specie per forze tangenziali come lo stretching laterale) e una parte degli interstiziali (descritti in seguito nel paragrafo “Meccanorecettori fasciali”) inducendo un incremento dell’attività vagale con i relativi effetti sulle attività autonome fra cui un rilassamento globale di tutti i muscoli oltre che mentale (van den Berg & Cabri, 1999). Risultato opposto è ottenuto tramite manualità rapide ed energiche (manipolazioni, vibrazioni, pizzicamenti, battiture ecc.) che stimolano i corpuscoli di Pacini e i Paciniformi (Eble 1960).
IL MASSAGGIO & BODYWORK T.I.B. (MATIB)
CONCETTI CHIAVE
Al fine di chiarire al meglio i principi su cui si basa il Massaggio & Bodywork TIB occorre approfondire alcuni principi base: “i fondamentali”.
STILE DI VITA E HABITAT INNATURALE
Lo stile di vita così come l’ambiente stanno subendo e subiranno radicali cambiamenti. Tutto ciò comporta, di conseguenza, esigenze di cura e benessere attualizzate e specifiche. Il cibo, l’habitat, il tipo di lavoro e di vita, lo stress, comportano in noi profonde mutazioni fisiche e psichiche (Fig. 2).
L’animale motorio uomo, evolutosi e selezionatosi quale grande camminatore e discreto arrampicatore, si trova oggi a vivere, di norma, su superfici artificiali (terreno piano, sedie, scrivanie) del tutto sfavorevoli alla propria biomeccanica e fisiologia. Tale ambiente artificiale risulta in realtà essere un ulteriore inquinamento ambientale (che va a sommarsi a quello atmosferico, sonoro, visivo ecc.) e comporta inesorabilmente problematiche psico-fisiche tra cui, a partire dai primi passi, alterazioni posturali e, col tempo, perdita di abilità motorie e capacità propriocettive.
Oltre a ciò, il nostro istinto reagisce sempre alle situazioni di stress preparandoci “alla fuga o alla lotta” effettuando i relativi adeguamenti fisiologici: aumento del metabolismo (frequenza cardiaca, pressione arteriosa, sudorazione, respirazione), aumento della concentrazione di zucchero e grassi nel sangue, contrazione dei muscoli scheletrici, confluenza del sangue dalle aree periferiche e dagli organi secondari verso cuore, polmoni, muscoli scheletrici, riduzione delle secrezioni e motilità gastroenteriche, diminuzione dell’attività del sistema immunitario ecc. Lo stress comporta tensione muscolare (difese muscolari), sia acuta che cronica, e questa può bloccare lo stato di benessere. Inizialmente è interessata solo la muscolatura, successivamente la contrazione diviene cronica ossia costantemente attiva a livello inconscio (il muscolo rimane contratto non avendo più l’energia per espandersi) e il tessuto connettivo relativo si ristruttura determinando una retrazione miofasciale (descritta ne paragrafo “Il sistema connettivo e miofasciale”). Infine, le articolazioni interessate, compresse incessantemente dalla cronica tensione muscolare, vanno incontro a un’artrosi precoce e quindi alterazioni posturali ecc. Inoltre, un gruppo di muscoli in tensione esercita un’influenza su altri muscoli, sia per un fatto muscolare che nervoso (i neuroni eccitati eccitano quelli vicini); coesiste quindi un grande spreco di energia, che permane anche durante il sonno, capace di portare a una stato di debolezza e malessere psico-fisici cronici.
Figura 2 – Movimento e alimentazione rappresentano le fondamenta su cui si costruisce il nostro intero essere. Più di 1/4 delle strutture sistema nervoso centrale partecipano direttamente e più della metà indirettamente alla pianificazione e all’esecuzione dei movimenti. L’uomo quindi, con i sui 650 muscoli e 206 ossa, è un “animale motorio“. A partire dalla fase embrionale, le funzioni motorie sono all’origine delle attività cognitive incluso lo stesso linguaggio. Perdere il controllo sul proprio corpo significa, di conseguenza, perdere il controllo sui propri pensieri ed emozioni (Oliverio, 2001).
Il sistema muscolare costituisce un sistema ad alta priorità: quando è attivato, gli altri sistemi, come quelli responsabili della percezione delle sensazioni, dell’attenzione, delle attività cognitive ecc., sono in stato di relativo blocco, in quanto tale stato è legato all’esecuzione di azioni importanti per la sopravvivenza, come la fuga, l’attacco, la ricerca del cibo, di un partner sessuale, del nido. Qualsiasi attività fisica convulsa e rapida blocca i sensi. Se si trangugia rapidamente il cibo non se ne apprezzerà il gusto, se siamo abituati a stringere i pugni o la mascella difficilmente il nostro corpo sarà veramente rilassato, difficilmente la nostra mente percepirà le sensazioni con la stessa intensità dei veri stati di relax subendo così uno stato di”dispercezione” corporea. Attivare i muscoli come se si dovesse verificare un movimento, significa quindi coinvolgere altri muscoli, ridurre il flusso delle sensazione e delle idee. Se lo stress si protrae a lungo (stress cronico) è quindi in grado di comportare disagi psico-fisici anche gravi (inclusa l’alterazione del codice genetico).
I ritmi cerebrali e il potere del rilassamento
Nel cervello vi è un’intensa attività elettrica. Fu il dottor Hans Berger che per primo, nel 1929, ne descrisse i quattro tipi di ritmi o onde, dette elettroencefalografiche, caratterizzate da diverse frequenze (o cicli al secondo):
– Ritmo Beta (frequenza superiore a 14 hertz). È lo stato di veglia attiva, caratterizzata da tensione mentale e muscolare, che prevale quando siamo impegnati, vigili, con l’attenzione quasi tutta rivolta all’esterno o al “rimurginio” (dialogo interno) intenso. È il ritmo del massimo dispendio di energie nervose e fisiche, in cui domina il sistema nervoso ortosimpatico. Coincide anche con la fase di sonno paradosso ovvero di quando si sogna (fase REM). È il ritmo dello stress acuto ed è a esso direttamente proporzionale. Gli ormoni dello stress portano il cervello alla massima attività e, a lungo andare, al massimo logoramento da eccesso di superlavoro. Gli iperattivi passano gran parte del loro tempo in questo ritmo.
– Ritmo Alfa (frequenza ca. 8-13 hertz). È il ritmo del distacco dalla realtà esterna. Coincide col rilassamento e il calo dell’attività cerebrale. Nelle persone sane, non sotto stress, questo stato si genera automaticamente chiudendo semplicemente gli occhi. M. H. Erickson definirebbe questo stato come “il normale stato di trance quotidiana” da tutti sperimentato.
– Ritmo Teta (frequenza ca. 4-7 hertz). Coincide con lo stato di dormiveglia. È la fase in cui è favorito il pensiero associativo e creativo. È il ritmo dei lampi di genio, delle illuminazioni improvvise. In questa fase si è aperti all’ascolto interiore, all’introspezione. Ma è anche il ritmo della rigenerazione psicofisica. Corrisponde allo stato di trance normalmente raggiunto durante una seduta di ipnosi.
– Ritmo Delta (frequenza inferiore a ca. 3 hertz). Coincide col sonno profondo senza sogni e col rilassamento muscolare intenso. In questa fase si ha la massima produzione dell’ormone della crescita GH (che durante tutta la vita è indispensabile per il rinnovamento cellulare oltre che, nella prima fase, per la crescita). e la massima attività del sistema immunitario. È il momento topico per tutti i nostri processi rigenerativi e per la produzione di “endofarmaci”: i potenti farmaci prodotti dal ns. organismo ad azione altamente specifica. Noto a tutti è ormai il grande potere dell’effetto “placebo”. Esso stimola l’autoproduzione di farmaci dell’organismo grazie al senso di tranquillità, all’effetto calmante, scaturito dalla ferma convinzione di aver assunto qualcosa che ci farà presto star bene. Al contrario, la tensione mentale (ad es. la paura) così come la prolungata assunzione di farmaci (tramite un meccanismo di feed-back) inibiscono l’azione del nostro “medico interno”.
Il ritmo delta è sotto il massimo dominio del sistema nervo parasimpatico e prevale nel sonno dei buoni dormitori. Quando è alterato, la persona dorme male, si rigenera poco e tende quindi a essere stanca, ad ammalarsi facilmente e ad avere disturbi psicosomatici. Da qui l’importanza di tecniche e attività che favoriscono il rilassamento.
IL POTERE DELLA VISUALIZZAZIONE
Gli studi dello psichiatra americano dr. Milton H. Erickson hanno evidenziato che il cervello non distingue tra realtà e un’ottima visualizzazione. Le immagini mentali rispondono alle stesse leggi e processi delle percezioni reali. In effetti il cervello funziona in larga misura per immagini (la modalità linguistica è poco rilevante rispetto a quella immaginativa) ed è tramite questo principale meccanismo che si manifestano gli effetti psicosomatici dimostrati dalla psiconeuro-endocrino-immunologia (descritta in seguito). Vari studi hanno dimostrato la possibilità di influenzare diversi parametri fisiologici tramite visualizzazioni guidate: battito cardiaco, pressione sanguinea, attività elettromiografica, percezione del dolore, processi di guarigione e riabilitazione ecc. Effetti del rilassamento immaginativo sono: aumento dell’ampiezza e regolarità delle onde alfa, diminuzione del consumo di ossigeno e della frequenza cardiaca e respiratoria, regolazione della produzione dell’ormone cortisolo, aumento notturno della produzione dell’ormone melatonina (con conseguente miglioramento della qualità del sonno e della sincronizzazione dei ritmi biologici).
Ulteriori ricerche sulla corteccia motoria hanno dimostrato che essa è organizzata non tanto in base alle aree topografiche corporee quanto piuttosto relativamente a specifici movimenti corporei complessi indirizzati nello spazio verso un obiettivo definito (Graziano et al,. 2002). Da ciò ne consegue che un movimento eseguito immaginando (visualizzando), ad es., di afferrare, respingere o disegnare un oggetto coinvolge il sistema nervoso molto più dello stesso gesto eseguito solo meccanicamente, stimolando e sviluppando in tal modo la propriocezione di quella specifica articolazione o area corporea (Reed, 1996).
Conservare e sviluppare la capacità di visualizzazione è quindi di importanza fondamentale per l’uomo.
STRESS E CONDIZIONAMENTI NEURO ASSOCIATIVI
Va sottolineato che uno stesso stimolo è in grado di produrre sia uno stress più o meno positivo che uno stress più o meno negativo, in base alla nostra interpretazione, consapevole e inconsapevole, di esso; è ciò dipende dalle nostre esperienze, pregiudizi, convinzioni ecc.. Inoltre, è proprio l’aspetto emozionale il principale fattore nel determinare i processi fisiologici e biochimici della reazione di stress.
Con neuroassociazione o condizionamento neuroassociativo o imprinting psicobiologico si intende lo stato d’animo associato a un determinato stimolo. La risposta a tale stimolo è un determinato comportamento condizionato, associato a cambiamenti fisiologici dell’organismo, in base alle caratteristiche (tipo, intensità) del condizionamento stesso. Basti aggiungere, per ribadire l’importanza dei condizionamenti neuroassociativi, che, come afferma M. S. Gazzaniga, direttore del “Program in Cognitive Neuroscience” presso il Dormouth College, “il 98% di quello che fa il cervello è al di fuori del dominio della coscienza”.
Input ambientali –> Ricezione (visiva, auditiva, olfattiva, cinestesica) –> Modulazione tramite esperienze, convinzioni, generalizzazioni, neuroassociazioni ecc. –> Rappresentazione interna –> Reazione fisiologica –> Stato d’animo –> Comportamento
Da questi studi sono nate tutte le terapie e tecniche basate sui condizionamenti neuroassociativi (cognitivo-comportamentale, ipnosi moderna, terapia strategica, PNL ecc.) che mirano a un ampliamento dei limiti della realtà creato da ognuno di noi e a una gestione volontaria delle neuroassociazioni.
Così, ad esempio, allenando il soggetto a portarsi a bassi ritmi cerebrali durante la seduta di trattamento, si creerà un condizionamento neuroassociativo con la posizione distesa ovvero quella assunta sul lettino da massaggio, che porterà a un miglioramento del sonno, con tutti i benefici che ne conseguono. Non solo, se durante la sessione utilizziamo una musica gradita, sempre la stessa, anche qui determineremo, col passare delle sedute, un positivo condizionamento che la persona potrà sfruttare a suo piacimento a casa: gli basterà ascoltare la stessa musica. Lo stesso si può ottenere utilizzando il profumo ovvero l’essenza presente nell’olio da massaggio. La persona, ad esempio, potrà sentire la stessa essenza, e quindi le sensazioni ad essa associate, aggiungendola nel suo bagnoschiuma o semplicemente nebulizzandola nell’ambiente (le vie respiratorie consentono un effetto diretto sull’ipotalamo rappresentando così una via privilegiata e quindi particolarmente efficace di neuroassociazione).
IL RUOLO FONDAMENTALE DEL CORPO E DEL TATTO
“La vita di un individuo è la vita del suo corpo” – Alexander Lowen (1998)
Alberto Oliverio, nel suo libro “La mente, istruzione per l’uso” afferma: “Perdere il controllo sul proprio corpo significa, di conseguenza, perdere il controllo sui propri pensieri ed emozioni”. La Prof.ssa Cecilia Morosini, docente in neurologia clinica e riabilitativa presso l’università Bicocca di Milano, in un recente seminario aggiunge: “Qualsiasi malattia mentale, psicotica o nevrotica, spezza l’unità psichica e corporea. In tali casi, la prima cosa da fare sarebbe ridare al soggetto l’unità corporea”.
“Nulla è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi” (Aristotele)
In una relazione dell’Associazione medica Britannica il contatto corporeo è stato identificato tra le principali ragioni che spingono le persone verso terapie alternative.
Il senso del tatto è il primo a svilupparsi nell’embrione umano. Infatti, già a otto settimane di vita, quando l’embrione nell’utero è lungo appena tre centimetri e non possiede ancora né occhi né orecchie, è sufficiente un superficiale sfioramento delle sue labbra perché lui reagisca allontanando la testa.
Secondo i principi dell’embriologia, una funzione vitale è tanto più importante quanto più precocemente si sviluppa. Pertanto, è logico presumere che il contatto sia un bisogno primario per l’uomo. Dal tatto dipende la coscienza di noi stessi e la percezione del mondo intorno a noi. Il tatto ci fornisce il senso della profondità, dello spessore, della forma degli oggetti; è un senso a cui gli esseri umani sono particolarmente reattivi. La cute, con la sua ricchissima innervazione rappresenta un involucro sensitivo e riflessogeno d’eccellenza, da essa iniziano e finiscono i confini dell’IO.
Il tatto, il bisogno di contatto rappresentano un condizionamento neuroassociativo, un imprinting psicobiologico che si installa fortemente durante la vita fetale e che è quindi in grado di rappresentare un bisogno vitale. Infatti, l’embrione, all’interno della cavità uterina, è immerso e cullato nel liquido amniotico, da cui riceve una leggera stimolazione tattile. In questa prima fase della vita intrauterina, l’embrione sperimenta un continuo dolce idromassaggio che non si arresta neanche di notte, quando la mamma dormendo lo cullerà con la sua respirazione, lentamente e ritmicamente. Dal secondo mese di gravidanza in poi, l’embrione cresce rapidamente fino a riempire completamente l’utero. Verso l’ottavo mese, la stimolazione tattile è effettuata direttamente dalle morbide pareti muscolari uterine. Quello che prima era un idromassaggio è divenuto ora un vero e proprio massaggio avvolgente, profondo e ritmico, che culminerà con un ultimo energico massaggio durante il parto. Anche se non possiamo ricordare a livello conscio il periodo trascorso nell’utero di nostra madre, il nostro inconscio, la nostra pelle e il nostro corpo lo rammentano bene (Leanti La Rosa, 1990, 1992). Il futuro dell’adulto, i suoi comportamenti, la sua salute saranno per sempre legati a queste forti esperienze prenatali. Il distacco originario dalla madre, avvenuto col parto, è un’esperienza così traumatica per il neonato che, in base alle interpretazioni psicoanalitiche, per tutta la vita nutrirà nostalgia per il calore, le carezze e la perduta unione fisica con la madre, spinto dal ricordo inconscio della beatitudine provata nel grembo materno. È dal contatto sicuro e continuo durante l’infanzia, sempre secondo la moderna psicoanalisi, che dipende la fiducia basilare nel mondo.
Le ricerche sul comportamento dei bambini dimostrano che, potendo scegliere tra il cibo e un contatto rassicurante, la maggior parte opta per la seconda possibilità. Il dottor Lipsitt, della Brown University (New York), ha condotto esperimenti su gemelli prematuri posti in incubatrici, sottoponendo uno dei neonati a stimoli supplementari, per dieci minuti al giorno, toccandolo, coccolandolo e parlandogli. In seguito, si è potuto constatare che, all’età di quattro mesi, il gemello sottoposto a stimoli presentava una netta superiore capacità di apprendimento. Il medico americano David Sobel ha dimostrato, tramite due trial controllati, che accarezzare e massaggiare i bambini prematuri, tre volte al giorno per dieci giorni, li ha fatti crescere del quasi 50% in più rispetto a quelli curati solo medicamente (Angela, 2002).
Esiste quindi un fondamentale collegamento diretto tra il piacere provocato dal contatto fisico e i nostri ricordi inconsci relativi al periodo trascorso nel ventre materno che solo forti esperienze negative possono spezzare, con conseguenze spesso disastrose.
TOTALE INTEGRAZIONE MENTE-CORPO
Nel 1981, R. Ader pubblicò il volume “Psychoneuroimmunology” sancendo definitivamente la nascita dell’omonima disciplina.
L’implicazione fondamentale riguarda l’unitarietà dell’organismo umano, la sua unità psicobiologica non più postulata sulla base di convinzioni filosofiche o empirismi terapeutici, ma frutto della scoperta che comparti così diversi dell’organismo umano funzionano con le stesse sostanze.
Lo sviluppo delle moderne tecniche di indagini ha permesso di scoprire le molecole che, come le ha definite il famoso psichiatra P. Pancheri, costituiscono: “le parole, le frasi della comunicazione tra cervello e il resto del corpo”. Alla luce delle recenti scoperte, oggi sappiamo che queste molecole, definiteneuropeptidi, vengono prodotte dai tre principali sistemi del nostro organismo (nervoso, endocrino e immunitario). Grazie ad esse, questi tre grandi sistemi comunicano, al pari di veri e propri networks, tra loro non in modo gerarchico ma, in realtà, in maniera bidirezionale e diffusa; formando, in sostanza, un vero e proprio network globale.
In realtà, le sempre crescenti scoperte su un altro fondamentale sistema per l’organismo umano, il sistema connettivo, impongono l’espansione dalla psiconeuro-endocrino-immunologia (PNEI) alla psiconeuro-endocrino-connettivo-immunologia (PNECI) amplificano l’importanza dei trattamenti e cure in grado di agire sul sistema connettivo (quali massaggio e ginnastica).
IL SISTEMA CONNETTIVO E MIOFASCIALE
Figura 3
In circa 4 miliardi di anni vita su questo pianeta, gli esseri umani si sono evoluti quali aggregati di circa 6 trilioni di quattro diversi tipi di cellule disperse all’interno di un elemento fluido: cellule nervose, specializzate nella conduzione, muscolari specializzate nella contrazione, epiteliali specializzate nella secrezione (enzimi, ormoni ecc.) e connettivali (Fig. 3). Ciò che occorre considerare è che le cellule connettivali creano l’ambiente per tutti gli altri tipi di cellule costruendo sia l’impalcatura che le tiene assieme sia la rete di comunicazione fra esse. Il tessuto connettivo è in realtà un vero e proprio sistema, questa volta fibroso, che connette tutte le varie parti del nostro organismo. Esso forma una rete ubiquitaria, a struttura di tensegrità, che avvolge, sostiene e collega tutte le unità funzionali del corpo, partecipando in maniera importante al metabolismo generale. L’importanza fisiologica di questo tessuto è in realtà maggiore di quanto si supponga normalmente. Ma non solo, oggi sappiamo che, tramite delle specifiche proteine di membrana (integrine), il sistema connettivo è in grado di interagire con i meccanismi cellulari quali adesione e migrazione cellulare, crescita e divisione cellulare, sopravvivenza, apoptosi e differenziazione cellulare, sostegno al sistema immunitario ecc. (Hynes R., 2002).
Funzioni del sistema connettivo: mantenimento postura, connessione e protezione organi, equilibrio acido-base, metabolismo idrosalino, equilibrio elettrico e osmotico, circolazione sanguinea, conduzione nervosa, propriocezione, coordinazione motoria, barriera all’invasione di batteri e particelle inerti, immunitaria, processi infiammatori. riparazione e riempimento zone danneggiate, riserva energetica (lipidi), di acqua ed elettroliti, di ca. 1/3 delle proteine plasmatiche totali, migrazione cellulare, comunicazione intercellulare ed extra-intracellulare ecc.
Ci troviamo di fronte a un vero e proprio network sopramolecolare continuo e dinamico che si estende in ogni angolo e spazio corporeo composto da una matrice nucleare interna a una matrice cellulare immersa in una matrice extracellulare. A differenza dei networks formati dal sistema nervoso, da quello endocrino e da quello immunitario, il sistema connettivo presenta un metodo forse apparentemente più arcaico ma non certo meno importante di comunicazione: quella meccanica. Esso “semplicemente” tira e spinge comunicando così da fibra a fibra, da cellula a cellula e da ambiente interno ed esterno alla cellula e viceversa, tramite la trama fibrosa, la sostanza fondamentale e sofisticati sistemi di transduzione del segnale meccanico. Oltre a ciò va ricordato che qualunque forza meccanica in grado di generare una deformazione strutturale sollecita i legami inter-molecolari producendo un leggero flusso elettrico ossia la corrente piezoelettrica (Athenstaedt, 1969). In tali casi, le fibre collagene del tessuto connettivo distribuiscono le cariche positive sulla propria superficie convessa e le negative su quella concava trasformandosi così in semiconduttori (consentono il flusso di elettroni sulla loro superficie a senso unico). Ciò rappresenta un sistema di comunicazione tridimensionale e in tempo reale sistema connettivo-cellula tramite bio-segnali elettromagnetici in grado di comportare importanti modifiche biochimiche; ad esempio, nell’osso, gli osteoclasti non possono “digerire” osso piezoelettricamente carico (Oschman, 2000).
Pertanto, a differenza dei networks formati dal sistema nervoso, endocrino e immunitario, il sistema connettivo presenta un metodo forse apparentemente più arcaico ma non certo meno importante di comunicazione: quella meccanica. Esso “semplicemente” tira e spinge comunicando così da fibra a fibra, da cellula a cellula e da ambiente interno ed esterno alla cellula e viceversa, tramite la trama fibrosa, la sostanza fondamentale e sofisticati sistemi di transduzione del segnale meccanico. Quale componente della MEC (matrice extracellulare) il sistema connettivo sostiene fisicamente e fisiologicamente gli altri networks organici. È nel cristallo del sistema connettivo che viene determinato e registrato il nostro stato globale.
Fra i vari tipi di tessuto connettivo (tessuto connettivo propriamente detto, tessuto elastico, tessuto reticolare, tessuto mucoso, tessuto endoteliale, tessuto adiposo, tessuto cartilagineo, tessuto osseo, sangue e linfa), la fascia connettivale riveste un particolare interesse dal punto di vista posturale (Fig. 4).
Figura 4
Prendendo spunto dalla schematizzazione proposta da F. Willard (2007), si può considerare la fascia suddivisa all’incirca in quattro strati formanti cilindri longitudinali concentrici fra loro interconnessi:
– Lo strato/cilindro più esterno ricoprente tutto il corpo e presente sotto il derma, rappresenta la fascia superficiale. La fascia superficiale è composta da tessuto connettivo lasso (sottocutaneo al cui interno può esserci una trama di fibre collagene e soprattutto elastiche) e adiposo (pertanto il suo spessore, oltre che dalla localizzazione, dipende dalla nostra alimentazione). Tramite fibre, tale fascia forma un continuum con derma ed epidermide verso l’esterno e, al contempo, si ancora ai tessuti e organi sottostanti. La fascia superficiale rappresenta un’importante sede di stoccaggio di acqua e grasso, protegge da deformazioni e insulti meccanici e termici (strato isolante), è una via di passaggio per nervi e vasi sanguigni e permette lo scorrimento della pelle sopra la fascia profonda. Come la fascia profonda presenta poca vascolarizzazione.
– Sotto la fascia superficiale vi è la fascia profonda, detta anche cervico-toraco-lombare, che rappresenta uno strato cilindrico piuttosto coeso intorno al corpo (tronco e arti). Essa è costituita da tessuto connettivo denso irregolare formato da fibre collagene ondulate e da fibre elastiche (disposte secondo andamento trasversale, longitudinale e obliquo) e forma una membrana che riveste la parte esterna muscolare. Questa guaina ricopre il corpo estendendosi dal cranio, a livello del margine della mascella e della base craniale con cui è fusa, da qui si dirige verso gli arti superiori (fino a fondersi con la fascia superficiale a livello dei retinacoli del palmo della mano) e anteriormente passa sotto i muscoli pettorali, ricopre i muscoli intercostali e le coste, l’aponeurosi addominale e si connette alla pelvi. La fascia profonda gira posteriormente connettendosi ai processi trasversi e poi alle apofisi spinose vertebrali formando quindi due comparti (destro e sinistro) contenenti i muscoli paravertebrali.
A livello dell’osso sacro, tale fascia forma un “nodo” inasportabile (in quanto fuso con l’osso) in cui convergono i vari compartimenti fasciali del corpo e da cui si diparte la porzione di fascia profonda che percorre gli arti inferiori fino a fondersi con la fascia superficiale, a livello della pianta del piede nei retinacoli del talo.
Caratteristica distintiva della fascia profonda è quella di formare dei comparti strutturali e funzionali ossia contenenti determinati gruppi muscolari con innervazione specifica. Il compartimento conferisce anche delle caratteristiche morfo-funzionali specifiche al muscolo: un muscolo che si contrae all’interno di una guaina sviluppa una pressione che sostiene la contrazione stessa. I muscoli transversus abdominis costituiscono la parte attiva della fascia toraco-lombare.
A livello del singolo muscolo, la fascia profonda si continua, tramite i setti, le aponeurosi e i tendini (formati da fibre collagene parallele e quasi del tutto inestensibili), con la fascia muscolare costituita dall’epimisio (tessuto connettivo fibro-elastico che riveste l’intero muscolo) che si estende nel ventre muscolare costituendo il perimisio (tessuto connettivo lasso che riveste i fascicoli di fibre muscolari) e l’endomisio (delicato rivestimento connettivale della fibra muscolare).
Figura 5 – 1, 2, 3: Fascia profonda; 8: Muscoli paravertebrali; 9: Quadrato dei lombi; 10: Psoas
In condizioni fisiologiche, tali setti e rivestimenti consentono lo scorrimento delle fibre muscolari nonché il loro nutrimento. Questa fascia è direttamente collegata sia anatomicamente che funzionalmente ai fusi neuromuscolari e agli organi tendinei del Golgi (Stecco, 2002).
Come la fascia superficiale, la fascia profonda è scarsamente vascolarizzata e fornisce vie di passaggio per nervi e vasi. La fascia profonda riveste un’enorme importanza posturale e di protezione della colonna vertebrale (Chetta, 2010).
Il cilindro costituito dalla fascia profonda contiene due ulteriori cilindri longitudinali posti uno dietro l’altro e formanti, quello anteriore, la fascia viscerale e quello posteriore la meningea.
– Il cilindro posto anteriormente all’interno della fascia profonda, denominato fascia viscerale o splancnica, è una colonna fasciale che forma il mediastino, estendendosi dalla bocca all’ano tramite varie porzioni con simile struttura ed embriologia. Alcuni ricercatori considerano questa fascia un tutt’uno con quella profonda.
– Il cilindro posteriore, contenuto nella fascia profonda e posto dietro la fascia viscerale, rappresenta la fascia meningea che racchiude l’intero sistema nervoso centrale. Asportando l’osso occipitale si accede alla dura madre, punto di partenza superiore della fascia meningea che si estende in giù fino a circa la II vertebra sacrale tramite il sacco durale (contenente aracnoide, pia madre, midollo spinale, midollo sacrale, radici spinose spinali, nervi della cauda equina e liquor cerebrospinale). La fascia meningea possiede funzione protettiva e nutritiva del sistema nervoso centrale.
Fascia connettivale e muscoli costituiscono, anatomicamente e funzionalmente, il sistema miofasciale assumendo un ruolo fondamentale all’interno del sistema dell’equilibrio e della postura.
Figura 6 – L’uomo è il sistema cibernetico per eccellenza: il 97% delle fibre motorie decorrenti nel midollo spinale è coinvolto nella modalità processuale cibernetica e solo il 3% è riservato all’attività intenzionale (Galzigna, 1976). La cibernetica è la scienza del feed-back, il corpo deve conoscere attimo per attimo la condizione ambientale per potersi collocare istantaneamente opportunamente al fine della realizzazione del processo. Il senso non può giammai dissociarsi dal moto: “Essere e funzionare sono inscindibili” (Morin, 1987). Il riflesso è la via maestra.
E’ infatti il tessuto miofasciale a rappresentare il più vasto organo sensorio del nostro organismo, è da esso infatti che il sistema nervoso centrale riceve in massima parte nervi afferenti (sensitivi). La presenza di meccanocettori, in grado di comportare effetti a livello locale e generale, è stata abbondantemente riscontrata nella fascia fin nei legamenti viscerali e nella dura madre cefalica e spinale (sacco durale). Ciò che occorre considerare è che nell’innervazione muscolare del sistema cibernetico uomo le fibre sensitive derivano solo per ca. il 25% dai ben noti recettori del Golgi, Ruffini, Pacini e Paciniformi (fibre tipo I e II) mentre tutta la restante parte ha origine dai “recettori interstiziali” (fibre tipo III e IV). Questi piccoli recettori, che perlopiù originano come terminazione nervose libere, oltre a essere i più numerosi nel nostro organismo sono ubiquitari (la loro massima concentrazione è nel periostio) e pertanto sono presenti sia negli interstizi muscolari che nella fascia. Circa il 90% di essi sono demienilizzati (tipo IV) mentre i restanti posseggono una sottile guaina mielinica (tipo III). I recettori “interstiziali” possiedono un’azione più lenta rispetto i recettori tipo I e II e in passato sono stati considerati perlopiù nocicettori, termo e chemiorecettori. In realtà molti di loro risultano multimodali e in maggioranza sono meccanorecettori suddivisibili in due sottogruppi, in base alla loro soglia di attivazione tramite stimoli pressori: low-treshold (LTP) e high-treshold pressure (HTP) – Mitchell & Schmidt, 1977. L’attivazione, in determinati stati patologici di recettori interstiziali sensibili sia a stimoli dolorifici che meccanici (in maggioranza HTP) può generare sindromi dolorose in assenza delle classiche irritazioni nervose (es. compressioni radicolari) – Chaitow & DeLany, 2000.
Questo network sensoriale oltre ad avere una funzione di rilevamento afferente del posizionamento e del movimento dei segmenti corporei, influenza, per mezzo di intime connessioni, il sistema nervoso autonomo riguardo funzioni, quali la regolazione della pressione sanguinea, del battito cardiaco e della respirazione, sintonizzandole, in maniera molto precisa, alle esigenze tissutali locali. L’attivazione dei meccanorecettori interstiziali agisce sul sistema nervoso autonomo inducendolo a variare la pressione locale di arteriole e capillari presenti nella fascia, influenzando così il passaggio di plasma dai vasi alla matrice extracellulare variandone quindi la viscosità locale (Kruger, 1987). Inoltre la stimolazione dei recettori interstiziali, così come quella dei recettori di Ruffini, è in grado di incrementare il tono vagale generando cambiamenti globali a livello neuromuscolare, corticale ed endocrino ed emozionale concernenti un profondo e benefico rilassamento (Schleip, 2003).
Il “DOMS” (Delayed Onset Muscolar Soreness) ovvero “indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata”, chiamato anche “muscle fever” (febbre muscolare), descritto per la prima volta nel 1902 da Theodore Hough, compare tipicamente dopo circa 8-24 ore dalla fine di un’intensa attività fisica, di norma, dopo un lungo periodo di inattività o dopo essersi cimentati in una disciplina sportiva inusuale; il DOMS è particolarmente favorito da eccessive contrazioni muscolari eccentriche ad es. per sforzi in frenata. Tale dolenzia, evocabile anche tramite palpazione e stretching, si può accompagnare a gonfiore muscolare e aumenta fino ad avere un picco dopo 24-36 ore per poi cessare nel giro dei 3-5 giorni seguenti (Nosaka, 2008). Il DOMS pertanto si differenzia nettamente dall’indolenzimento acuto e immediato dovuto a lesioni muscolari (miofasciali) macroscopiche localizzate, quali stiramenti e strappi.
Si è soliti attribuire tali dolori alla presenza di acido lattico ma in realtà quest’ultimo viene del tutto smaltito pochi minuti dopo il termine dello sforzo anche se prodotto in grandi quantità (Kokkinos, 2009). La causa reale di questa sintomatologia dolorosa è invece da riferirsi al danno utrastrutturale dei miofilamenti (in particolare a livello dei dischi Z) e del tessuto connettivo della fascia muscolare. Queste microlesioni attivano un processo infiammatorio che impiega diverse ore per svilupparsi pienamente e quindi sensibilizzare i nocettori (fra cui i recettori interstiziali); ciò spiegherebbe il ritardo nella comparsa dei sintomi (Nosaka, 2008).
Un trattamento in grado di aumentare il flusso sanguigno verso la muscolatura interessata (massaggio, attività fisica moderata, bagno caldo, sauna ecc.) contribuisce a una più rapida risoluzione del DOMS (Kokkinos, 2009).
Occorre altresì tener conto delle proprietà visco-elastiche e tixotropiche rispettivamente delle fibre collagene e della sostanza fondamentale del tessuto connettivo. La visco-elasticità delle fibre collagene determina un’elongazione della fascia se tenuta in tensione nel giro di poco tempo (le forze in grado di elongare la fascia sono tanto maggiori quanto maggiore è lo stato di tensione già presente e secondo gli studi di Kazarian 1968, la risposta del collagene all’applicazioni di carichi presenta almeno due costanti di tempo: ca. 20 min e ca. 1/3 di secondo). Le fibre di collagene adottano una forma ondulata e quando sottoposte a tensione si distendono orientandosi in parallelo lungo le linee di forza su esse applicate conservando però sempre la struttura a tripla elica (Kennedy et al, 1976). Quando elongate, le fibre di collagene conservano a lungo tale nuovo stato (Viidik, 1973).
Il sistema miofasciale-scheletrico risulta per tale motivo una struttura non stabile ma in continuo equilibrio dinamico caratterizzato dall’ oscillazione funzionale tra fascia e muscoli. Il “nemico” è pertanto la scissione della fascia dal periostio (che avviene oltrepassando i 2/3 della elongazione massima), dove come abbiamo visto c’è la massima concentrazione dei recettori interstiziali: quando la fascia è danneggiata la riabilitazione risulta pertanto molto difficile e il soggetto presenta uno squilibrio funzionale biomeccanico e di coordinazione (Gracovetsky, 1988).
La tixotropia (Juhan, 1987) descrive la capacità di un materiale di mutare reversibilmente la sua struttura molecolare, sotto l’azione di forze deformanti esterne, portandosi da uno stato più denso “gel” a una più fluido “sol” ossia diminuendo la sua viscosità. Il tessuto connettivo risulta una sostanza colloidale (sistema bifasico in cui le particelle finemente disperse nella fase continua possiedono un diametro intermedio tra quello delle soluzioni omogenee e quello delle sospensioni eterogenee) in cui la sostanza fondamentale può essere influenzata dall’applicazione prolungata di energia meccanica o sotto forma di calore, inducendo tale trasformazione “gel” à “sol” (Twomey and Taylor, 1982). Ciò giustifica l’applicazione e la validità di specifiche tecniche manuali in presenza di aderenze e retrazioni miofasciali.
Scoperti nel 1970, i miofibroblasti sono cellule del tessuto connettivo interposte alle fibre collagene fascialicon capacità contrattili simili alla muscolatura liscia (contengono actina). Esse ricoprono un riconosciuto e importante ruolo nella guarigione delle ferite, nella fibrosi dei tessuti e nelle contratture patologiche. Data anche la favorevole configurazione della distribuzione di tali cellule contrattili all’interno della fascia, il loro probabile ruolo rappresenta quello di sistema di tensione accessorio tale da sinergizzare la contrazione muscolare fornendo un vantaggio in situazioni di pericolo per la sopravvivenza (lotta e/o fuga) – Gabbiani, 2003, 2007.
La contrazione delle fibre muscolari lisce è ottenuta tramite l’attivazione del sistema nervoso simpatico così come per mezzo di sostanze vasocostrittrici quali la serotonina e l’anidride carbonica (CO2). Quest’ultima crea un ulteriore legame fra comportamento della fascia e ph corporeo. Risulta significativo che la maggior parte dei pazienti affetti da fibromialgia o stanchezza cronica presentino una cronica iperventilazione franca o borderline (con conseguente aumento di alcalinità per carenza di CO2 nel sangue) nonchè alti livelli inusuali di serotina nel liquido cerebrospinale. La serotina infine abbassa la soglia di attivazione dei nocicettori interstiziali tipo IV. Ciò indicherebbe che il dolore fibromialgico possa essere causato in parte dalla contrazione della fascia (disfunzione motoria) e ancor più dall’alterazione della sensibilità recettoriale dolorifica (disfunzione sensoriale) – Mitchell & Schmidt, 1977.
TENSEGRITÀ
Figura 7
Il termine inglese “Tensegrity“, coniato nel 1955 dall’architetto Richard Buckminster-Fuller dalla combinazione delle parole “tensile” ed “integrity“, caratterizza la capacità di un sistema di stabilizzarsi meccanicamente tramite forze di tensione e di decompressione che si ripartiscono e si equilibrano fra di loro. Compressioni e trazioni si equilibrano all’interno di un sistema vettoriale chiuso. Le strutture di tensegrità si ripartiscono in due categorie:
1) costituite da barre rigide assemblate in triangoli, in pentagoni o in esagoni
2) costituite da barre rigide e cavi flessibili. I cavi costituiscono una configurazione continua che comprime le barre disposte in maniera discontinua in seno ad essa. Le barre, a loro volta, spingono verso l’esterno i cavi.
I vantaggi della struttura di tensegrità rispetto alle tradizionali strutture di compressione continua (es. le colonne) sono:
– la resistenza dell’insieme supera di molto la somma delle resistenze dei singoli componenti;
– la leggerezza: a parità di capacità resistenza meccanica, una struttura di tensegrità presenta un peso ridotto della metà rispetto a una struttura a compressione
– la flessibilità del sistema è simile a quella di un sistema pneumatico. Ciò consente una grande capacità di adattamento reversibile ai cambiamenti di forma in equilibrio dinamico. Inoltre l’effetto di una deformazione locale, determinata da una forza esterna, viene modulato da tutta la struttura minimizzandone in tal modo l’effetto
– l’interconnessione meccanica e funzionale di tutti gli elementi costitutivi consente una continua comunicazione bidirezionale al pari di un vero e proprio network.
A partire dal citoscheletro (Ingber, 1998), l’organismo umano è caratterizzato da una struttura di tensegrità. A livello macroscopico (Fig. 8) è del II tipo, in cui gli assi rigidi (le barre) sono costituiti dalle ossa e le strutture flessibili (i cavi) dal sistema miofasciale (Myers, 2002) (Fig. 9)
Figura 8
Figura 9
Peculiarità della “tensegrità umana” è quella di funzionare come sistema a eliche a passo variabile o vortici (spirali). È infatti sul piano trasverso che soprattutto si sviluppa l’antigravitarietà del sistema cibernetico uomo grazie a un sofisticato sistema di equilibrio neuro-biomeccanico. La “spirale umana” si trasferisce dal piano trasverso al piano frontale, grazie al “mortaio” astragalo-calcaneare, a livello podalico, in presenza di un congruo coefficiente di attrito (senza quest’ultimo infatti l’avvolgimento podalico risulta difficoltoso). Il piede pertanto non è un sistema ad archi o volte, bensì anch’esso un sofisticatissimo sistema senso-motorio.
“La verità del moto specifico dell’uomo è nascosto tra le spire di un’elica” (R. Paparella Treccia).
La gravità, nel lungo percorso della morfogenesi, modella forme elicoidali che nel moto assumono il significato di vincolo determinando le traiettorie elicoidali. Queste ultime introdotte nei moti morfogenetici del campo gravitazionale col contributo dei vincoli intratessutali convergono nella genesi delle forme: femore, tibia, astragalo ecc. fino al DNA presentano forma elicoidale. L’evoluzione ha scelto le configurazioni elicoidali in quanto nel moto esse si evolvono conservando la stabilità dinamica (momento angolare), l’energia (potenziale più cinetica) e l’informazione (topologia). La stabilità, intesa come resistenza alla perturbazioni, rappresenta il traguardo che la natura persegue comunque e dovunque. Le eliche sono curve che si accrescono senza cambiare forma, le loro prerogative di ripetitività e quindi di stabilità ne fanno le espressioni per eccellenza della geometria che sottende i moti naturali.
La forza di gravità, sia dal punto vista funzionale che strutturale, non va quindi vista come un nemico; senza di essa l’uomo non potrebbe esistere.
“Se una figura è stata prescelta da Dio come fondamento dinamico della sua immanenza nelle forme, ebbene questa figura è l’elica” (Goethe).
La funzione precede e plasma la struttura; la coordinazione motoria è più importante della struttura. Reality Check: il 76% dei lavoratori asintomatici presenta ernia del disco (Boos et al., 1995).
È quindi nel piano trasverso che la moderna biomeccanica ha individuato l’elemento spaziale prioritario nella statica e nella dinamica dell’uomo.
Le articolazioni in cui si compie il movimento nel piano trasverso sono, a catena cinetica chiusa lasottoastragalica, la coxofemorale e le cerniere rachidee.
Nel trasferimento dalla flessione all’estensione il femore ruota verso l’esterno riflettendosi nel meccanismo di avvolgimento-irrigidimento dell’elica podalica e viceversa (lo svolgimento-rilassamento adattativo al terreno dell’elica podalica è connesso alla rotazione interna dei segmenti sovrapodalici).
Le cerniere rachidee sono zone di rotazione sul piano trasverso privilegiate e coincidono con i punti di inversione delle curve fisiologiche della colonna vertebrale (lordosi lombare, cifosi dorsale, lordosi cervicale) e con i segmenti a livello dei quali i movimenti di rotazione dei tratti rachidei sottostanti e sovrastanti si contrappongono (le caratteristiche strutturali delle vertebre variano in base alla curva rachidea di appartenenza e presentano, a livello delle cerniere fisiologiche di passaggio fra esse, una vertebra “di transizione” che somma le caratteristiche delle vertebre del gruppo superiore e inferiore).
Esse sono:
- Cerniera lombo-sacrale L5-S1 (V vertebra lombare I sacrale). Le rotazioni minime caratteristiche della colonna lombare (5°), che presenta invece movimenti di flesso-estensione (50°-35°) e inclinazione (flessione laterale 20°) analoghi agli altri livelli rachidei, sono principalmente a carico della cerniera lombo-sacrale e sono di importanza fondamentale per il bilanciamento corporeo durante la deambulazione.
- Cerniera dorso-lombare, D12-L1 (XII vertebra dorsale e I lombare) e D8-D7 (VIII e VII vertebra dorsale). La complessa attività della cerniera D12 –L1 consente la variazione della posizione del tronco nello spazio. La dodicesima vertebra dorsale (D12) rappresenta il fulcro immobile della cerniera dorso-lombare, paragonata da Delmas a una vera rotula dell’asse rachideo (presenta un voluminoso corpo vertebrale, con articolazioni superiori di tipo toracico e quelle inferiori di tipo lombare, i principali muscoli spinali passano a ponte dietro il suo arco vertebrale), a questo livello vi è un cambio di capacità di rotazione e della curva fisiologica della colonna vertebrale (cifosi dorsale, lordosi lombare). Durante la deambulazione, le vertebre al di sopra di D12 e fino alla D7 permettono la rotazione del tronco sufficiente a seguire l’arto inferiore che avanza. Le vertebre dorsali superiori alla D7 invece ruotano in senso contrario seguendo il bilanciamento dato dall’avanzamento dell’arto superiore controlaterale all’arto inferiore; da cui l’importanza anche del cingolo scapolo omerale nelle attività motorie. Al di sotto di D12 è effettuata una rotazione relativa, poiché la cerniera lombo sacrale, come visto, ruota al massimo di 5°, che consente di rimanere stabili nel proprio assetto verticale durante la rotazione.
Ogni segmento vertebrale dorsale ha stretti rapporti con le coste corrispondenti le quali, formando la gabbia toracica, oppongono resistenza limitando i movimenti. Per tale motivo il grado di rotazione del tratto dorsale (35°, flessione 40°, estensione 30°, inclinazione 20°) è massimo in corrispondenza D10-D11 in quanto le ultime due coste sono fluttuanti ossia non si articolano con lo sterno. - Cerniere cervicali, C7-D1 (VII vertebra cervicale-I dorsale), C1-C2 (atlante-epistrofeo), C0-C1 (occipite-atlante). L’organizzazione generale del rachide cervicale corrisponde all’esigenza della ricerca e acquisizione sensoriale permettendo l’orientamento e la collocazione nello spazio e negli eventi. A livello di C7-D12 si ha l’inversione delle curve rachidee (cifosi dorsale, lordosi cervicale) nonché la controrotazione fra esse quando si ruota la testa. A livello cervicale, così come negli altri tratti della colonna, a ogni rotazione si accompagna un’inclinazione (flessione laterale) fisiologicamente controlaterale e viceversa; fa eccezione la rotazione pura di C7 su un piano inclinato di 10° rispetto l’orizzonte. I movimenti di rotazione cervicali (80°) dipendono in gran parte dalla cerniera C1-C2 (articolazione atloido-assoiodea), quelli di flesso-estensione (50°-70°) partono dalla cerniera C0-C1 per poi coinvolgere le vertebre sottostanti, mentre quelli di inclinazione (45°) fanno fulcro a livello di C3 e secondariamente di C0-C1.
Nel sistema miofasciale del nostro corpo, ciascun muscolo è tenuto in sede tramite lamine connettivali (aponeurosi o aponevrosi) ed è racchiuso nelle fasce (epimisio, perimisio ed endomisio). Tramite la fascia connettivale i muscoli si strutturano e funzionano come catene miofasciali (Figg. 10, 11, 12, 13)che si connettono e interscambiano in tutto il corpo; non a caso Thomas Myers (2006) le definisce “anatomy trains”.
Figura 10 – Le catene degli arti superiori secondo T. Myers
Figura 11 – La catena muscolare anteriore dell’arto superiore secondo F. Mezieres
Figura 12 – La catena muscolare posteriore secondo T.Myers
Figura 13 – La catena muscolare posteriore secondo F. Mezieres
In un corpo sano, le fasce profonde consentono alle strutture adiacenti di scivolare una sull’altra. Tuttavia, in seguito a malattie infiammatorie, come ad esempio nei casi di contratture muscolari croniche, o a lesioni traumatiche, sforzi eccessivi o mancanza di esercizio ecc., si ha la formazione di “blocchi” locali (aderenze fasciali, cicatrici aderenziali, neoformazione di tessuto connettivo) nei diversi strati, che aumentano l’attrito interno durante la contrazione muscolare e contrastano i movimenti e l’allungamento del muscolo (formazione di muscolo retratto). La fascia muscolare si ristruttura sia ritirandosi attorno al muscolo accorciato sia neoformandosi per riempire gli spazi ai capi muscolari, inizialmente lasciati vuoti, mentre la sostanza fondamentale, a causa dei diminuiti scambi metabolici, aumenta la (Fig. 14) sua viscosità divenendo sempre più “collosa”: si crea la retrazione miofasciale.
Figura 14
Se non ci si oppone abbastanza contro tali retrazioni (tramite stretching, mobilizzazioni articolari, massaggi ecc.), esse si trasformano in fibrosità capaci di rendere difficilmente reversibili posture anomale e movimenti limitati. Le retrazioni connettivali inoltre riducono anche la circolazione del sangue e dei liquidi interstiziali e la conduzione nervosa, interessando quindi anche il tono muscolare (grado residuo di leggera contrazione del muscolo a riposo) e la salute globale dell’individuo concorrendo così all’affaticamento e alle tensioni generali. L’eliminazione di tali impedimenti e quindi il ripristino del corretto flusso consente alle cellule interessate di passare da un metabolismo di sopravvivenza a quello fisiologico specifico.
Si noterà che spesso i “blocchi aderenziali” (e i trigger points) si collocano nelle regioni delle cerniere articolari essendo zone strategiche nel movimento e nelle compensazioni posturali (ad es. quelle antalgiche).
Il periodo di emivita delle fibre collagene in un tessuto non traumatizzato è di 300-500 gg, quello della sostanza fondamentale è di 1.7-7 gg (Cantu & Grodin 1992). Le nuove fibre collagene si depositano secondo lo stress meccanico applicato al tessuto e la sostanza fondamentale si adatta in breve tempo ai cambiamenti dell’ambiente intorno a sé.
Inoltre per ragioni posturali e di stile di vita vi sono muscoli o gruppi muscolari che tendono col tempo a divenire sempre più ipertonici e corti e altri ipotonici ossia deboli.
Muscoli tendenti all’iperattività
Parte dorsale del corpo
Tricipite surale
Ischio-crurali
Paravertebrale lombare
Quadrato dei lombi
Trapezio superiore
Elevatore della scapola
Parte ventrale del corpo
Adduttori della coscia
Retto femorale
Tensore della fascia lata
Muscoli della zampa d’oca
Ileopsoas
Piccolo pettorale
Sottoscapolare
Scaleni
Sterno-cleido-mastoideo
Muscoli masticatori
Arti Superiori
Pronatori e supinatori
Muscoli tendenti all’ipoattività
Parte dorsale del corpo
Piccolo e medio gluteo
Trapezio medio e inferiore)
Dentato anteriore
Sopra e sottospinoso
Deltoide
Elevatore della scapola
Parte ventrale del corpo
Tibiale anteriore
Estensori del piede
Peronieri
Vasto mediale
Vasto laterale
Grande pettorale
Addominali
Flessori profondi del collo
Digastrico
Arti Superiori
Estensori e flessori
Più precisamente i muscoli posturali veri e propri, detti anche statici o tonici (shunt-muscles), fungono costantemente da sistemi antigravitazionali (sono i tiranti che fanno stare in piedi il nostro scheletro) rimanendo in tensione; hanno azione prevalentemente tonica, stabilizzatrice. Per questo motivo sono muscoli profondi, ricchi di sostanza connettiva fibrosa e di fibre muscolari prevalentemente rosse (fibre muscolari di tipo I o Slow Twitch) ovvero ad alto contenuto di mioglobina (per l’alto consumo di ossigeno richiesto) e sono governati da motoneuroni a bassa frequenza di scarica (muscoli ad azione lenta ma resistenti). Essi tendono a evolvere verso l’accorciamento ed è la loro riduzione di elasticità che comporta la compressione articolare e il conseguente precoce consumo e danni relativi (artrosi, riduzione dell’ampiezza del movimento, borsiti, tendiniti ecc.). I muscoli posturali rappresentano circa i 2/3 della nostra muscolatura. E’ fondamentale il loro costante allungamento e trattamento tramite stretching e tecniche manuali e di movimento adeguatamente eseguite.
I muscoli dinamici o fasici (spurt-muscles), al contrario, sono i muscoli del movimento, acceleratori. Essi agiscono solo se avviene un determinato comando e per questo motivo sono superficiali, ricchi di fibre muscolari bianche (fibre muscolari tipo IIa e IIx o Fast Twitch) di diametro superiore alle fibre muscolari tipo I, poveri di tessuto connettivo e innervati da motoneuroni ad alta frequenza di scarica (muscoli rapidi ma poco resistenti). Col tempo tendono normalmente a indebolirsi. L’attività di rinforzo muscolare, che deve essere eseguita con regolarità (in special modo con l’avanzare dell’età), deve interessare in particolar modo questa componente muscolare fasica.
Risulta fondamentale che il trattamento manuale tenga conto dell’esistenza delle catene miofasciali strutturate secondo una struttura di tensegrità nonché degli altri concetti descritti.
TECNICA DEL MASSAGGIO & BODYWORK TIB
INTRODUZIONE
La tecnica di massaggio e bodywork esposta in questo lavoro rappresenta fondamentalmente lo sviluppo, anche in ambito fisioterapico e posturologico, del “Massaggio Antistress” messo a punto dal dottor Giovanni Leanti La Rosa negli anni ’80. Il massaggio e bodywork TIB fonde pertanto sapientemente aspetti di antiche tecniche orientali (massaggio tuina e ayurvedico, tai ji quan) e moderne tecniche occidentali (massaggio trager, connettivale, miofasciale, californiano, rolfing, tecniche osteopatiche, pnf, Mezieres) integrandole con nuove tecniche e utilizzandole secondo le attuali esigenze dell’uomo e le scoperte della psiconeuro-endocrino-connettivo-immunologia.
Le manualità e le modalità del Massaggio & Bodywork TIB sono atte a raggiungere i seguenti obiettivi:
– rimuovere il blocco, la corazza muscolare, e indurre a una respirazione ampia e corretta, facendo scoprire il piacere che segue a questa liberazione
– portare il soggetto a una “presa di coscienza” del proprio corpo e della possibilità di gestirlo in modo più funzionale (aumento della propriocezione)
– distaccare la persona dal mondo esterno mettendolo in contatto col proprio mondo interno, “decelerando” il ritmo del cervello dando così avvio ai processi rigenerativi e creativi dell’organismo
– risolvere contratture muscolari e retrazioni miofasciali
– eliminare le stasi venose e dei liquidi interstiziali con conseguente azione depurativa dell’organismo e aumento della diuresi
– nutrire le articolazioni tramite il ripristino di un più fisiologico ROM (Range Of Motion)
– utilizzare e insegnare l’utilizzo, in maniera consapevole, dei condizionamenti neuroassociativi favorevoli al benessere
– essere integrabile e sinergico con altre tecniche e terapie (digitopressione, manipolazioni vertebrali, agopuntura, tecniche di movimento, rieducazioni motorie, riabilitazioni neurologiche, fisioterapia strumentale, farmacoterapia, psicoterapia, chirurgia ecc.) al fine di ottimizzarne il risultato finale.
Il Massaggio & Bodywork TIB risulta quindi una tecnica corporea multifattoriale che accomuna sinergicamente, in un unico trattamento, tutti i vantaggi e i benefici normalmente ottenibile da più metodologie separate.
MANUALITÀ DEL MASSAGGIO & BODYWORK TIB
Nel Massaggio e Bodywork TIB alle manualità del massaggio classico si aggiungono le seguenti:
– Stretching miofasciale. Importante in special modo per il benessere muscolare e articolare, effettuato sia in modalità passiva che “isometrica eccentrica” o “PNF – Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation (modalità che prevede un intervento attivo del soggetto e che si dimostra particolarmente utile per l’eliminazione delle retrazioni miofasciale).
– Trazione. Con lo scopo di decoaptare le articolazioni ridando loro libertà di movimento e favorendone il nutrimento.
– Mobilizzazione. È di tre tipi con scopi ed esecuzione diversi:
1) Articolare (propriamente detta): manovre passive decoaptanti dolci intente a ripristinare un miglior grado di movimento (ROM – Range of Motion) e nutrimento articolare.
2) Dondolio: mobilizzazioni passive tipo “dondolii” (tipiche del massaggio Trager) riguardanti tutto il corpo o parti di esso che, eseguite alternativamente o contemporaneamente alle altre manualità, hanno come obiettivo l’incremento del livello di rilassamento. Ciò avviene grazie alla neuroassociazione col dondolio prenatale (per lo stesso motivo, per esempio, addormentiamo i bimbi cullandoli o ci addormentiamo facilmente sulla sedia a dondolo, sull’amaca o sul treno).
3) Propriocettiva: mobilizzazioni eseguite, in particolare, su arti, spalle, collo e articolazione temporomandibolare (ATM) che consentono di individuare le tensioni miofasciali-articolari inconsce (di cui spesso il soggetto ignora l’esistenza), causate da stress cronici psichici e/o fisici e successivamente di allenarlo a riappropriarsi di tale zone eliminando la “dispercezione corporea” esistente determinando un rilassamento muscolare riflesso. Quando la persona è in queste condizioni, durante i movimenti passivi tenta di inconsciamente di aiutare ostacolando il libero movimento passivo articolare. Risulta così chiara un’incapacità di gestire i movimenti del proprio corpo o di parti di esso. Solo una capacità di rilassamento cosciente di tutte le parti del corpo è, infatti, indice di completa integrazione del proprio schema corporeo. Il tempo che egli impiegherà per riottenere ciò sarà, con tutta probabilità, proporzionale al periodo in cui è stato in “allontanamento” dal proprio corpo. Queste mobilizzazioni vengono, di norma, eseguite all’inizio del massaggio, durante e al termine della seduta, valutandone l’evoluzione della loro esecuzione, inizialmente in maniera passiva e poi invitando il soggetto ad eseguire micromovimenti visualizzando di afferrare, allontanare o disegnare un oggetto. Ciò, come descritto nel paragrafo “Il potere della visualizzazione”, coinvolge maggiormente il sistema nervoso nell’autoregolazione dinamica riguardante la coordinazione di una specifica articolazione e/o area corporea.
P.N.F. deriva “Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation” che in italiano significa “Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva (F.N.P.)”. Tale metodo fu elaborato dal neurofisiologo americano Herman Kabat alla fine degli anni ’40 come rieducazione neuromuscolare. L’allungamento muscolare eseguito è isometrico eccentrico ed è diviso in 4 fasi:
1. Si raggiunge il massimo allungamento del muscolo (o meglio del gruppo miofasciale) in modo graduale e lento.
2. Si esegue una contrazione isometrica del gruppo muscolare per circa 15-20 secondi (ossia mantenendo sempre la posizione di massimo allungamento). Ciò consente, tramite l’attivazione degli organi muscolo-tendinei del Golgi (riflesso spinale miotatico inverso), un successivo ulteriore rilassamento e quindi allungamento del gruppo muscolare coinvolto.
3. Si rilassa il gruppo muscolare per circa 5 secondi.
4. Si allunga nuovamente il gruppo muscolare per almeno 30 secondi.
L’intero procedimento va ripetuto due o più volte.
Le ricerche hanno dimostrato che lo stretching passivo del tessuto miofasciale non è sufficiente ad attivare gli organi muscolo-tendinei del Golgi (Jami, 1992), la cui stimolazione avviene quindi solo quando il muscolo è attivamente contratto (Lederman, 1997). La ragione di ciò risiede nella disposizione in serie alle fibre muscolari degli organi del Golgi e dal fatto che l’elongazione miofasciale passiva risulta a carico della deformazione elastica delle fibre muscolari.
Tutte le manualità vanno eseguite secondo le seguenti modalità:
– Massimo contatto. In modo particolare nella modalità Wellness Il contatto delle mani e, quando possibile, degli avambracci, deve coinvolgere la massima superficie possibile e deve essere continuo e morbido. L’effetto rilassante del trattamento è direttamente proporzionale alle superfici coinvolte. Per questo motivo dovrà interessare, per quanto possibile, tutto il corpo. L’effetto conseguente, grazie anche al contributo delle manovre di “dondolio”, è una sensazione di avvolgimento totale in grado di richiamare, inconsapevolmente, la sensazione di comfort residente nel nostro inconscio e corrispondente alla vita intrauterina.
– Pressione variabile. L’efficacia di questo metodo è strettamente legata all’abilità di usare pressioni diverse. Ciò richiede una lunga pratica per affinare la sensibilità a riguardo. Sappiamo anche che contrazioni croniche portano, interessando la fascia connettivale, a retrazioni muscolari. I tessuti connettivi, e in particolare le fasce, sono però in continua riorganizzazione; il continuo scambio metabolico, reso possibile dall’intimo rapporto tra le fasce e il metabolismo dei liquidi, consente la riorganizzazione della struttura. Per eliminare questi effetti dannosi, dovremo esercitare una pressione in grado di allungare i muscoli e “sciogliere” le aderenze fasciali (è ben noto dalla fisica che l’aggiunta di energia può trasformare il gel colloidale, stato tipico delle fasce, in sol). L’obiettivo è quindi raggiungere gradualmente, per ogni parte del corpo, la massima pressione sopportabile subito prima che questa generi dolore. In altre parole, la pressione di massima efficacia sarà la massima pressione sopportata dal soggetto in pieno relax. Questa pressione procurerà eventualmente solo un dolore associato a una forte sensazione di sollievo, un “dolore che provoca piacere”, grazie al suo effetto liberatorio. Occorre assolutamente evitare pericolose contrazioni di difesa della persona trattata a causa di eccessiva o improvvisa pressione. A tal proposito risulterà utile eseguire le pressioni maggiori in fase di espirazione in quanto fase di pieno abbandono passivo. Nel raggiungimento delle pressioni efficaci saremo aiutati dallo stesso organismo il quale, grazie alla sollecitazione muscolare e alle sensazioni di piacere, benessere e rilassamento, produce endorfine elevando così la propria soglia del dolore. L’operatore quindi, partendo da pressioni leggere, dovrà gradatamente raggiungere la massima profondità, che sarà diversa in ogni parte del corpo, modulando dolcemente la pressione nel passaggio da una zona all’altra, senza arresti o spinte improvvise. La pressione da utilizzare su ogni singola parte potrà facilmente variare di seduta in seduta. Risulta qui chiara l’importanza della sensibilità dell’operatore nel cogliere tutti i segnali indicanti il corretto utilizzo della pressione.
– Minima forza muscolare, massimo controllo del corpo (da parte dell’operatore). Al contrario di quanto possa sembrare dopo avere letto il punto precedente, questa tecnica non richiede l’utilizzo di forza muscolare, che risulta, al contrario, controproducente. L’operatore che esegue questo massaggio non deve necessariamente possedere una corporatura robusta e vigorosa ma deve imparare a utilizzare alla perfezione il proprio corpo. Infatti, le pressioni e le trazioni esercitate dovranno esclusivamente derivare dalla forza peso del proprio corpo. In questo modo, alle mani arriva energia “morbida” e quindi altamente benefica, in quanto si utilizzano come ammortizzatori gli arti inferiori e il bacino (grounding). Inoltre questo consente di mantenere le mani, per buona parte del trattamento, rilassate, fattore indispensabile affinché esse siano grado di “ascoltare”. Spalle e arti superiori avranno il solo compito di trasmettere, al massaggiato, la forza di gravità, modulata dagli arti inferiori secondo le indicazioni delle mani (sensori). In altre parole, i movimenti dell’operatore per essere efficaci, devono essere eseguiti con sensibilità e rilassamento, coordinazione, scioltezza, fluidità, naturalezza, come nel di “tai ji quan”. Risulterà evidente che questo massaggio viene eseguito in stato di massimo benessere sia del massaggiato che dell’operatore. D’altronde resta da chiedersi come si possa realmente eseguire un intervento terapeutico efficace quanto l’operatore è stanco, scomodo o poco concentrato.
– Bassa velocità, respirazione profonda. L’esperienza insegna che un contatto frettoloso, “sfuggente”, trasmette principalmente l’ansia e la paura di contatto di chi massaggia; è questo porta in direzione opposta rispetto al nostro obiettivo prefissato. La mano dell’operatore, al contrario, per essere efficace, dovrà trasmettere in primis sicurezza e fiducia. Per ottenere ciò è indispensabile un saldo appoggio con le gambe al suolo e una presa di contatto col massaggiato chiara e, nello stesso tempo, rilassata. La manualità deve svolgersi con calma, senza fretta così da risultare prevedibile da parte del soggetto. Abbiamo inoltre già descritto, nel paragrafo “Manualità e meccanismi d’azione del massaggio classico”, come manualità profonde e lente o statiche favoriscono la trasformazione “gel to sol” della sostanza fondamentale della fascia connettivale e, stimolando i meccanorecettori di Ruffini (specie per forze tangenziali) e una parte dei recettori interstiziali, inducono, attivando il sistema nervoso parasimpatico, un rilassamento muscolare e mentale mentre un effetto diametralmente opposto è determinato da manovre veloci ed energiche (che invece stimolano i corpuscoli di Pacini e i Paciniformi).
Sarà la respirazione a scandire il ritmo. Inizialmente sincronizzeremo la nostra respirazione con quella del massaggiato e poi, al momento opportuno ovvero quando avremo creato il “rapport” con lui (come in una seduta di ipnosi, il massaggiato, una volta creatosi un rapporto di fiducia col proprio operatore, rilassandosi, si lascia da esso guidare anche in maniera inconsapevole), inizieremo, modificando la nostra respirazione, a guidare la sua rendendola sempre più libera, spontanea e profonda. È opportuno sottolineare che il massaggio, in questa valenza di ginnastica respiratoria, svolge un fondamentale ruolo di “messa a punto” di questa funzione vitale che facilmente tende ad alterarsi sotto il peso dello stress, della sedentarietà, dei problemi posturali tipici della vita moderna.
N.B.: Manualità rapide ed energiche saranno eccezionalmente utilizzate in situazioni in cui occorre un rapido “risveglio” sia muscolare che dell’attenzione (ad es. nel pre-gara) o in cui è necessario un ripristino o aumento della sensibilità locale (es. per danni al sistema nervoso periferico).
– Multieffetto: Al fine di perseguire l’obiettivo della massima efficacia, più manualità basilari saranno spesso utilizzate contemporaneamente determinando così una manualità combinata multi-effetto (es. impastamento + spremitura + mobilizzazione articolare ò trazione + stretching + dondolio).
– Massima concentrazione da parte dell’operatore, massimo abbandono da parte del soggetto. Da quanto scritto finora è evidente che l’efficienza dell’operatore dovrà essere massima. E, come abbiamo visto, questa si ottiene diminuendo il ritmo del nostro cervello. Ciò che occorre fare è entrare in una dimensione che riguarda solo operatore e massaggiato, staccandosi da tutto il resto. Inizia pertanto una comunicazione silente in cui le uniche realtà esistenti sono noi e il suo corpo che ci parla attraverso la temperatura, il colore, l’elasticità e lo spessore della pelle, la tensione e il trofismo dei muscoli e della fascia connettivale, la forma delle ossa e la libertà di movimento delle articolazioni ecc. Nello stesso tempo le nostre mani, toccando ogni parte del suo corpo, consentono al soggetto di “rispecchiarsi”, di riconoscersi, fornendogli finalmente l’occasione di riprendere coscienza, oltre che delle sue rigidità e contratture, anche della propria corretta immagine corporea (elemento quest’ultimo di fondamentale importanza in casi quali bulimia e anoressia). Come il dottor M. H. Erickson ci ha insegnato, è la curiosità che deve essere alla base del processo terapeutico. Essa ci consente inizialmente di “entrare” nella realtà del soggetto comprendendo i suoi bisogni e quindi prendendoci realmente cura di lui. A questo punto, il soggetto sentendosi finalmente capito, ascoltato, ci ricambierà riponendo in noi la sua fiducia. Si verrà così a creare il “rapport” ovvero “l’aggancio” che ci consentirà di “trainare” con le nostre mani il massaggiato in una realtà migliore, con più benessere, piacere e relax. Ma per ottenere ciò, per mantenere e alimentare il “rapport” venutosi a creare, dovremo costantemente conservare in noi viva la curiosità riguardo le sue reazioni. Solo così infatti potremo rispondere a esse adeguando nel modo migliore le nostre azioni ottimizzando il risultato finale.
– Partecipazione attiva del massaggiato verrà richiesta nell’esecuzione delle tecniche PNF (al fine di ottimizzare lo stretching muscolare) e delle mobilizzazioni propriocettive attive (massimizzando così la loro efficacia).
In conclusione, preparazione scientifica, abilità tecnica ed empatia sono elementi indispensabili e indissolubili nell’esecuzione di questo massaggio. Prescindere da uno di questi fattori significa inevitabilmente perdere gran parte dei benefici e risultati ottenibili con questa metodologia terapeutica. Passione e dedizione sono altresì fattori necessari per l’apprendimento di questa raffinata arte.
UTILIZZO DEL LUBRIFICANTE
L’adeguato utilizzo di un lubrificante, ad. es. un olio, consente diversi vantaggi durante l’esecuzione del massaggio e bodywork. Un olio con corretta viscosità (non eccessivamente fluido, ad. es. olio di mandorle dolci) permette di eseguire efficaci sfioramenti e impastamenti sia leggeri che molto profondi evitando escoriazioni e infiammazioni dei tessuti superficiali. La non eccessiva fluidità consente di creare un attrito (col conseguente riscaldamento della zona trattata) tale da favorire la risoluzione di aderenze miofasciali senza provocare danni cutanei generando così meno dolore; l’azione diviene più piacevole ed efficace. Inoltre, con l’esperienza, il lubrificante favorisce un più preciso e facile esame della situazione miofasciale permettendo di seguirne meglio l’andamento e la condizione delle fibre.
Ulteriore vantaggio dell’olio è quello di poter veicolare oli essenziali con specifiche funzionalità (es. lavanda, iperico ecc.).
Un buon olio da massaggio può essere facilmente preparato aggiungendo a una base di olio uno o più oli essenziali in concentrazione 1-2% (20 gocce di olio essenziale corrispondono a ca. 1 ml). Al fine di proteggere sia massaggiato che massaggiatore è opportuno usare oli naturali evitando lubrificanti contenenti paraffine, idrocarburi ecc. così come è bene assicurarsi della qualità e della corretta quantità degli oli essenziali eventualmente utilizzati.
L’olio va applicato, dopo averlo riscaldato fra le mani, sempre a partire dalla superficie più grande, in modo da favorire una più omogenea ripartizione, lasciando le estremità poco “scivolose” così da consentire una buona esecuzione delle trazioni.
In conclusione è indubbio che la pratica dimostra che un sapiente utilizzo di un olio o crema naturale risulta un prezioso l’ausilio nell’aumentare l’efficacia del trattamento manuale.
SPECIALIZZAZIONI DEL MASSAGGIO & BODYWORK TIB
Il Massaggio & Bodywork TIB (MATIB) è strutturato in tre specializzazioni:
1) MATIB Wellness con caratteristiche principalmente preventive, di massimizzazione dello stato di benessere generale e antistress. La tecnica e le manualità del MATIB Wellness rappresentano le fondamenta delle ulteriori due specialità.
2) MATIB Professional affronta le specifiche problematiche muscolo-scheletriche-fasciali, neurodegenerative, viscerali, psicologiche ecc., tramite manualità avanzate nonché l’opportuna applicazione sinergica del MATIB Wellness anche in combinazione con altre terapie (es. farmacologiche) e tecniche riabilitative.
3) MATIB Sport che consiste nell’applicazione specifica del MATIB Wellness e Professional in ambito sportivo agonistico e amatoriale, in base alla fase (pre-infra-post gara) e in sinergia con altre tecniche (es. preparazione atletica) e terapie relative.
Grazie alle sue caratteristiche, la tecnica del Massage & Bodywork TIB, oltre a risultare di massima efficacia a livello preventivo e di incremento dello stato di benessere, è in grado di affrontare, anche in perfetta sinergia con altre terapie, un vasto spettro di problematiche fra cui:
- Problemi muscolo-scheletrici (cervicalgie, dorsalgie, periartriti scapolo-omerali, lombalgie, sciatalgie, discopatie, ernie discali, artrosi, cicatrici reattive ecc.).
- Problemi circolatori (stasi venose e linfatiche, ipertensione ecc.).
- Riequilibrio psichico e neuro-rigenerazione (stress, ansia, depressione, insonnia, fobie e attacchi di panico, sclerosi multipla, morbo di Parkinson e Alzheimer, demenza senile ecc.).
- Disturbi viscerali, della libido, della fertilità e del ciclo mestruale.
- Gravidanza (algie, problemi circolatori, dispercezione corporea, stress ecc.).
- Dispercezioni corporee (DCA, anoressia, bulimia ecc.).
- Terza e Quarta età (artrosi, osteoporosi, algie, dispercezione corporea, ecc.).
- Prima infanzia (alleviazione del trauma del distacco, soddisfacimento del bisogno vitale di contatto, miglioramento dello sviluppo fisico e psichico).
- Problematiche psico-fisiche legate allo sport e all’ottimizzazione della performance sportiva, in sinergia con i programmi di allenamento ecc.
ESEMPIO DI SEDUTA DI MASSAGGIO & BODYWORK TIB WELLNESS
Descrivere una seduta di massaggio con parole e foto non può che essere riduttivo. L’obiettivo posto in questo paragrafo è solo quello di fornirne un’idea, se pur molto limitata. Le manovre raffigurate rappresentano una minima parte delle oltre cento facenti parte del metodo.
L’ambiente ideale in cui eseguire una seduta di questo trattamento è caldo (la temperatura corporea del massaggiato, a seguito del forte rilassamento, può ridursi anche di 2 °C a fine trattamento) e confortevole. Per i motivi neuroassociativi già descritti, è importante la presenza di un sottofondo musicale molto gradito alla persona ed eventualmente l’utilizzo, nell’olio naturale che funge da lubrificante, di un’essenza altrettanto gradita (ovviamente utilizzare una musica o un profumo già associato nel massaggiato a stati d’animo spiacevoli sarebbe, come minimo, poco funzionale).
L’obiettivo di ogni singola seduta è raggiungere la massima efficacia. Non sono previste sequenze standard perché il massaggio va sempre adattato a chi lo riceve, in quel particolare momento. Solo in linea generale pertanto si può affermare che il massaggio parte in posizione supina, specialmente durante le prime sedute, in modo da poter comunicare meglio e verificare quindi le reazioni alle nostre manualità; la posizione supina risulta la migliore per “calibrarci” sui parametri ed esigenze del soggetto, ponendo domande esplicite e decodificando il suo linguaggio corporeo. Sempre a tal fine, si effettuano, all’inizio, le mobilizzazioni passive propriocettive su arti inferiori, arti superiori, collo e mandibola. La parte del corpo da cui partire col massaggio vero e proprio è quella con meno difese ove risulta quindi più facile stabilire un positivo primo contatto. In genere, risulta ottimale partire dai piedi in quanto, essendo il punto più lontano dalla testa che rappresenta “il controllo”. Inoltre, i piedi regolano il tono dei muscoli posturali: questi ultimi, infatti, entrano automaticamente in azione quando il peso del corpo grava sui piedi (segnali cutanei neurosensoriali estero-propriocettivi) e viceversa tendono a detendersi quando i piedi, a loro volta, si rilassano. Successivamente, in un flusso quanto più continuo possibile, si massaggiano gli arti inferiori, l’addome incluso il diaframma (spesso entrambi contratti e retratti), il torace, le mani e gli arti superiori, le spalle, il collo e il viso. In seguito, in posizione prona, da schiena e spalle, si scende nuovamente verso i piedi passando per le mani e gli arti superiori, i glutei e gli arti inferiori.
Le mani i piedi e il viso, le regioni corporee più rappresentate nella corteccia cerebrale e quindi dotate di maggiore densità di fibre sensitive, normalmente non interessate o poco considerate dal massaggio classico, assumono qui un ruolo fondamentale. Dei piedi abbiamo già parlato e il massaggio della mano è di primaria importanza per far produrre, velocemente e in quantità, endorfine nell’organismo del soggetto (pensiamo all’effetto tranquillizzante / rassicurante del gesto di prendere la mano di qualcuno in una situazione in cui egli è molto teso o triste), così da facilitare il rilassamento e alzare la soglia del dolore (importante per incrementare il livello di massima pressione efficace). Si massaggia quindi la mano in tutte le sue parti, dita comprese, alternando gentili manualità di mobilizzazione articolare del metacarpo e delle dita (mai contro-circolo venoso).
Il viso è la parte del corpo dove si somatizzano più velocemente gli stati d’animo: una persona con la mimica rilassata difficilmente sarà psicologicamente tesa. Ovvero, a un viso disteso corrisponde una mente distesa. Si massaggiano quindi tutti i muscoli del viso, in particolare il frontale, muscolo laminare che si tende fino a corrugarsi non appena abbiamo preoccupazioni (come fosse la zona riflessa dei pensieri in eccesso), e i masseteri, muscoli della masticazioni fra i più potenti dell’organismo quasi sempre cronicamente contratti nell’atto di “stringere i denti” affrontando la vita (con conseguenti grosso dispendio inutile di energia e alterazione posturale). Orecchi e cuoio capelluto, spesso tesi e doloranti, saranno anch’essi adeguatamente massaggiati.
Durante la seduta, la persona massaggiata giace in totale abbandono e relax, cullata dalle oscillazioni e avvolta dai movimenti dell’operatore. Le manualità, eseguite dal massaggiatore in estremo comfort, grazie al corretto utilizzo del proprio corpo, riguardano sia il livello epidermico sia gli strati di tessuto profondi. Queste rilassano e allungano la muscolatura, eliminano le alterazioni fasciali, elasticizzano le articolazioni, smuovono i ristagni di sangue, linfa e liquido interstiziale. Il soggetto gradualmente si rappacifica col proprio corpo riacquistandone consapevolezza. La mente entra in stati di rilassamento profondo risvegliando il “medico” (processi rigenerativi) e il “genio” (processi creativi) latente in noi. La respirazione profonda fornisce il ritmo al trattamento aiutando a liberare il diaframma, consentendo così di “scaricare” lo stress e “fare il pieno” di ossigeno. Ne consegue un effetto ringiovanente e un potenziamento del sistema immunitario.
L’esperienza insegna che la durata di massima efficacia di questo massaggio è, di norma, intorno all’ora. Sedute troppo lunghe possono risultare controproducenti, in quanto vi è il rischio di “nauseare” o, specie nelle prime sedute di “sconvolgere” eccessivamente il soggetto portandolo eccessivamente in “stato alterato”. Ad es. può succedere che, dopo la prima seduta, si abbia, a causa di un troppo repentino rilassamento in particolare dei vasi sanguinei cranici, la comparsa della cefalea tipo “da weekend”, un abbassamento eccessivo della pressione con conseguente sensazioni di capogiro (che dura solo nei primi istanti in cui ci si alza dopo il massaggio) o un leggero indolenzimento muscolare, specie nei soggetti che non svolgono attività fisica o con muscoli particolarmente tesi e/o soglia del dolore particolarmente bassa (situazione tipica delle persone sotto stress cronico).
In conclusione, così come ci si dovrebbe comportare quando si mangia, è bene terminare il massaggio lasciando nel massaggiato ancora po’ di “fame” di esso. In tal modo, alla fine della seduta, relax, buonumore e nuovo slancio vitale risultano essere gli unici “effetti collaterali”.
FOTO MANUALITÀ MATIB WELLNESS
MOBILIZZAZIONI PROPRIOCETTIVE
MOBILIZZAZIONI TIPO DONDOLII
MOBILIZZAZIONI ARTICOLARI
SFIORAMENTI
TRATTAMENTO MANI
IMPASTAMENTO METACARPO
MOBILIZZAZIONE ARTICOLARE
TRATTAMENTO VISO
STIRAMENTO MUSCOLO FRONTALE
IMPASTAMENTO MASSETERI
SFIORAMENTO PADIGLIONI AURICOLARI
Video Tecnica di Massage & Bodywork Wellness
Video Tecnica di Massage & Bodywork Professional
Video Risultati (temporanei) di Massage & Bodywork TIB su Sclerosi Multipla
Video AquaMassaggio TIB
IL CASO CLINICO (“COLPO DELLA STREGA”)
Sono riportate le analisi eseguite col sistema Spinometria Diers Formetric, prima e dopo due sedute di Massaggio & Bodywork TIB Professional eseguiti su un paziente con lombalgia acuta in presenza di protrusione discale L4-L5 ed ernia discale L5-S1.
Situazione iniziale
Dopo la I seduta di Massaggio & Bodywork TIB
Dopo 5 giorni
Dopo la II seduta di Massaggio & Bodywork TIB
I 4 stadi evolutivi
Prima e dopo il trattamento (2 sedute di Massaggio & Bodywork TIB)
ULTERIORE CASISTICA: http://www.giovannichetta.it/casi.html
CONCLUSIONI
L’organismo umano funziona quindi come una rete integrata che unifica i vari organi e sistemi. I codici sono gli stessi e il substrato è comune a tutta la rete. Sia che siano i circuiti cerebrali, attivati da emozioni, pensieri, oppure i circuiti nervosi vegetativi, attivati da sollecitazioni o da feedback di organi o sistemi, sia che siano gli organi endocrini o immunitari, sia che siano tensioni meccaniche connettivali, tramite movimento e attivazione muscolare, a emettere messaggi, questi ultimi, nella loro parte fondamentale, verranno riconosciuti da tutte le componenti della rete. Il linguaggio è unico, il collegamento è integrato e a doppio senso di marcia.
È evidente che l’approccio terapeutico può sfruttare questa possibilità di pluralità di ingressi alla “grande connessione”. Su questa base, infatti, gli interventi possono essere molteplici: educazione alimentare, farmacoterapia, terapie strumentali, psicoterapia, tecniche corporee, tecniche ergonomiche ecc. Compito dell’intervento terapeutico è quello di favorire il ripristino della fisiologica comunicazione equilibrata tra i sistemi.
Appare chiara l’importanza della ricerca ulteriore in questo campo. Lo stesso studio della biochimica non può più essere semplificato in sequenze lineari di reazioni chimico-fisiche ma occorre considerare l’habitat attivo e dinamico in cui la “chimica della vita” si svolge ossia quel materiale che i biochimici scartano purificando gli enzimi “solubili” e attraverso il quale i chirurghi si fanno strada nei loro interventi: il sistema connettivo. Per tale motivo il ruolo di coloro in grado di agire profondamente sul sistema miofasciale attraverso ad es. le tecniche manuali o di movimento assumono, alla luce di tali evidenze scientifiche, un ruolo di primaria importanza.
È su questi principi che si fonda e si sviluppa il Massaggio & Bodywork TIB con l’obiettivo di concorrere a risultati di massima efficacia ossia in grado di rispondere al meglio all’evoluzione delle mutate esigenze e problematiche dell’uomo moderno.
La pratica, l’esperienza, il continuo studio, la ricerca e l’evoluzione a riguardo, così come avviene nel campo biochimico, fisiologico, biomeccanico, posturologico, ergonomico tecnologico ecc., risultano essere le indispensabili e preziose fondamenta e sorgenti propulsive di tutto ciò.
“Un massaggio per donare benessere a chi lo riceve e a chi lo esegue, grazie alla sapiente fusione fra moderne tecniche occidentali e antiche orientali, alla luce delle recenti scoperte della psiconeuro-endocrino-connettivo-immunologia” (Giovanni Chetta)
MATIB è in realtà un programma all’interno del programma TIBodyWork, sviluppato con l’obiettivo di incontrare al meglio le mutate esigenze e problematiche dell’uomo di oggi (a livello preventivo, curativo e “performativo”) considerandone tutte le sorgenti di influenza.
Tecniche Integrate di Benessere e discipline sinergicamente presenti nel programma TIBodyWork sono: Massaggio & Bodywork TIB, Ginnastica Posturale TIB, Posturologia, Ergonomia, Fisioterapia Strumentale, Educazione Alimentare, Tecniche di Gestione dello Stress e dei Condizionamenti Neuroassociativi (educazione mentale).
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GIOVANNI CHETTA
Alimentarista a indirizzo biochimico, Massofisioterapista, Posturologo Ergonomista (iscritto all’albo specialistico A.S.Bio.P.) e Master Practitioner in Programmazione Neuro-Linguistica. Ha inoltre conseguito il diploma in Massaggio Antistress e Massaggio Terapeutico presso la Scuola Europea di Medicina del Messaggio di Milano, fondata e diretta da Giovanni Leanti La Rosa, di cui è stato per lungo tempo assistente e con il quale ancor oggi collabora.
È ricercatore, in campo posturologico presso l’Università Charitè di Berlino. È responsabile del reparto di Posturologia presso Residenza Villa Arcadia, Bareggio (MI) ed esercita stabilmente presso poliambulatori.
Collabora con riviste e siti internet e conduce corsi su: massaggio, posturologia, ginnastica posturale, alimentazione. È ideatore del metodo TIBodywork e presidente dell’associazione culturale-sportiva AssoTIB (Alfa/CSAIn/CONI).
Pubblicazioni scientifiche: http://www.giovannichetta.it/pubblicazioni.html
www.tibodywork.info – www.giovannichetta.it
“L’arte della terapia manuale è antica. Ho in alta stima coloro che, generazione dopo generazione, mi succederanno e il cui lavoro contribuirà all’arte naturale del guarire” (Ippocrate – 435 a. C.)
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