Ortopedia e Traumatologia

TAPING KINESIOLOGICO – IL METODO KOREANO

a cura di Rosario Bellia
Fisioterapista della F.I.H.P.

Questo metodo si propone di affrontare in modo globale la sintomatologia prodotta dalle patologie da sovraccarico funzionale nello sport, sia nella fase di rieducazione, che in quella agonistica, per supportare l’atleta durante la performance. Pone la massima attenzione sull’analisi delle catene cinetiche e sulla biomeccanica del gesto sportivo; se è indicato, il bendaggio riguarda l’intera catena cinetica interessata.
Il Metodo Koreano rappresenta una “evoluzione” del taping kinesiologico, che rimane l’indicazione specifica per i traumi diretti durante la fase acuta e post-operatoria, com’è stato ampiamente presentato nel libro “Il taping kinesiologico nella traumatologia sportiva. Manuale di applicazione pratica” (Bellia, Selva Sarzo, 2011) (1).

PRINCIPIO DEL COMPENSO MUSCOLARE

Un muscolo si contrattura perché, nell’economia del gesto tecnico, i muscoli sinergici allo specifico movimento sono ipotonici. Attivandosi con maggiore facilità e frequenza, durante il gesto sportivo o nella fase di preparazione specifica, è sottoposto a un sovraccarico funzionale che, conseguentemente, darà origine a un “sintomo” (dolore). Kendall (2001) (2) afferma che «I muscoli eccessivamente lunghi sono generalmente deboli e consentono un accorciamento adattativo dei muscoli antagonisti». Con il taping kinesiologico cerchiamo, in questa specifica evenienza, di compensare le tensioni con modalità applicative diverse:

1) decompressiva del muscolo contratto o retratto
2) stabilizzante dei muscoli ipotonici sinergici

Questo principio sta alla base della nuova concezione applicativa con una visione specifica sull’osservazione della catena cinetica interessata, per evidenziare degli squilibri mio-articolari e quindi affrontare la patologia con una visione ancora più globale. Nel corso di un’attività sportiva le informazioni propriocettive svolgono un ruolo chiave nell’organizzazione, nel controllo e nella coordinazione del gesto tecnico. La stimolazione cutanea afferente prodotta dal nastro darà una maggiore capacità di attivazione sinergica delle varie catene cinetiche, determinando un impatto senso-motorio facilitante per ottimizzare la risposta motoria al feedback efferente.
Nessuna parte della catena cinetica si attiva isolatamente, ma ciò avviene in sinergia con i muscoli, le articolazioni e i propriocettori globalmente. Importante è l’affermazione di Philippe Souchard: «I muscoli della dinamica hanno come ruolo quello di realizzare il movimento, mentre i muscoli della statica sono destinati in modo particolare a resistere al movimento» (3).
In una visione patogenetica i muscoli della statica svilupperanno l’ipertonia e la retrazione, mentre i muscoli della dinamica andranno incontro a ipotonia e “rilasciamento”. Quando un muscolo della statica si trova stirato a una delle sue estremità, tenderà sempre, per riflesso antalgico o per continuare ad assicurare la sua funzione anti gravitaria, a recuperare la sua lunghezza perduta in un’altra fisiologia (compenso tissutale), oppure nell’altra estremità. Così ci saranno muscoli “vittoriosi” e muscoli “vinti”, che daranno inoltre origine a compensi articolari. In questo modo la retrazione di un solo muscolo si propaga, in modo antalgico, con relè ossei e di tensioni vittoriose, in tensione vinta, seguendo le regole del rispetto delle funzioni egemoniche equilibratrici (Souchard, 2000) (4). Ogni deviazione ossea sarà fissata, a livello di ogni segmento, dai muscoli antagonisti complementari.

LE CATENE MUSCOLARI SECONDO SOUCHARD

Il concetto di catena muscolare di Souchard è privo di valore se non si tiene conto della differenza fondamentale tra muscoli della statica e muscoli della dinamica in una visione globale dell’organismo e della patologia.
1. La serie inspiratoria – Comprende gli scaleni, il piccolo pettorale, gli intercostali, il diaframma con il suo tendine. In caso di accorciamento di questa catena non sarà più possibile allungare la nuca, scaricare le spalle, o delordosizzare la zona lombare senza provocare un blocco inspiratorio. Nel caso di rigidità del diaframma le ultime sei coste saranno in posizione inspiratoria; viceversa, l’espirazione porterà con sé le spalle e la nuca in avanti, con un compenso in antero flessione dorsale.
2. La serie posteriore – Comprende gli spinali, il grande gluteo, gli ischio crurali, il popliteo, il tricipite surale (in particolare il soleo) e quelli dalla pianta del piede (in particolare il flessore plantare breve). L’accorcia-mento degli spinali altera l’armonia delle curve vertebrali: nuca corta e capo avanti, assenza di cifosi dorsale o iperlordosi dorso-lombare. L’accorciamento dei muscoli degli arti inferiori dà origine a una notevole perturbazione posturale in diversi segmenti: ginocchio varo o valgo, calcagno varo o valgo, secondo che predomini la rigidità dei muscoli della coscia, del tricipite surale o della pianta del piede.
3. La serie antero-interna dell’anca – È composta dagli ileo psoas e dagli adduttori pubici (pettineo, piccolo adduttore, adduttore medio, retto interno e parte anteriore del grande adduttore). Nella porzione superiore continua con gli spinali, grazie all’azione in lordosi di questi muscoli sugli iliaci e la zona lombare. In basso, psoas e adduttori pubici, essendo flessori e intrarotatori del femore quando il soggetto è in posizione eretta, e prosegue con il popliteo, il tricipite surale e i muscoli plantari. La retrazione di questa catena porta i femori in adduzione e rotazione interna, con la zona lombare in iperlordosi.
4. La serie anteriore del braccio – Comprende tutti i sospensori del braccio, dell’avambraccio, della mano e delle dita; è quasi esclusivamente anteriore. Nello specifico è composta da: trapezio superiore, deltoide medio, coracobrachiale, bicipite, supinatore lungo, pronatore rotondo, palmari, flessori delle dita, tutti i muscoli della loggia tenar e ipotenar. La sua retrazione porta la spalla in avanti (trazione del bicipite sull’apofisi coracoide), la flessione esagerata del gomito e delle dita.
5. La serie antero-interna della spalla – È costituita dai muscoli: sottoscapolare, coracobrachiale e gran pettorale (il fascio clavicolare del gran pettorale è sospensore del braccio). Si prolunga con la catena anteriore del braccio. La perdita di elasticità porta il braccio in adduzione, rotazione interna e disturba l’abduzione.

 

FACILITAZIONI MUSCOLARI PROPRIOCETTIVE

Questa nuova visione di taping kinesiologico in traumatologia sportiva ha preso spunto, oltre che dalla visione del gesto tecnico, seguendo un concetto appreso in Korea, anche dal pensiero sviluppato da Kabat (5) tra il 1946 e il 1951, che ha dato origine a una tecnica definita in seguito di “facilitazioni muscolari propriocettive”. Questa metodica ha avuto origine dall’osservazione dei movimenti compiuti nello sport e nella danza. Le prerogative affinché un movimento possa dare, nell’ambito di queste attività, un risultato qualitativo, sono soprattutto l’armonia, la coordinazione, la forza, la velocità e la precisione. Kabat osservò che, per esprimere queste qualità nel modo migliore, i movimenti erano compiuti nella maggior parte seguendo delle linee diagonali rispetto all’asse sagittale del corpo e che, in questi movimenti diagonali, avveniva una rotazione. Egli dimostrò clinicamente, e ciò fu confermato in via sperimentale da Gellhorn e collaboratori (6), che i muscoli delle estremità e del tronco sono raggruppati funzionalmente in schemi specifici composti di movimenti diagonali-spirali, che combinano tra loro flesso-estensioni, abduzione-adduzione e rotazioni. Un singolo muscolo, o un movimento isolato, non è in pratica mai usato nel compimento dell’attività volontaria. Un’analisi accurata di questi movimenti rivela che la direzione del gesto non è in linea retta ma diagonale. Dalla grande quantità di combinazioni osservate nei movimenti, Kabat ha fatto un lavoro di analisi biomeccanica, configurando un certo numero di schemi diagonali-spirali che perfezionò a uso terapeutico e classificò come “schemi base”, schemi di movimento globale o “mass movent patterns” in spirale e diagonale: modelli d’azione entro i quali i muscoli agiscono in linee di forza ottimali, dal massimo allungamento al massimo accorciamento con rotazione e torsione a spirale del segmento interessato. Lo schema del movimento è realizzato da precise sinergie muscolari nelle quali il reclutamento dei gruppi muscolari è assicurato dalla coordinazione del “gesto tecnico funzionale”. Gli schemi del movimento facilitano l’attività motoria: i loro circuiti nervosi hanno una debole resistenza sinaptica, richiedendo, dunque, meno partecipazione volontaria rispetto ad altri movimenti meno “naturali”. Questo principio è molto interessante anche in una visione globale del movimento e quindi anche nella progettazione di un bendaggio elastico, sia in ambito sportivo che nella fisioterapia generale.

FASCIA E “TENSEGRITY”

Prendendo spunto dalla schematizzazione proposta da F. Willard (2007) (7), si può considerare la fascia connettivale suddivisa in quattro strati formanti cilindri longitudinali concentrici, fra loro interconnessi, composta da:
– fascia superficiale
– fascia profonda, cervico-toraco-lombare
– fascia viscerale o splancnica
– fascia meningea.
Fascia connettivale e muscoli costituiscono, anatomicamente e funzionalmente, il sistema miofasciale, assumendo un ruolo fondamentale all’interno del sistema dell’equilibrio e della postura. È, infatti, il tessuto miofasciale a rappresentare il più vasto organo sensorio del nostro organismo; è da esso che il sistema nervoso centrale riceve in massima parte nervi afferenti (sensitivi). Il sistema miofasciale-scheletrico è una struttura non stabile, ma in continuo equilibrio dinamico, caratterizzato dall’oscillazione funzionale tra fascia e muscoli. Il “nemico” è pertanto la scissione della fascia dal periostio (che avviene oltrepassando i 2/3 dell’elongazione massima), dove c’è la massima concentrazione dei recettori interstiziali: quando la fascia è danneggiata, la riabilitazione è molto difficile e il soggetto presenta uno squilibrio funzionale biomeccanico e di coordinazione (Gracovetsky, 1988) (8). La fascia avvolge, separa, sostiene, lubrifica, nutre, crea “passaggi” per vasi e nervi, e ha proprietà meccaniche che le permettono di adattarsi in modo plastico ed elastico alle sollecitazioni che la attraversano. La fascia è fondamentalmente un’unità: un grosso foglio con estroflessioni che riveste i muscoli e le strutture annesse e accoglie gli organi interni, virtualmente senza soluzione di continuità. Vista la conformazione anatomica, pensare di poter isolare un’azione sulla fascia, piuttosto che sul muscolo, è arduo.
Il termine inglese “Tensegrity”, coniato nel 1955 dall’architetto Richard Buckminster-Fuller (9) dalla combinazione delle parole “tensile” e “integrity”, caratterizza la capacità di un sistema di stabilizzarsi meccanicamente tramite forze di tensione e di decompressione, che si ripartiscono e si equilibrano fra loro. Peculiarità della “tensegrità umana” è quella di funzionare come sistema a eliche a passo variabile o vortici (spirali). È sul piano trasverso che soprattutto si sviluppa l’antigravitazionale del sistema cibernetico uomo, grazie a un sofisticato sistema di equilibrio neuro-biomeccanico. Nella struttura di tensegrità biomeccanica dell’essere umano le parti in compressione (le ossa) spingono in fuori contro le parti in trazione (miofascia) che tirano verso l’interno e, come accade per ogni struttura di tensegrità, tutti gli elementi interconnessi si ridispongono come risposta a una tensione locale. In un corpo sano, le fasce profonde consentono alle strutture adiacenti di scivolare una sull’altra. Tuttavia, in seguito a malattie infiammatorie, come nei casi di contratture muscolari croniche, o a lesioni traumatiche, sforzi eccessivi o mancanza di esercizio ecc., si ha la formazione di “blocchi” locali (aderenze fasciali, cicatrici aderenziali, neoformazione di tessuto connettivo) nei diversi strati, che aumentano l’attrito interno durante la contrazione muscolare e contrastano i movimenti e l’allungamento del muscolo (formazione di muscolo retratto). La fascia muscolare si ristruttura sia ritirandosi attorno al muscolo accorciato, sia neo-formandosi per riempire gli spazi ai capi muscolari, inizialmente lasciati vuoti, mentre la sostanza fondamentale, a causa dei diminuiti scambi metabolici, aumenta la sua viscosità divenendo sempre più “collosa”: si crea così la retrazione miofasciale (F. Willard, 2007) (10).
Quando all’interno del corpo aumentano le costrizioni di tensione, le cellule preposte secernono collagene per far fronte alla tensione generatasi. Ciò avviene naturalmente in condizioni di tensione continua dovuta alla crescita: le ossa si allungano mettendo in tensione continua il connettivo periferico, costituito da aponeurosi, setti intermuscolari, tendini, legamenti, e questo è un fenomeno fisiologico del tutto naturale. Il medesimo fenomeno può, tuttavia, verificarsi in condizioni assai meno naturali, come in presenza di trazioni successive ripetute, per esempio nelle ipersollecitazioni meccaniche della muscolatura. In questo caso il tessuto si densifica poiché nuovi fasci di collagene sono prodotti per alleggerire il lavoro di quelli già esistenti e troppo sollecitati. Se in un tessuto aumentano le fibre collagene, esso perde la sua elasticità proporzionalmente a tale aumento. Anche nel trauma fisico avviene qualcosa di analogo: laddove siamo colpiti, la fascia si organizza per contenere e/o riparare la lesione, in superficie o in profondità, creando addensamenti con conseguente possibile perdita di elasticità e vitalità dei tessuti circostanti. L’esempio più evidente lo forniscono cicatrici e aderenze, entrambe prodotte dalla necessità, da parte della fascia, di “ricucire” gli “strappi” del tessuto dovuti a interventi che ledono la continuità del tessuto stesso. Poiché il corpo è un unico insieme di parti, tutte interconnesse mediante la fascia, appare chiaro come ogni modificazione locale della medesima possa alterare l’intera struttura. La funzionalità dell’intero corpo è garantita dalla comunicazione tra i diversi sistemi, e la fascia è senz’altro una via di comunicazione fondamentale, fungendo da connessione strutturale sia sul piano del supporto (come “scheletro” elasto-fibroso), sia sul piano della circolazione dei liquidi, sia, come vedremo, sul piano dell’integrazione degli stimoli propriocettivi nervosi (Bienfait, 1990) (11). Un altro fattore che contribuisce alla rigidità muscolare è la tixotropia, cioè la proprietà cha ha una sostanza, immobilizzata per un certo periodo, di diventare rigida e di opporsi al movimento (Chleboun e coll. 2000) (12). Se non ci si oppone abbastanza contro tali retrazioni (tramite stretching, mobilizzazioni articolari, massaggi ecc.), esse si trasformano in fibrosità, capaci di rendere difficilmente reversibili posture anomale e movimenti limitati.

 

 

 

LE CATENE CINETICHE

Nel movimento, la mobilizzazione di più articolazioni determina uno spostamento di diverse catene ossee l’una rispetto all’altra; tale sistema meccanico complesso è detto “catena articolata”. Lo spostamento articolare è frutto dell’attività muscolare e, pertanto, viene usato il termine di “catena cinetica muscolare”: gruppi di muscoli che partecipano a una comune azione sono definiti “catene muscolari” (13).
Rifacendoci alla classificazione di Bousquet, e senza entrare in modo particolare nei dettagli, possiamo dividere le catene muscolari in:
1) catena statica posteriore, che si trova nella parte posteriore del corpo e si comporta come un’unica fascia
2) catene rette del tronco, divise in rette anteriori e posteriori; intervengono nella flessione ed estensione del busto inducendo cifosi e lordosi; sono legate alla statica e fungono da punto di appoggio per i sistemi crociati
3) catene crociate, deputate al movimento; a livello del tronco permettono movimenti di torsione (una spalla va verso l’anca opposta). Le catene crociate si dividono a loro volta in anteriori e posteriori e hanno, così come le catene rette, dei “complementi” che, sovrapponendosi al sistema di base, mettono in relazione il sistema crociato del tronco con gli arti inferiori e superiori. Per capire meglio i concetti di catene muscolari cinetiche possiamo suddividere la muscolatura in dinamica e tonica. La muscolatura dinamica è rapida, affaticabile, al servizio del gesto tecnico e il suo trattamento è indirizzato verso lo sviluppo del trofismo-forza; la muscolatura tonica invece è lenta, poco affaticabile, garantisce la statica; il suo problema è la retrazione connettivale e viene contrastata con la tensione eccentrica (allungamento).
Partendo dagli insegnamenti di Mézières (14), si evidenzia l’inefficacia delle azioni localizzate, rappresentata dal fatto che un qualunque dismorfismo non è mai espressione di un accorciamento muscolare locale, ma è l’espressione dell’accorciamento dell’insieme: al piede piatto, per esempio, si associano, nella maggioranza dei casi, la rotazione interna e il valgismo delle ginocchia, l’accentuazione della lordosi lombosacrale, e a volte una risposta in cifosi del tratto dorsale con lo spostamento in avanti del capo.
I termini di “catena muscolare” e “catena cinetica” sempre più frequentemente si utilizzano anche nel linguaggio dello sport, perché meglio di altri aiutano a descrivere i complessi fenomeni biomeccanici che sono alla base dell’esecuzione del gesto atletico. Per descrivere le catene cinetiche è necessario utilizzare due termini convenzionali che sono:
prossimale, ovvero vicino al centro o alla linea mediana del corpo
distale, ovvero lontano dal centro o dalla linea mediana del corpo (contrario di prossimale).
Catena cinetica aperta: si intende per catena cinetica muscolare aperta il sistema in cui l’estremità distale (quindi più lontana) è libera, priva di alcun vincolo. Esempi sono l’arto inferiore durante la deambulazione nella fase oscillante, l’estensione della gamba in posizione seduta, muovere il braccio nel gesticolare o nel lanciare un oggetto e così via.
Catena cinetica chiusa: l’estremità distale della catena motoria è fissa, ossia non libera di muoversi durante l’esecuzione del gesto. Esempi sono l’arto inferiore nella deambulazione nella fase di appoggio del piede, gli arti superiori che spingono contro una parete o gli arti inferiori in un individuo che solleva un peso da terra.
Catena cinetica frenata: quando la resistenza esterna distale di una catena cinetica è inferiore al 15% della resistenza massimale che essa riesce a spostare, si può ritenere la catena aperta (o poco frenata), se invece tale resistenza supera il 15% la catena è chiusa (o molto frenata). Si crea, in questo caso, una condizione che limita l’apparato locomotore nella sua libertà di movimento. Il classico esempio è la pedalata del ciclista.
La biomeccanica delle catene cinetiche chiuse va considerata in senso opposto a quelle aperte, dove l’estremità distale è rappresentata dall’articolazione stabilizzante, e la direzione dell’attivazione muscolare avviene in senso caudo-prossimale (dalla periferia al centro). Per anello stabilizzante nella catena cinetica chiusa intendiamo l’articolazione che, grazie ai suoi muscoli fissatori, solidarizza l’arto alla resistenza esterna. Nel ciclismo i muscoli attivati per stabilizzare il movimento sono quelli che agiscono sui punti di vincolo fisso (impugnatura del manubrio e sella), ossia quelli dell’arto superiore e del tronco. Una conseguenza biomeccanica rilevante tra i due tipi di catene è che la funzione kinesiologica di uno stesso muscolo può variare, anche diventando opposta, a seconda che questo sia inserito in una catena cinetica aperta o chiusa.

Riferimenti bibliografici

  1. Bellia R., Selva Sarzo: Il taping kinesiologico nella traumatologia sportiva – Manuale di applicazione pratica, Alea edizioni, 2011
  2. Kendall F., Kendall McCreary E.: I Muscoli Funzioni e Test con Postura e Dolore – Verduci Editore, 1998
  3. Souchard E.: Basi del metodo di Rieducazione Posturale Globale – Il Campo Chiuso, ed. Marrapese, 1994
  4. Souchard E.: Lo stretching globale attivo – ed. Marrapese, 1995
  5. Viel Eric: Il metodo Kabat. Facilitazione neuromuscolare propriocettiva – ed. Marrapese, 1997
  6. Rinaldi Lucio: La tecnica dei vincoli muscolo-cutanei e il Crosystem – 1990
  7. F. Willard: Fascial Continuity: Four Fascial Layers of the Body – Fascia Research Congress, Boston 2007
  8. Gracovetsky S.: The Spinal Engine – Springer-Verlag/Wien, 1988
  9. Fridel J. Lieber R.L.: The structural and mechanical basis of exercise-induced muscle injury – Med Sci Sports Exerc 24: 521, 1992
  10. Iida Viel, Iwasaki Ito Yazaki: Activité électromagnétique des muscles superficiels et profonds du dos – Annales de kinésithérapie, Ediciones Masson,1978
  11. Marcel Bienfait: Il trattamento della Fascia. Le Pompage – AITR, 1990
  12. Léopold Busquet: Le catene muscolari – vol. 3, ed. P. Raimondi, 2009
  13. Godelieve Denys-Struyf: Il Manuale del Mézièrista – Vol. 1, Editore Marrapese 1994

Tratto da: Taping Kinesiologico, il Metodo Koreano – Manuale pratico di applicazione nello sport moderno
di Rosario Bellia (Associazione Italiana Taping Kinesiologico) – Alea Edizioni, aprile 2012

 

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