TECNICA “PASSIVATTIVA” NELLO SCOLLAMENTO MIO-FASCIALE – 1a PARTE: ARTI INFERIORI
“In tutte le civiltà fin dai primordi della medicina il trattamento delle malattie fu affidato, oltre a più o meno improbabili medicine, al trattamento del corpo mediante azione meccanica applicata dall’esterno, associata, talvolta, ad interventi termici mediante applicazione di impacchi o sostanze calde o fredde. Sembra quindi che interventi di massaggi o comunque trattamenti manuali su varie parti del corpo siano stati effettuati fin dall’antichità in tutte le etnie ed in tutti i continenti. Appare quindi logico poter affermare che la manualità del massaggio abbia sempre costituito, in tutti i popoli un’esigenza insopprimibile del genere umano.
Ancora oggi hanno grande popolarità massaggi orientali, ben distinti in ciascun paese d’origine, Cina, Giappone, Tailandia ecc. ma anche interventi con tecniche di massaggio di tipo squisitamente occidentale, soprattutto scandinavi e nord europei. Ogni intervento con queste manualità ha, nel suo DNA , uno scopo da perseguire: rilassamento, miglioramento della circolazione ematica, del liquido linfatico, funzione anti piaghe da decubito ed altre più o meno specialistiche applicazioni. Nel mondo sportivo, poi, il massaggio è stato da sempre uno dei capisaldi della preparazione dell’atleta, da praticarsi prima e dopo gli allenamenti e le gare. Non può quindi essere negato che al massaggio siano stati affidati ruoli importantissimi al fine di far rendere al meglio la macchina corporea umana impegnata nelle più svariate discipline motorie.
Lo sport, infatti, potrebbe essere definito come una scusa per verificare, e misurare quanto di massimale sa fare la macchina corporea in tutte le gestualità nelle quali può esprimersi: il massimo in destrezza, velocità, potenza, resistenza e perfino…..nella capacità di raggiungere il massimo possibile di immobilità!
Nel tiro a segno o in quello con l’arco, infatti, l’immobilità assoluta del corpo costituisce il presupposto per avere una “piazzola di tiro” la più efficiente possibile, allo scopo di centrare il bersaglio. Ebbene, in tutti gli sport viene applicato il massaggio al fine di migliorare la capacità prestativa umana.
C’è poi chi, come Maurizio, soprattutto nello sport, ha voluto andare ancora più a fondo, prendendo in considerazione i vari elementi, muscolari, tendinei, tessuti di rivestimento ecc. con lo scopo di liberare i confini tra i vari componenti in modo che ciascuno avesse la massima libertà di movimento, i minori attriti ed il dissolvimento delle viscosità esistenti.
In conclusione c’è un gran bisogno di persone, come Maurizio, che studino con la massima cura possibile, non solamente il potenziamento o il rilassamento, ma come mettere i vari componenti nella miglior e più efficiente capacità di lavoro. Anche se non particolarmente espresso, ritengo che questi interventi di manualità “liberatoria” possano anche influire positivamente sul sistema circolatorio, sia sui grossi vasi che sui capillari, aiutandoli a svolgere al meglio la loro duplice funzione di apportare ossigeno e di asportare i prodotti di rifiuto.
Ripeto ancora una volta che, dal punto di vista scientifico è difficile quantizzare” l’effetto positivo di un simile intervento, ma si è confortati da un forma di ragionamento, che a noi sembra logico, che ci dice: gli effetti, grandi o piccoli che siano, vanno certamente nella giusta direzione.
Auguro quindi, con tutto il cuore, il massimo successo a questa eccellente pubblicazione”.
Professor Antonio Dal Monte
Comitato Scientifico C.I.O.
Questo lavoro, elaborato con grande impegno e ricerca personale dal massaggiatore sportivo Maurizio Ronchi, offre l’opportunità a professionisti e studiosi delle terapie manuali di riflettere ulteriormente sui fattori principali che incidono sul trattamento di alcune patologie sportive, che incidono notevolmente sulla prestazione agonistica.
In effetti, le occasioni di confronto e di riflessione sulle metodologie di trattamento delle patologie muscolari da sport sono sempre troppo limitate e spesso gli addetti ai lavori trovano poco tempo da dedicare all’aggiornamento o al dibattito tecnico-scientifico. La discussione di nuovi punti di vista, innovazioni metodologiche e dei risultati delle sperimentazioni deve essere accolta positivamente per lo sviluppo delle metodologie del massaggio.
Questo lavoro vuole proporre dei punti di vista innovativi e delle riflessioni originali. Esso ha una notevole valenza applicativa ed è finalizzato al lavoro pratico, dal momento che nasce da una singolare fusione tra l’esperienza diretta sulle piste e campi di gara e approfondimento delle conoscenze di fisiologia muscolare. Ottima la presentazione iconografica delle manualità prese in esame.
L’autore è pienamente consapevole che la difficoltà di studiare con metodologie scientifiche avanzate l’efficacia del metodo, non rende sempre possibile verificare tutte le ipotesi e concetti e quindi si aspetta che futuri approfondimenti rivelino imprecisioni o limiti di questo lavoro, con una casistica più ampia… ma in fondo è proprio in questo modo che progredisce la conoscenza collettiva.
Rosario Bellia
Fisioterapista Nazionale Italiana F.I.H.P.
Istruttore Taping Kinesiologico
PREFAZIONE
… Cercherò quindi di spiegare come la tecnica “passivattiva” applicata in ambito sportivo risulti essere un metodo molto efficace per il rilascio delle aderenze mio-fasciali e come, migliorando una condizione biomeccanica non fisiologica nell’atleta, ne possa ottimizzare la prestazione sportiva.
Questo lavoro è frutto della lunga esperienza di istruttore, preparatore atletico e massaggiatore per diversi gruppi sportivi, ed è rivolto, senza pretese accademiche, a tutti gli operatori del settore, in special modo a chi sta iniziando il percorso di massaggiatore sportivo. Le manualità descritte non sono terapeutiche, di altrui competenza, e sono state studiate e messe a punto per il mantenimento e l’incremento della biomeccanica funzionale per gli sportivi di medio-alto livello atletico, il cui corpo è sottoposto a importanti allenamenti e performance sportive.
Una doverosa precisazione: non sono né medico né terapista dello sport, ma un tecnico ricercatore-operatore in questo campo che grazie alla sua formazione di chimico con esperienze in analisi biochimica, cerca di individuare e di capire alcuni dei fenomeni fisiologici che accadono nel tessuto mio-fasciale durante l’applicazione di tecniche di massaggio. Per tutti questi anni ho avuto e ho la fortuna di collaborare con biologi, medici e fisioterapisti sportivi, fonte del mio background formativo, con i quali continuo a rivedere e/o a sviluppare nuove tecniche e manualità specifiche per sportivi e atleti, o come vengono chiamati ora: “sport-bodyworks”.
Ad avvalorare la tecnica passivattiva, metodologia che da tempo applico nelle manualità di scollamento mio-fasciale, è stato il trovare un riscontro nel superbo studio sulla fascia di Robert Schleip, facendo particolare riferimento al suo lavoro “Fascial plasticity – a new neruobiological explanation”, dove ho trovato una significativa spiegazione dei meccanismi biochimici e biomeccanici che intervengono nei tessuti trattati durante la seduta di massaggio sportivo con la tecnica passivattiva.
Voglio citare Art Riggs, uno dei più stimati bodyworkers, che grazie al proficuo reciproco scambio di opinioni ed esperienze ha contribuito alla messa a punto di questa mia metodologia.
In pratica voglio spiegare come questa tecnica cinetica basata sull’aiuto dell’atleta nel sostenere un’azione dinamica in condizione di leggero stretching, torsione o contrazione muscolare durante le manualità di massaggio per il rilascio delle aderenze mio-fasciali – condizione passivattiva dell’atleta – sia più efficace rispetto al classico scollamento statico.
ADERENZE, COLLAGENE, FASCIA
Un breve accenno alle proprietà chimico-fisiche della fascia e dei suoi componenti per meglio focalizzare cosa sono le aderenze mio-fasciali e perché necessitano di essere scollate-rilasciate con la tecnica passivattiva.
Le cellule delle fasce connettivali si trovano disperse in una sostanza gelatinosa denominata MEC, matrice extracellulare. La MEC è costituita da una porzione fibrosa proteica inclusa in un gel acquoso di polisaccaridi. La parte fibrosa è costituita da fibre collagene, fibre reticolari e fibre elastiche. Le fibre collagene e reticolari sono costituite essenzialmente da molecole di collagene, ma differiscono tra loro per una diversa struttura molecolare; le fibre elastiche sono invece costituite da due catene proteiche di diversa natura: la fibrillina e l’elastina.
“Per queste caratteristiche il tessuto connettivo può essere anche diviso in tessuto connettivo fibrillare, tessuto connettivo elastico e tessuto connettivo reticolare, con la comune funzione di sostegno e di protezione: costituisce la base su cui poggiano i diversi epiteli e contribuisce alla difesa dell’organismo contro urti e traumi esterni” (da: Dispensa Massaggio Sport TIB).
Le fibre di collagene, per le quali vedremo solo le proprietà inerenti a questo lavoro, hanno la funzione di supporto meccanico per quelle parti del nostro corpo più soggette a forti sollecitazioni sia interne che esterne. Il collagene lo troviamo, infatti, sotto forma di fibre di vario spessore, come legamenti e tendini, strutture forti che possono resistere a notevoli carichi dinamici e statici.
Questi tenaci fasci fibrosi di collagene, dato lo scarso e irregolare orientamento fibrillare lungo la linea di sviluppo della forza muscolare, possiedono comunque un certo grado di estendibilità, ma senz’altro inferiore a quello delle fibre muscolari. Quest’ultime sono caratteristiche per la loro elasticità e resistenza, ma quasi esclusivamente nel senso della forza espressa nelle fasi di movimento – contrazione allungamento muscolare bidirezionale – ovvero lungo la direzione dell’orientamento delle fibre e dei loro fasci muscolari.
Invece le fibre di collagene del tessuto connettivo – la fascia – hanno decisamente minor forza ed elasticità, però possono garantire una protettiva funzione meccanica elastica agente in modo tridimensionale, in qualunque senso la forza venga sviluppata/applicata, sia dal muscolo (forza interna) che da quella assorbita come per esempio avviene durante un impatto – forza esterna.
Per cui prendendo in esame le fibre di collagene della fascia, dal punto di vista meccanico per far fronte a importanti eventi traumatici o ripetuti nel tempo come urti, torsioni, schiacciamenti e costrizioni varie, esse tendono a modificare la loro proprietà viscoelastica in modo quasi permanente, per adattarsi a queste forze anomale che agiscono sulla fascia facendone superare il limite di deformazione strutturale.
Per contenere il possibile danno provocato alla fascia, le fibre di collagene si dispongono in modo molto più disordinato rendendo difficile un ritorno allo stato fisiologico iniziale, ovvero l’incapacità di riorganizzarsi in fasci fibrillari più ordinati.
Alcuni studi hanno confermato che la fascia connettivale mantiene in memoria il trauma determinando in quel punto, quasi per proteggerlo, una modificazione nella loro mobilità sia elastica che di scorrimento: sono le aderenze che limitano il grado di libertà del movimento muscolo-articolare durante il gesto o l’attività sportiva. Le aderenze, specie quelle profonde o importanti, sono aree di contatto non fisiologico dove si vanno a concentrare le tensioni da trazione dei tessuti adiacenti e col tempo anche le forze espresse dal conseguente adattamento posturale.
Per approfondimenti sulla fascia consiglio l’eccellente lavoro del Dr. Giovanni Chetta “Il sistema connettivo“.
TRATTAMENTO PER MUSCOLI ADIACENTI NEL MASSAGGIO SPORTIVO
La tecnica passivattiva di scollamento mio-fasciale che va a trattare i muscoli in contatto tra di loro (i muscoli adiacenti o paralleli), nel massaggio sportivo risulta di aiuto per il ripristino della corretta scorrevolezza tra i vari tessuti e di conseguenza della mobilità articolare. Questa tecnica in abbinamento con il Massaggio Traverso Profondo – MTP – o con la Frizione Trasversa Profonda – deep friction o tecnica Cyriax – comporterà “… un orientamento delle fibre collagene, assieme al loro rafforzamento grazie ad una circolazione migliore e può essere sufficiente a permettere all’atleta di mantenere un alto livello d’attività, che sarebbe stato impossibile senza il trattamento …” (Francesco Nigro).
Quando le fibre di collagene della fascia, già di natura poco allineate fra loro, a causa di traumi, di stress da sovraccarico tensivo/nervoso, tendono ad addensarsi e a disporsi ancor più in maniera casuale e disordinata, è possibile che diano inizio ad una marcata adesività e conseguente retrazione mio-fasciale che lega la normale dinamica muscolo/articolare – Range of Motion. A questo proposito per spiegare in maniera figurata cosa avviene, riporto l’esempio riportato in un lavoro pubblicato su Sports&Med, il quale visualizza benissimo la questione. Immaginiamo di aver tra le mani una striscia di nastro adesivo, il comune scotch, dove la parte liscia rappresenta la fascia con le sue fibre di collagene ben ordinate e quindi in ottimo stato fisiologico, e la parte adesiva appiccicosa rappresenta quella degradata stressata, dove le fibre di collagene sono disposte a casaccio. Se facciamo scivolare sulla nostra pelle la parte liscia del nastro, essa scorre via liscia senza attriti; per contro quando facciamo scivolare la parte adesiva, essa si trascina dietro la pelle, i peli, facendo sentire un “tiraggio”.
Questo attrito non è altro che la sensazione che proviamo quando un’aderenza mio-fasciale impedisce di eseguire una normale escursione muscolo-articolare. Per questo motivo è necessario intervenire con tecniche e manualità per scollare tali aderenze.
Tutte le manualità indicate in questo lavoro, nascono in un’ottica “cinetica”, ovvero in relazione alla fondamentale partecipazione attiva da parte dell’atleta mentre l’operatore passivamente muove, stira e ruota il muscolo o il tratto di catena mio-fasciale interessato allo scollamento.
Tecnica che definisco passivattiva per il contributo minimo, ma indispensabile che viene richiesto all’atleta per ottenere la condizione necessaria affinché possa iniziare il cambiamento viscoelastico del tessuto mio-fasciale (collagene). Ciò non solo dovuto all’azione fisica meccanica della manualità, ma anche per gli effetti conseguenti alla risposta della stimolazione eseguita sui meccanocettori dell’atleta: corpuscoli e organi di Golgi, Ruffini e Pacini.
Questa condizione passivattiva, secondo lo studio di Schleip, è assolutamente necessaria in quanto i corpuscoli dei meccanocettori se non stimolati direttamente su ordine del loro proprietario – l’atleta in questione – non riescono ad influenzare il sistema simpatico con la conseguente variazione del tono muscolare rendendo vano il lavoro di rilascio. Come appunto egli ha dimostrato per spiegare la dinamica della plasticità della fascia durante la manipolazione mio-fasciale, mette in evidenza che usando tecniche su parti del corpo anestetizzate e non, nelle prime non vi era alcuna variazione del tono muscolare e della viscoelasticità se non di breve durata, mentre nella seconda trattando le parti del corpo attivate dalla persona massaggiata, tali effetti erano ben riscontrabili e di più lunga durata.
Non andando troppo nel dettaglio (per approfondimenti si consiglia la lettura del citato lavoro di Schleip), appare chiaro come sia importante rispettare questa condizione cinetica durante lo scollamento mio-fasciale, a maggior ragione sulla base dei positivi risultati riscontrati sul campo applicando questa modalità durante le scorse stagioni agonistiche. Perciò in base alle mie esperienze trovo che inserire la tecnica passivattiva con manualità di scollamento e separazione per muscoli adiacenti durante le sedute di massaggio-sport, risulta essere di ottimo aiuto agli sportivi per conseguire una buona performance atletica.
Aiuto valido anche per l’operatore che avrà molta meno difficoltà nello scollare le aderenze data la minor incisività richiesta dalla tecnica, il che è molto gradito dall’atleta trattato. Si tratteranno esclusivamente manualità per i muscoli e la fascia, in quanto per i legamenti, a mio parere, la miglior tecnica risulta sempre ladeep friction, Frizione Trasversa Profonda.
La tecnica passivattiva è molto efficace per quei tipi di muscoli fusiformi o nastriformi con poco ventre e lunghi tendini, che spesso subiscono a causa della restrizione fasciale delle torsioni intorno alla struttura ossea correlata, o sono soggetti a una rotazione-trazione lungo il loro asse a causa delle aderenze con i muscoli adiacenti o con la fascia stessa. Oltre al lavoro sulla parte muscolare è indispensabile trattare anche i tendini per rompere le aderenze fibrose formatesi.
Come mostra empiricamente la foto sopra, il tendine rosso e la sua guaina di rivestimento – la retina bianca – vengono mobilizzati e frizionati appunto per evitare, rompere o rilasciare le aderenze – crosslinks – così da permettere una ottimale e reciproca scorrevolezza, merito anche della lubrificazione indotta dagli effetti del massaggio localizzato.
“Già prima della comparsa dei sintomi fastidiosi per una tendinite, il collagene tende a degenerare dando inizio all’infiammazione. Il massaggio di frizione sul tendine-guaina svolge un lavoro preventivo sulla comparsa dell’infiammazione dovuta a sovraccarico di lavoro o alla fibrosità della guaina che lo avvolge, in quanto stimola la riproduzione di collagene che sostituisce quello degradato disponendosi ordinatamente. Per cui il massaggio con le sue tecniche specifiche manuali per lo scollamento di aderenze fibrose -muscolo/fascia/guaina/tendine – resta sempre più un’ottima pratica per la prevenzione da infortuni, nonché di gran beneficio per lo sportivo” (W.W. Lowe – terapista del massaggio). La Figura 1 con una visione muscolo-scheletrica globale permette di evidenziare alcuni di questi muscoli e le catene mio-fasciali di appartenenza.
Figura 1
Dopo anni di lavoro su atleti di diverse discipline sportive, ritengo che questa pratica ora aggiornata con la dinamicità della tecnica passivattiva, sia di ottimo aiuto se applicata in sinergia con i vari lavori di preparazione atletica – flessibilità, elasticità – per l’ottenimento e l’ottimizzazione del miglior Range of Motionmuscolo-articolare. I muscoli appartenenti a un gruppo mio-fasciale preciso – ad esempio quelli della coscia – si devono poter liberamente contrarre/decontrarre con indipendenza fra loro, pur rimanendo sinergici, antagonisti o reclutati durante la biomeccanica di un gesto atletico. Lo scollamento e separazione per muscoli adiacenti, risulta inoltre efficace nel contrastare la retrazione mio-fasciale, riducendo il rischio di infortuni. Restrizioni e aderenze sono tra le principali cause di disfunzioni in quanto, esercitando trazioni e torsioni su muscoli, fascia e articolazioni correlate, sono causa di impedimenti e dolori durante l’esercizio fisico. Il mancato scorrimento tra muscoli adiacenti – una delle cause sono essudati, acido lattico e scorie metaboliche che aumentano il grip interstiziale fascia-muscolo-fascia – ha come effetto una perdita di indipendenza durante la fase di escursione allungamento-accorciamento e, di riflesso, nell’erogazione della forza muscolare. Questo risulta essere un vero gap per la fisiologica escursione miotendinea – ROM – durante la fase di contrazione/decontrazione specialmente durante una prestazione sportiva. Ne consegue che con sovraccarichi di lavoro o con la ripetizione di specifiche gestualità tipiche di allenamenti intensivi a senso unico, si vada ad incrementare il processo naturale di retrazione mio-fasciale, con le ben note noie a livello muscolo-articolare le quali, se non trattate precocemente possono portare l’atleta a forzati compensi posturali incidendo negativamente sulla performance. Sappiamo bene che i muscoli sottoposti a superlavoro possono oltrepassare il loro range of motion, ma nel caso questa azione venga più volte ripetuta, provocherà un rigonfiamento – ipertono – e una rigidità muscolare – stiffness – con possibile conseguente infiammazione. Questo ipertono riduce lo spazio interstiziale muscolo-fascia-muscolo limitando la circolazione sanguigna per il nutrimento dei tessuti e quella linfatica per la pulizia dalle scorie, provocando un disagio rilevato dai vari recettori presenti – propriocettori, meccanocettori, chemiocettori – che informano il Sistema Nervoso Centrale e causano la trasformazione del disagio in dolore mio-fasciale.
“… Un muscolo ben allungato, infatti, è in grado di eseguire dei movimenti più ampi con minor stress per la sua articolazione. Studi sulla mobilità articolare confermano che eseguire esercizi di stretching alla fine delworkout accelera il recupero …” (M. Scudero, massaggiatore). In completo accordo mi sento di affermare che far seguire la parola scollamento ove si parli di allungamento/stretching possa essere decisamente appropriato e sinergico.
“Inoltre tali aderenze esercitano sia forze di trazione laterali, destabilizzanti per il compartimento mio-fasciale associato, che forze atte a instaurare una torsione assiale sui muscoli stessi ” (A. Riggs).
Le aderenze mio-fasciali possono portare ad uno squilibrio delle forze che agiscono in “tensegrità” (la parola inglese “Tensigrity” è stata inventata dall’architetto Fuller nel 1955; risulta dalla contrazione delle parole “tensile” ed “integrity” e caratterizza la facoltà di un sistema a stabilizzarsi meccanicamente col gioco di forze di tensione e di decompressione che si ripartiscono e si equilibrano) su un compartimento articolare. Questo sbilanciamento generalmente causa adattamenti posturali, infiammazioni e dolore, condizioni che vanno a scapito della performance sportiva e nei casi più gravi impediscono all’atleta di allenarsi. Un esempio è l’incollamento del muscolo Tensore della Fascia Lata (TFL), tratto Ileotibiale, con il Vasto Laterale (Figura 2).
Figura 2
Quest’ultimo sottoposto all’azione di trazione laterale esercitata dal TFL, può essere causa di un risentimento al ginocchio e, come dimostrano alcuni studi, essere responsabile o concausa di dolori compartimentali (sindrome Femoro-Rotulea).
Lo stesso TFL è in grado di “trazionare” per “incollaggio” l’inserzione miotendinea del Bicipite Femorale soprattutto durante la fase di accosciata – squat – che può contribuire all’insorgere di dolori nell’area del ginocchio per mancata stabilità.
A riguardo è possibile trovare ampia documentazione nei vari studi pubblicati su vari siti di Sports&Med, di come lo scollamento dei muscoli della coscia e della gamba abbia risolto dolori e limitazioni per l’articolazione del ginocchio che si presentavano con i tipici sintomi delle più comuni sindromi compartimentali come quelle riportate in Figura 3.
Figura 3
Questo per spiegare come l’aver liberato i muscoli incollati dalle aderenze abbia così normalizzato lo squilibrio tensivo delle forze agenti per la stabilizzazione del ginocchio.
Sappiamo bene come anche minime trazioni dovute a contratture, trigger points, cicatrici etc., siano in grado di sbilanciare non solo un articolazione, ma la “tensegrità” del corpo modificandone la postura.
Altra utilità riscontrata nell’uso della tecnica passivattiva di scollamento a scopo preventivo specie per i muscoli delle gambe è quella di contrastare l’insorgenza del crampo muscolare.
“Indipendentemente dalla vera causa che induce il crampo muscolare (diverse sono le teorie sulle cause), sembra invece accertato che il dolore sia dovuto all’intensa stimolazione dei meccanocettori dovuta all’eccessiva contrazione muscolare” (E. Sproviero).
Ne conviene che eliminando le aderenze mio-fasciali si otterrà una miglior tonicità muscolare che è una delle condizioni ottimali per evitare l’insorgere del crampo.
Ciò denota ancora una volta che intervenire con un’azione preventiva di scollamento per separare tra di loro i muscoli adiacenti, diviene una necessità per gli atleti agonisti e per chi si dedica al fitness con un’alta frequenza settimanale.
PRINCIPI DELLA TECNICA PASSIVATTIVA
La tecnica consiste nello scollare tra di loro questi muscoli esercitando contemporaneamente con l’altra mano uno stretch passivo o, nel caso essa sia impegnata nella manualità, tramite specifiche posizioni, il tutto con un piccolo aiuto dinamico da parte dell’atleta: come spiegato in precedenza grazie anche alla cinetica a sostegno delle manualità, la tecnica passivattiva riduce il tempo necessario per risolvere le aderenze e mantiene più a lungo questo nuovo stato di libertà (Figure 4-5-7-8).
Figure 4-5-7-8
Eseguito un primo parziale scollamento, ogni muscolo viene trattato con manualità twist&roll per un’ulteriore separazione muscolo-fascia-muscolo mettendo in risalto il grado di rilascio da aderenze (Figura 6).
Figura 6
Prima di passare alla visione delle tecniche manuali di scollamento, è bene tener presente che, una volta riscontate particolari aderenze in un muscolo tali da non consentire un corretto ROM, per una maggior efficacia del trattamento si deve testare anche la condizione dei muscoli della catena mio-fasciale di appartenenza. Quindi dovrà essere effettuato un lavoro esclusivo sul muscolo, ma tenendo sempre presente l’interazione che esso esercita e/o subisce in relazione alla fascia e alla sua catena cinetica. È fondamentale tenere sempre presente l’azione che la fascia esercita nelle aree sottoposte a stress nervoso/tensivo o a sovraccarico di lavoro. Avvolgendo/riempiendo tutti i settori muscolari, sia in fasci fibrillari che in larghi fogli, la fascia ha la tendenza ad accorciarsi proprio in questi hotspots – punti critici – causando i ben noti problemi di mobilità mio-fasciale-articolare.
Dunque per eseguire una funzionale manualità di scollamento è necessario rilassare il più possibile il muscolo teso, contratto o accorciato che sia, affinché l’aderenza fasciale possa essere rimossa o allentata efficacemente. In caso di tensione eccessiva della parte da trattare, è bene cercare di diminuire questo stato trattando l’intera catena mio-fasciale riferita, con l’intento di allontanare e di distribuire questo eccesso di contrazione su di una più larga superficie, portando il muscolo dolente dell’atleta in una condizione di maggior relax.
Ad esempio se si deve trattare il muscolo Bicipite Femorale della coscia, andremo a testare tutta la sua catena di appartenenza, ovvero partendo dall’arto inferiore con i muscoli Peronieri, Gastrocnemio e Soleo, quindi il BF appunto, il tratto legamentoso sacrale, i muscoli Lungospinali erettori della Colonna Vertebrale fin su all’occipite e tutta la fascia relativa a questo percorso.
Oppure nel caso del muscolo Tensore della Fascia Lata, cominceremo con il testare il muscolo Tibiale, il TFL appunto, il muscolo Obliquo Interno, e dato che in questo caso la catena è a spirale, proseguiremo sul muscolo Obliquo esterno per poi andare dietro e verso l’alto con il muscolo Dentato, i muscoli Romboidi e finire con i muscoli Elevatore della Scapola e Splenio, inclusa la fascia legata ad essa. Personalmente, ma non “alla lettera”, seguo le catene mio-fasciali secondo Tom Myers – Anatomy Trains.
Vediamo nel dettaglio come si eseguono tali manovre. Punto chiave è ottenere la collaborazione da parte dell’atleta, mettendolo al corrente delle tecniche che andremo ad eseguire, spiegandone il fine e gli effetti voluti e le sensazioni che proverà. Come noto, più si abbassa la rigidità/tensione muscolare, più entreremo in sintonia con l’atleta e più efficace risulterà la tecnica passivattiva.
Tutte le manualità di scollamento, di definizione e di stretch muscolare vanno eseguite molto lentamente, per avere sempre la prontezza di interrompere l’azione per un qualsiasi motivo. Questo perché, lavorandoprofondamente su contratture, aderenze e fibrosità mio-fasciali, bisogna avere sempre il controllo della situazione, ricordando che non si sta “spalmando olio” ma lavorando con pressioni importanti, per frizionare, pinzare e schiacciare i muscoli i tendini e la fascia.
In base a questa considerazione e a motivi legati puramente all’esecuzione tecnica delle manualità, è meglio non lubrificare troppo la zona da trattare con olio o creme per mantenere sempre una discreta capacità di presa/controllo. Come dice Art Riggs, è come se volessimo svitare il tappo del barattolo della marmellata con le mani unte; ci si può anche riuscire, ma … quanta forza devo sprecare per svitarlo! Il che tradotto nei riguardi dell’atleta è che è possibile anche provocargli un eccessivo dolore per nulla, mentre per l’operatore si verifica uno spreco di energie e un eccessivo carico per le articolazioni delle dita.
Ora per entrare nell’ottica della tecnica passivattiva (che osservata direttamente è molto esplicativa) vorrei spiegarne il concetto con un esempio: immaginiamo di dover riprendere un oggetto con una fotocamera e di cercare di renderlo il più possibile evidente e riconoscibile dallo sfondo. Per avere un buon dettaglio è bene riprendere il soggetto da diverse angolazioni; più saranno i punti di vista, più precisa sarà la risoluzione e il risultato finale risulterà senz’altro di buona fattura viste le molteplici pose. Se invece usiamo una videocamera, appare chiaro come la ripresa in movimento – cinetica – attorno, sopra e sotto l’oggetto, sarà ancora più dettagliata e più completa per lo scopo voluto, ovvero la miglior risoluzione del dettaglio e la messa in risalto del soggetto. Rapportando l’esempio alla tecnica passivattiva, l’operatore che passivamente supporta il movimento con l’attivazione muscolare dell’atleta, può lavorare il muscolo e la fascia adiacente quasi per 360 gradi, mentre questi si allungano, si rilassano e si contraggono. Così, specie per i muscoli, da poter avere a disposizione durante tutti i vari cambi dimensionali e di posizioni che la struttura fisiomorfologica concede. Il tutto verrà ancor più reso efficace dal momento che sfrutteremo il meccanismo dell’innervazione reciproca tra muscoli agonisti-antagonisti, specie quando il lavoro di scollamento deve essere eseguito su muscoli ipertonici, “duri” o tesi. Tutti i movimenti del corpo avvengono per un “accordo” muscolare di co-attivazione, ovvero la sincronia tra gli opposti gruppi muscolari durante le fasi di contrazione-rilassamento-allungamento, pena la staticità del corpo, il non movimento. Per cui all’attivazione di un muscolo – agonista – consegue un rilassamento del muscolo opposto – antagonista – che può così maggiormente allungarsi. Riporto il classico esempio, usato negli allungamenti col metodo PNF – Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation o facilitazione neuromuscolare propriocettiva – dove per facilitare lo stretching dei muscoli posteriori della coscia, si richiede l’aiuto dell’atleta che deve prima contrarre il muscolo Quadricipite Femorale, che perinnervazione reciproca provocherà un rilassamento degli ischiocrurali posti così in condizione di esser più facilmente allungati e “lavorati”.
L’obbiettivo finale della tecnica passivattiva sarà quello di avere un muscolo più in dettaglio dallo sfondo,più libero biomeccanicamente nel suo ROM e aver riequilibrato le forze di stabilizzazione dell’articolazione correlata.
Appare per cui chiara la differenza che passa tra la tecnica di scollamento mio-fasciale classica (la staticità della fotocamera) e la tecnica passivattiva (la dinamicità della videocamera) che ora vedremo nel dettaglio.
LA TECNICA PASSIVATTIVA
Il primo step della tecnica passivattiva è quello di riscaldare la zona da trattare, ovvero di ottenere un buonwarm-up mio-fasciale, sfruttando così la sua proprietà tixotropica (diminuzione della viscosità indotta da un’azione meccanica) con lo scopo di ottenere il primo grado di rilascio prima del lavoro profondo. Si inizia dunque con l’eseguire sulla zona interessata la manualità “stroke”, sfioramenti leggeri con il palmo della mano o di avambraccio. Questa manualità, lavorando nel senso dello sviluppo della forza muscolare, non è di scollamento, ma di preparazione ad esso in quanto va a stirare, ad appiattire le “grinze” formatesi sui fogli fasciali e ad ordinare longitudinalmente le fibre di collagene che si sono aggrovigliate durante l’accorciamento nella fase di adattamento a seguito di una situazione di stress meccanico o nervoso.
Questa fase iniziale di scioglimento mio-fasciale, si caratterizza per la lentezza e la poca pressione applicata durante la manualità; è utile all’operatore per testare la zona interessata del corpo dell’atleta con lo scopo di trarre il maggior numero di informazioni per definire l’approccio e quali manualità siano più indicate/mirate per il proseguo del trattamento.
Come dice bene Erik Dalton, uno dei più stimati bodyworkers “… la palpazione è l’arte per ottenere informazioni”. A fronte di ciò le stroke superficiali che all’inizio del trattamento si eseguono per riscaldare, ammorbidire e rilasciare la muscolatura, divengono la prima fonte di informazione diretta sul campo. Questa lentezza e accuratezza nella manualità permette ai nostri sensori digitali e cutanei – meccanocettori tattili – di essere nella miglior condizione di sensibilità per farci rilevare e conoscere la condizione mio-fasciale dell’atleta; ciò verrebbe vanificato se la tecnica fosse applicata con un’azione veloce e brusca. Così facendo l’operatore otterrà gran parte delle informazioni utili per mettere a punto la strategia più efficace da eseguire sull’atleta.
Per completare il quadro informativo, si tenga presente che ogni muscolo è parte di un compartimento articolare, e che quindi risulta utile testare il ROM, sia passivo che attivo, per evidenziarne eventuali impedimenti, dolore o quant’altro di poco fisiologico, causato da aderenze e tensioni indotte dal muscolo stesso o dai muscoli adiacenti, sia presente nel movimento articolare. Dopo la manualità di stroke si esegue sul muscolo quella più incisiva di “stripping”, con lo scopo di cominciare a rompere/rilasciare le aderenze fasciali superficiali. Questa tecnica è più un vero “sfregamento” profondo che non uno sfioramento, una sorta di stretching passivo intenso e di breve durata.
Da questo momento in poi dato che le manualità saranno applicate con pressioni importanti, è fondamentale che tutte le tecniche di scollamento mio-fasciale profondo vengano eseguite con la messa o in tensione -stretch – o in torsione – spin stretch – oppure tramite una contrazione variabile dei muscoli da trattare.
Questa condizione è applicata sia passivamente dall’operatore, che dall’atleta che attiva il muscolo contraendolo isometricamente (Figura 9).
Figura 9
È essenziale questo modo di procedere per due motivi: il primo è quello di allungare le fibre e i fasci muscolari-fasciali nel fisiologico verso lo sviluppo della forza-lavoro; il secondo è di prevenzione, poiché l’utilizzo di pressioni decise sul ventre muscolare o sull’inserzione miotendinea in condizioni di scarico-relax, potrebbe risultare dannoso oltre che molto doloroso per l’atleta.
Quindi per una maggior efficacia della tecnica passivattiva, in base alla struttura e alla posizione anatomica del muscolo da trattare, non si deve limitare il lavoro di scollamento ad una determinata posizione fissa, ma applicare le manualità mentre il muscolo è in movimento attivato da una graduale contrazione o dall’azione di stretching.
Nel caso che per diversi motivi non si possa applicare la tecnica dinamicamente, per impedimento biomeccanico o per dolore, bisogna trattare il muscolo variando quanto più possibile l’angolazione dell’articolazione associata (Figura 10).
Figura 10
Ora appare ancor più chiaro il motivo per il quale bisogna mantenere una certa lentezza durante l’esecuzione di tali manualità profonde. La velocità riduce la nostra sensibilità tattile ed inoltre risulta difficile poter interrompere immediatamente l’esecuzione in caso di problemi e, cosa sgradevole, può evidenziare un certo”fare sbrigativo” nei confronti dell’atleta. Per scollare le aderenze tra muscolo/muscolo e muscolo/fascia, si hanno a disposizione diversi personali tool – utensili – a secondo del tipo di lavoro più o meno profondo da eseguire o in base alla struttura anatomica dei muscoli da trattare. A seguire alcuni esempi di quelli maggiormente impiegati. Notare ancora una volta come per una maggior efficacia della tecnica passivattiva si inizi sempre con le manualità di stroke per il riscaldamento e la percezione/rilevazione tattile dell’area da trattare che via via diventano sempre più profonde (Figura 11 – stroke con il palmo della mano e avambraccio).
Figura 11
Pollici, dita e nocche sono generalmente ottimi tool per lo scollamento dei tendini, come in questo caso per gli estensori delle dita dei piedi. Si esegue uno “smile”, tecnica di sfioramento profondo curvilinea (Figura 12-13).
Figura 12-13
Tecnica che risulta molto efficace per atleti che fanno uso di scarpette strette ( velocisti, calciatori, pattinatori, climbers etc.).
L’utilizzo delle nocche serve ad incrementare la pressione/forza rispetto alle dita e ai pollici quando richiesta dalla tecnica. Per esempio nel trattare i muscoli Peronieri e Tibiali (Figura 14) se il lavoro deve essere profondo (ultima foto) l’uso delle nocche risparmia all’operatore un eccessivo stress articolare per le ultime falangi delle dita.
Figura 14
L’uso dell’avambraccio, del pugno o del gomito diviene necessario per la tipologia anatomica di taluni muscoli da trattare o quando si ha necessità di eseguire un lavoro profondo, che non vuol dire doloroso, ma più efficace e risolutivo – non nel senso di sbrigativo.
In Figura 15 vediamo un’applicazione della tecnica passivattiva per scollare il tratto ileotibiale del muscolo Tensore della Fascia Lata dal sottostante muscolo Vasto Laterale. L’uso del pugno e dell’avambraccio per lostripping, con il successivo profondo scollamento con l’uso del gomito ed infine la messa in evidenza del TFL con la tecnica twist&roll, un insieme di torsioni-rotazioni-elevazion-frizioni per mobilizzare ogni singolo muscolo liberato da tensioni e aderenze.
Figura 15
Per la miglior efficacia nel raggiungere lo scopo di quest’ultima manualità di scollamento, è ancor più importante visualizzare nella nostra mente l’azione di rilascio mio-fasciale, che le dita, le nocche o altro toolesercitano sui bordi del muscolo o per l’area fasciale che stiamo trattando.
In Figura 16 l’utilizzo dei pollici e del gomito per lo scollamento dei muscoli Ischicrurali, finalizzata dalla tecnica di twist&roll per il muscolo Bicipite femorale.
Figura 16
Una volta ottenuto un buon grado di rilascio mio-fasciale con la messa in risalto del muscolo, si procede con manualità di Massaggio Traverso Profondo – MTP – per i muscoli di grossa massa con lo scopo di riallineare le fibre muscolari e fasciali nel senso della linea di forza (Figura 17).
Figura 17
Lo scopo della tecnica twist&roll, da preferirsi per i muscoli di media/piccola taglia, è di mettere in evidenza il muscolo in tutta la sua lunghezza: origine, ventre, inserzione mio-tendinea e sul periostio per quanto la struttura anatomica ci concede di eseguire (Figura 18).
Figura 18
Questo tipo di lavoro serve, oltre che per il riallineamento delle fibre mio-fasciali, per rilasciare il muscolo dalle profonde aderenze così da poter essere libero di scivolare tra i tessuti profondi e le ossa, completando l’iniziale l’opera di scollamento superficiale. Questo è dunque il vero obiettivo della tecnica passivattiva: ripristinare l’indipendenza e il completo ROM di escursione mio-fasciale, riequilibrare le tensioni articolari per poter erogare al meglio la forza-lavoro durante il gesto atletico o la prestazione sportiva.
Di seguito vari esempi di tecniche di stripping e twist&roll per lo scollamento e la messa in evidenza di alcuni muscoli degli arti inferiori.
Figura 19 – Stripping dei muscoli Peronieri e Tibiale per una prima rottura delle aderenze con la fascia superficiale sottocutanea; l’atleta mantiene l’arto in leggera abduzione spingendo il ginocchio all’esterno contro la mano dell’operatore.
Figura 19
Figura 20 – Una diversa posizione per lo stripping dei muscoli Peronieri e Tibiale. L’atleta applica una leggera contrazione isometrica spingendo sulla spalla dell’operatore. Come si nota in questo caso e per altri in seguito, la manualità sembra vada contro il flusso sanguigno venoso, ma in effetti la superficie di contatto del tooldell’operatore è limitata alla porzione muscolare o fasciale, senza interessare o inibire in maniera sensibile la circolazione. Questo verso della manualità è richiesto nel caso di forti retrazioni mio-fasciali tali da inibire l’articolazione correlata. Utilità spiegata dal fatto che andiamo ad allungare un accorciamento ipertonico contro la direzione del restringimento mio-fasciale, cosicché oltre ad ottenere un rilascio delle aderenze fibrose, si va anche ad allungare il muscolo sgravando l’articolazione da eccessiva tensione/trazione, spesso causa di sbilanciamenti posturali.
Figura 20
Figura 21 – Lavoro di scollamento per i muscoli Peronieri e Tibiale anteriore dalla tibia e dal muscolo Gastrocnemio-Soleo. La tecnica va eseguita sia con l’operatore che passivamente preme sull’avampiede affinchè il tallone vada verso il gluteo, o che l’atleta mantenga una leggera spinta isometrica contro l’operatore come per distendere l’arto.
Figura 21
Figura 22 – L’uso delle dita nello scollamento per il muscolo Gemello laterale sia dal Gemello mediale che dal Soleo e quest’ultimo dai tendini dei Peronieri. Eseguire la manualità a diverse angolazioni del ginocchio e con una leggera dorsiflessione del piede mantenuta dall’atleta.
Figura 22
Figura 23 – Fasi di scollamento superficiale contemporaneo: i pollici separano i due muscoli Gemelli, i quali tramite le dita vengono scollati dal Soleo. Si noti l’escursione della gamba dell’atleta che può essere sia passiva che attiva.
Figura 23
Figura 24 – Scollamento con il pollice dei muscoli Gemelli, sempre con l’arto in movimento. Eseguire o richiedere anche la dorsiflessione e plantarflessione del piede.
Figura 24
Figura 25 – Scollamento profondo dei muscoli Gemelli con il gomito. Tutti questi esempi sul muscolo Gastrocnemio servono a spiegare la scelta del tool più adatto da parte dell’operatore per adeguarsi alla diversa tipologia di struttura e massa muscolare che varia da atleta ad atleta.
Figura 25
Figura 26 – Stroke con l’avambraccio per il riscaldamento necessario per ottenere successivamente un cambiamento viscoelastico e per lo stiramento delle grinze fasciali responsabili di accorciamento e rigidità -stiffness – per il muscolo Gastrocnemio-Soleo …
Figura 26
Figura 27 – … con successivo scollamento con i pollici. Variare l’angolo di apertura del ginocchio.
Figura 27
Figura 28 – Stripping con il pugno per un primo rilascio delle aderenze superficiali per i muscoli Gemello laterale e Peronieri mantenuti in stretching passivattivo.
Figura 28
Figura 29 – Tecnica twist&roll per la guaina del tendine d’Achille con stretch passivattivo.
Figura 29
Figura 30 – Tecnica di twist&roll verso l’inserzione tendinea del muscolo Gemello interno. Eseguire la manualità anche chiedendo all’atleta di premere leggermente sulla palla.
Consiglio sempre la visualizzazione nella propria mente delle manualità che stiamo eseguendo: è la carta vincente per la tecnica passivattiva.
Figura 30
Figura 31 – Stroke di riscaldamento e stiro per i muscoli Quadricipite Femorale e Adduttore.
Sia in condizione di stretch passivo o chiedendo una minima contrazione attiva.
Figura 31
Figura 32 – Fasi iniziali di scollamento del muscolo Retto del Femore da quelli adiacenti, con arto in movimento passivattivo. È qui evidente l’apporto cinetico dato dall’atleta nella manualità.
Figura 32
Figura 33 – Scollamento del muscolo Retto femorale dagli altri muscoli del Quadricipite, in particolare dal Vasto intermedio; l’operatore modula lo stretching dell’arto da trattare con la propria gamba. Anche in condizione di leggera attivazione muscolare mentre l’atleta spinge sull’arto dell’operatore.
Figura 33
Figura 34 – Manualità traversa profonda per il riallineamento dei fasci di fibre dei ventri muscolari superficiali del Quadricipite. Anche mentre l’atleta mantiene una leggera spinta isometrica sulla palla. Variare l’angolo di apertura coxo-femorale dell’anca.
Figura 34
Figura 35 – Varie posizioni per la tecnica stroke sul tratto Ileo tibiale del muscolo Tensore della Fascia Lata.
Figura 35
Figura 36 – La stroke diviene più energica con lo stripping del TFL tramite il pugno, modulando la pressione tramite l’appoggio del corpo dell’operatore.
Figura 36
Figura 37 – Stripping del TFL variando la posizione dell’arto dell’atleta.
Figura 37
Figura 38 – Utilizzo del gomito per lo scollamento del TFL dal muscolo Vasto laterale in diverse posizioni sempre nell’ottica passivattiva.
Figura 38
Figura 39 – Scollamento del TFL dal tessuto connettivo sottocutaneo e dall’inserzione del muscolo Bicipite femorale.
Figura 39
Figura 40 – Stroke con stabilizzazione della SIAS – Spina Iliaca Anteriore Superiore – e iniziale scollamento del muscolo Adduttore dalla fascia sottocutanea.
Figura 40
Figura 41 – Altre tecniche di scollamento per il muscolo Adduttore con l’avambraccio e con il palmo della mano; variare man mano l’angolo di apertura del ginocchio e chiedere sia di abdurre che addurre l’anca.
In caso di eccessiva rotazione del bacino stabilizzare la SIAS.
Figura 41
Figura 42 – Trattamento per il muscolo Adduttore con pollici e dita; con il gomito se richiesta un’azione profonda. In ultimo scollamento dai tendini inserzionali della Zampa d’oca.
Figura 42
Figura 43 – Twist&roll per il muscolo Adduttore, l’operatore muove avanti-indietro l’arto appoggiato al suo fianco o chiede all’atleta una leggera contrazione tramite la spinta del piede contro il fianco.
Figura 43
Figura 44 – Stroke di avambraccio per i muscoli Ischiocrurali e stripping con la mano giocando sullapassivattiva contrazione-stiramento tramite la flessione del ginocchio.
Figura 44
Figura 45 – Scollamento degli Ischiocrurali con il palmo della mano mentre con tecnica passivattiva si intra-extraruota il ginocchio.
Figura 45
Figura 46 – Scollamento – twist&roll – degli Ischiocrurali dal tessuto connettivo sottocutaneo a varie angolazioni sia dell’anca che del ginocchio.
Figura 46
Figura 47 – Prima rottura delle aderenze tra i due semimuscoli e il Bicipite, dall’origine all’inserzione miotendinea. Chiedere una leggera spinta del piede contro la spalla dell’operatore.
Figura 47
Figura 48 – Con aiuto dell’atleta per la trattenuta dell’arto, lavoro profondo di separazione dei due semimuscoli dal Bicipite Femorale. Manualità contro la linea di accorciamento mio-fasciale per alleggerire la pelvi dall’eccessiva trazione degli Ischicrurali ipertonici e incollati.
Figura 48
Figura 49 – Tecniche di preparazione – warm up – per il successivo lavoro di scollamento per i muscoli extrarotatori dell’anca. Chiedere sempre all’atleta un’assistenza passivattiva.
Figura 49
Figura 50 – Scollamento degli extrarotatori dell’anca, l’operatore mantiene fermo il gomito muove l’arto dell’atleta intra-extrarotazione – effetto cinetico – e modula l’intensità della pressione variando l’appoggio del proprio corpo.
Figura 50
Infine come ottimo supporto e in sinergia alla tecnica passivattiva voglio segnalare questa nuova e poco conosciuta tecnica di bendaggio: il taping neuromuscolare – TNM – che applicata sull’atleta dopo lo scollamento, va a completare il lavoro di rilascio miofasciale tramite una ulteriore e continua azione decongestionante sui muscoli trattati. Grazie alle convoluzioni – grinze – (vedi le prime foto sotto) che il tape esercita sulla cute, viene mantenuto costantemente un vacuum sui sottostanti strati tissutali, permettendo così una libera circolazione della linfa, del sangue e dei liquidi interstiziali.
A mio modesto parere, quando richiesto il Taping NeuroMuscolare rappresenta una potenzialità dalle molteplici applicazioni tale da essere per me un “compound” prezioso e irrinunciabile nelle sedute di massaggio sportivo. Per approfondimenti tecnici di questa poliedrica tecnica di taping, consiglio di visitare il blog di Rosario Bellia.
ARTICOLI
- Giovanni Chetta: Il sistema connettivo – Dalla psiconeuro-endocrino-immunologia alla psiconeuro – endocrino – connettivo – immunologia
- Marco Jacono: Il tissotropismo muscolare
- Francesco Nigro: Il ruolo del massaggio nel trattamento delle patologie muscolo-tendinee dell’arto inferiore nello sportivo
- Robert Schleip: Fascial plasticity – a new neruobiological explanation
- Robert Schleip: Commentary 8 – da JOURNAL OF BODYWORK AND MOVEMENT THERAPIES
- Martino Scudero: La pratica dello stretching nel campo della terapia manuale e riabilitativa
- E. Sproviero: I diversi tipi di dolore muscolare nel calciatore – Cause, significato e prevenzione
- A. Joseph Threlkeld: The Effects of Manual Therapy on Connective Tissue
- Art Riggs, Whitney W. Lowe ed Erik Dalton: Articoli Vari – da MASSAGE & BODYWORK magazine.
IMMAGINI
- Figura 1 da: Sabotta: Atlas of Human Anatomy
- Figura 2 da: http://www.aafp.org
- Figura 3 da: http://www.amtamassage.org
WEBSITE
- http://www.acsm.org
- http://www.activerelease.com/
- http://www.alleniamo.com/
- http://www.amtamassage.org
- http://www.deeptissuemassagemanual.com/artbio.html
- http://erikdalton.com/
- http://www.fasciaresearch.com/
- http://www.giovannichetta.it/
- http://kinesiobellia.wordpress.com/
- http://www.newamssm.org/
- http://www.somatics.de/
- http://www.sportsmed.org
Maurizio Ronchi (Istruttore FIDAL – Istruttore postura MTB)
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