IL COLESTEROLO NON SI ABBASSA SOLO CON LA DIETA
L’alimentazione è importante, ma per tenere sotto controllo i lipidi occorre praticare attività fisica aerobica e, quando serve, ricorrere a integratori e farmaci.
Testo di Chiara Caretoni
Che si riceva una email personale o una più tradizionale busta di carta, poco importa: quando ci si ritrova tra le mani l’esito degli esami del sangue, magari svolti semplicemente per monitorare lo stato di salute generale, l’occhio fa una breve scannerizzazione di ciò che ha davanti e immancabilmente si posa sui temuti valori del colesterolo, come se non aspettasse altro che una conferma o una smentita. “Ce l’avrò entro i limiti?” è il quesito che più rimbomba – dal momento del prelievo al ritiro dei referti – nella testa di chi sa, complice il mare magnum di notizie prodotte sull’argomento, che l’ipercolesterolemia può mettere in serio pericolo la salute.
Eppure pochi sanno davvero che cosa sia il colesterolo, a cosa serva veramente, perché in alcuni casi può trasformarsi in un infido nemico e in che modo intervenire per tenerlo a bada. Di per sé il colesterolo, che in gran parte viene sintetizzato dall’organismo e in parte introdotto attraverso l’alimentazione, non è dannoso ma, anzi, è fondamentale per assolvere numerose funzioni fisiologiche. Non solo è una componente imprescindibile delle membrane cellulari, soprattutto del sistema nervoso, ma è anche il precursore di alcuni ormoni, come il testosterone e gli estrogeni, è il materiale di partenza per la sintesi della vitamina D, importantissima per la salute delle ossa, favorisce l’assorbimento di diverse vitamine e contribuisce alla formazione della bile.
I VALORI DA NON SUPERARE
L’uomo, dunque, ha bisogno del colesterolo, che viene trasportato nel sangue grazie a delle strutture chiamate lipoproteine, cioè particelle di lipidi (grassi) e proteine. Si tratta delle HDL (dall’inglese High Density Lipoproteins), considerate “buone” perché trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti periferici al fegato, favorendone l’eliminazione: il valore che le identifica dovrebbe essere uguale o superiore a 50 mg/dl (milligrammi per decilitro di sangue). E poi ci sono le LDL (Low Density Lipoproteins), note come “cattive”, poiché trascinano il colesterolo dal fegato ai tessuti e, durante il tragitto, possono ossidarsi e depositarsi sulla pareti delle arterie. La quantità di colesterolo contenuta nelle LDL dovrebbe mantenersi al di sotto di limiti che variano a seconda dello stato di salute del paziente: sotto i 70 mg/dl nei pazienti che hanno già avuto un infarto oppure un ictus, sotto i 100 mg/dl nei pazienti con diabete o ipercolesterolemia familiare in prevenzione primaria e sotto 115 mg/dl nei pazienti a più basso rischio cardiovascolare. Un eccesso di LDL comporta a lungo andare un concreto rischio che si formino le famigerate placche responsabili del restringimento dei vasi sanguigni.
“Questo fenomeno è deleterio per il sistema cardiovascolare perché le placche ricche di lipidi e proteine sono particolarmente fragili e soggette a rottura, specialmente se l’individuo fuma, è diabetico e soffre anche di ipertensione arteriosa”, spiega Alberico Catapano, professore ordinario di farmacologia all’Università degli Studi di Milano.
“Se la placca si frantuma, il materiale si dissemina e può formare un trombo, cioè un tappo che ostruisce il vaso coinvolto: in questo caso il sangue non riesce a fluire correttamente e gli organi e i tessuti non vengono più irrorati”. Se a chiudersi è un’arteria coronarica, l’individuo può andare incontro all’infarto del miocardio, mentre se il blocco avviene a livello carotideo si può avere un ictus cerebrale.
TROPPO ALTO IN UN ADULTO SU TRE
L’ipercolesterolemia, dunque, è uno dei principali fattori di rischio delle patologie cardiovascolari e, stando ai dati raccolti negli ultimi decenni, rappresenta un problema più che mai attuale per la popolazione italiana. Tra il 1998 e il 2002, infatti, l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare ha condotto una prima indagine su un campione misto di 9.712 persone di età compresa fra i 35 e i 74 anni, scoprendo che il 20,8% degli uomini e il 23% delle donne erano ipercolesterolemici, cioè avevano i valori del colesterolo totale superiori alla soglia raccomandata (che si aggira intorno ai 200 mg/dl). A distanza di qualche anno, tra il 2008 e il 2012, è stata eseguita una seconda ricerca su 8.710 individui fra i 35 e i 79 anni: in questo caso il colesterolo alto ha interessato il 34,3% degli uomini e il 36,6% delle donne.
Questi dati, che sono piuttosto indicativi, vanno incrociati con quelli relativi alle malattie cardiovascolari, attualmente responsabili del 44% di tutti i decessi: come sottolinea l’Istituto superiore di sanità la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, seguita dai tumori e dagli eventi cerebrovascolari.
BASTA PUNGERSI UN DITO
“In base alle ultime linee guida stilate dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e dalla Società Europea dell’Aterosclerosi (EAS) nel 2016”, continua Catapano, “è possibile prevenire un’elevata percentuale di eventi cardiovascolari agendo sui suoi fattori di rischio modificabili, tra i quali spicca proprio l’ipercolesterolemia”.
E per abbassare il colesterolo bisogna innanzitutto intervenire su tutto ciò che può portare a un aumento dei suoi livelli e, di conseguenza, alla formazione della placca aterosclerotica: al di là della genetica, sulla quale si può fare ben poco, ci sono infatti alcuni stili di vita in grado di influenzare la colesterolemia.
“Poiché in genere valori elevati di colesterolo non causano alcun sintomo, spesso la persona non sa di avere i parametri fuori dagli standard ottimali e quindi di essere più esposta al rischio cardiovascolare. Quando compaiono i primi disturbi, generalmente la patologia è già conclamata e talvolta non lascia scampo”, conferma Matteo Pirro, direttore della struttura complessa di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Perugia. È per questo motivo che lo screening periodico e il monitoraggio costante dei parametri rivestono un ruolo chiave in termini di prevenzione. Stando alle indicazioni della Società Europea di Cardiologia, non esistono criteri condivisi né su quando iniziare i controlli né sulla loro frequenza. Sebbene sia compito del medico di famiglia suggerire un “calendario” cucito su misura su ogni paziente, è comunque raccomandabile che gli uomini intorno ai 40 anni e le donne al di sopra di 50 si sottopongano a una prima indagine.
Tuttavia, questa valutazione andrebbe anticipata (verso i 35 anni nei maschi e i 45 nelle femmine) negli individui con familiarità per ipercolesterolemia ed eventi cardiovascolari in età giovanile e in pazienti diabetici e con arteriopatia periferica.
“Gli strumenti a nostra disposizione per monitorare i valori di questa molecola”, ricorda Pirro, “sono sicuramente gli esami del sangue e i test di autodeterminazione della colesterolemia: con un kit monouso, che può essere acquistato in farmacia e utilizzato autonomamente a casa propria attraverso una piccola digito puntura, è possibile verificare il livello di colesterolo totale e avere un’indicazione iniziale da sottoporre, nel caso fosse necessario, al proprio medico. Sarà quest’ultimo che potrà proporre un eventuale approfondimento di indagini”.
UOVA E LATTICINI ASSOLTI
E se il colesterolo fosse moderatamente elevato, in che modo si può intervenire?
Come suggeriscono le ultime linee guida europee, in questi casi il primo approccio è certamente quello di metter mano all’alimentazione: anche se quello presente nel nostro organismo è in gran parte di origine endogena e solo per una piccola parte proveniente dal cibo ingerito, una dieta bilanciata e varia può comunque contribuire al controllo dei suoi livelli plasmatici.
“Gli alimenti certamente da bandire sono quelli contenenti grassi idrogenati, anche detti grassi trans, che, oltre ad aumentare le LDL, possono diminuire le HDL”, conferma Pirro. Queste molecole, prodotte dalla manipolazione industriale dei grassi, si trovano nella margarina, spesso nei prodotti da forno confezionati e negli alimenti fritti.
Alcuni recenti studi, invece, hanno riabilitato uova, latte e latticini, che fino a poco tempo fa erano considerati nemici della salute: sebbene siano ricchi di colesterolo e grassi saturi, questi cibi contengono anche altri preziosi elementi come calcio e proteine che ne bilanciano l’effetto. Ovviamente l’ipercolesterolemico deve moderare l’assunzione di carni grasse, di insaccati e di oli tropicali particolarmente ricchi di grassi saturi.
“Invece i cibi contenenti fibre e grassi monoinsaturi, omega 3 e omega 6, possono esercitare un effetto benefico sul profilo lipidico e sul rischio cardiovascolare: ecco perché sulle tavole non dovrebbero mai mancare frutta, verdura, legumi, olio di oliva, frutta secca e pesce con lisca”, continua Pirro. “E un elevato introito di fibre è in grado di ridurre i livelli circolanti di colesterolo, attraverso una riduzione del suo assorbimento intestinale”.
BENE NUOTO, CORSA E BICICLETTA
Un altro fattore che può influenzare il colesterolo nel sangue è l’attività fisica. “In genere viene consigliato di praticare attività aerobica, caratterizzata da uno sforzo moderato per un periodo di tempo prolungato, che favorisce l’aumento delle lipoproteine HDL che trasportano il colesterolo dai tessuti verso il fegato, promuovendone l’eliminazione”, aggiunge Catapano. Sebbene i meccanismi alla base di questo fenomeno non siano ancora del tutto chiari, uno studio pubblicato su Exercise and Sports Science Reviews ha ipotizzato che a entrare in gioco sia l’effetto dell’attività fisica sulla produzione e sull’attività di alcuni enzimi coinvolti nel processo di trasporto del colesterolo verso il fegato. Per proteggere la salute cardiovascolare e tenere a bada l’ipercolesterolemia, quindi, l’Organizzazione mondiale della sanità suggerisce di praticare almeno 150 minuti ogni settimana di jogging, nuoto, corsa leggera o ciclismo, suddividendola in sessioni di 20 minuti al giorno.
Inoltre, stando a una ricerca pubblicata nel 2011 su American Heart Journal, anche il fumo sembra stimolare l’aumento delle LDL. L’acroleina, cioè una molecola prodotta durante la combustione delle sigarette, favorirebbe la formazione delle placche e promuoverebbe l’aterosclerosi, legandosi proprio al colesterolo cattivo già depositato sulle pareti delle arterie. “Ecco perché smettere di fumare, soprattutto se si soffre di ipercolesterolemia, è fortemente raccomandato”, conferma il farmacologo.
RISO ROSSO FERMENTATO
Modificare lo stile di vita è sempre un buon inizio, ma spesso è necessario un ulteriore aiuto per raggiungere livelli ottimali di colesterolo. Oltre a seguire una dieta povera in grassi trans idrogenati, ricca di fibre, equilibrata nel contenuto di grassi monoinsaturi, omega 3 e omega 6, praticare attività fisica e smettere di fumare, ci si può affidare ai nutraceutici ipocolesterolemizzanti, cioè integratori alimentari in grado di determinare una riduzione significativa di LDL. “Quello che ha dimostrato una maggiore efficacia duratura nel tempo è il riso rosso fermentato, che deriva dalla fermentazione del comune riso da cucina a opera di un lievito, il Monascus Purpureus”, spiega Pirro. “Questo prodotto contiene la monacolina K, una simil-statina che interferisce con la sintesi di colesterolo; questa sua azione, dovuta alla inibizione di un enzima epatico coinvolto nella produzione di colesterolo, è capace di diminuirne i livelli plasmatici di circa il 20%”. È bene ricordare che gli integratori a base di riso rosso fermentato, che si possono facilmente trovare nelle farmacie per lo più sotto forma di compresse, possono talvolta scatenare alcuni effetti collaterali, come ad esempio piccole alterazioni a livello epatico e dolori muscolari, e dunque sarebbe sempre meglio assumerli con cautela e sotto la supervisione del medico. “Un’altra sostanza anti-colesterolo è la berberina, estratta dalla corteccia e dalle radici della Berberis aristata, capace di aumentare l’eliminazione delle LDL dal circolo in parte perché riesce a diminuire i livelli della proteina PCSK9: quando i livelli di PCSK9 nel sangue si riducono, il fegato mostra una maggiore abilità nel rimuovere le LDL e quindi promuovere la riduzione della colesterolemia”, prosegue Pirro.
STATINE E NUOVI FARMACI
Tuttavia, se gli interventi correttivi dello stile di vita associati all’assunzione di nutraceutici non sortiscono l’effetto auspicato, o se da principio il colesterolo è alto o molto alto, il percorso terapeutico si indirizza necessariamente verso un’azione farmacologica.
“Come suggeriscono le linee guida ESC/EAS 2016, infatti, il trattamento di prima scelta è costituito dalle statine, che sono in grado di ridurre l’incidenza e la mortalità cardiovascolare sia in prevenzione primaria sia nelle persone che hanno già subito infarti o ictus”, conferma Catapano. Questi farmaci, che hanno dimostrato di essere sicuri e ben tollerati, inibiscono la sintesi di colesterolo a livello epatico e svolgono un effetto antinfiammatorio sulla placca aterosclerotica.
Gli studi clinici svolti sulle statine hanno dimostrato che gli effetti collaterali, come ad esempio i dolori muscolari, sono eventi piuttosto rari. Tuttavia alcune persone possono sviluppare un’intolleranza a questa tipologia di farmaci: in questi casi il medico può optare per altre soluzioni terapeutiche, come l’ ezetimibe, che riduce l’assorbimento intestinale del colesterolo, e gli anticorpi monoclonali, che inibiscono l’enzima PCSK9, favorendo l’eliminazione del colesterolo cattivo nel fegato.
LE STRATEGIE ANTICOLESTEROLO
Per tenere sotto controllo il livello di colesterolo nel sangue sono consigliabili l’attività fisica aerobica, come il ciclismo, e l’assunzione di integratori, quali la berberina, una sostanza estratta dalla corteccia e dalle radici della Berberis Aristata, un arbusto spinoso originario di India, Nepal e Sri Lanka.
LA TAC MULTISTRATO PER DETERMINARE MEGLIO IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Nel novembre scorso l’American Heart Association (AHA) e l’American College of Cardiology (ACC) hanno stilato le nuove linee guida sul trattamento del colesterolo, pubblicate sulle riviste Circulation e Journal of Applied Analysis and Computation. Oltre a rimarcare la necessità di condurre stili di vita adeguati, gli studiosi hanno acceso i riflettori su uno strumento particolarmente utile per predire la malattia aterosclerotica. Si tratta della valutazione del calcio coronarico (CAC score) che, in rapporto all’età dell’individuo, misura la quantità di calcio presente nelle coronarie, ossia nelle arterie che portano ossigeno al cuore. “È un esame importante perché, se il calcio si deposita nelle pareti arteriose, alimenta le placche aterosclerotiche, dando un’indicazione sulla estensione delle lesioni a livello cardiaco”, spiega Alberico Catapano, professore ordinario di farmacologia all’Università degli Studi di Milano. Il test, eseguito per mezzo di Tac multistrato non invasiva, consente dunque di fornire ulteriori informazioni sullo stato di salute del sistema cardiovascolare di un individuo. L’esame, che non rientra nei programmi abituali di screening, viene prescritto dal medico solo in caso di familiarità per ipercolesterolemia, in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari o livelli di colesterolo borderline.
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