Riabilitazione

TECNICA “PASSIVATTIVA” NELLO SCOLLAMENTO MIO-FASCIALE – 2a PARTE: TRONCO E ARTI SUPERIORI

Maurizio Ronchi

Questa seconda parte della tecnica “passivattiva” vuole ancor di più chiarire come sia importante l’utilizzo delle manipolazioni mio-fasciali come contributo al miglioramento delle performance sportive per gli atleti. Questo lavoro si prefigge di collegare alcune personali esperienze di massaggiatore – “bodyworker” sportivo con gli aspetti tecnico-scientifici di alcuni studi di ricerca nel settore Sports&Med, con la collaborazione e l’aiuto di illustri addetti ai lavori.

Di seguito un breve accenno al significato di connettività propria dei tessuti connettivi, tra cui la fascia, che andremo a trattare con tecniche e manipolazioni.
Tale sistema ha due ben distinte tipologie di connettività: una meccanica e d una funzionale.
La prima (esclusiva dei tessuti più fibrosi e resistenti) serve per il sostegno e la protezione dei vari organi del corpo e per stabilizzare tra loro i vari tessuti.
La seconda (esclusiva dei tessuti con maggior contenuto di acqua, più sostanza di base) molto meno densa e robusta, quindi più fluida e consona al trasporto dei nutrimenti e alla difesa dagli agenti esterni.
Il sistema connettivale può essere considerato come “catena fasciale” e concepito come il distributore e l’armonizzatore delle forze espresse dai muscoli.
La fascia sotto l’aspetto atletico – sportivo si comporta come il direttore d’orchestra del nostro corpo, capace di gestire i diversi elementi motori [Sistema Nervoso Centrale (SNC) – Muscoli – Scheletro], senza il quale i nostri movimenti sarebbero molto simili a quelli poco eleganti di un robot, ovvero senza armonia e fluidità nei gesti.
Paragonando il corpo umano con un violoncello, avremo lo chassis allo scheletro, l’archetto alla forza muscolare e chi lo muove al SCN; infine le corde che percorrono il violoncello dal basso verso l’alto rappresenteranno le catene fasciali. Sulle corde, si distribuiscono uniformemente le forze muscolari prodotte dall’archetto e per induzione esse trasmetteranno anche la vibrazione (forza) a tutto lo strumento. Le dita del musicista premute in varie zone del manico del violoncello, sono come i punti di intersezione o variazione di massa – dimensione – densità tissutale, dove viene modulata – scaricata parte della forza ritrasmessa dalla fascia. Se tutto ciò avviene in armonia e sinergia tra le parti, otterremo un piacevole suono, in altre parole se il corpo è ben allenato e quindi armonico e sinergico nelle sue parti, avremo una buona prestazione atletico – sportiva.
La fascia assume la parte più rilevante in questo concerto dirigendo e trasmettendo, attraverso le sue catene fasciali, le forze muscolari in tutto il corpo affinchè ci sia un buon rendimento è necessario che lo strumento (il corpo) sia sempre in condizione ottimale.
Vien da se che la manipolazione e il massaggio sportivo, con la preparazione atletica, sono mezzi importanti per mantenere “accordato” e in equilibrio il corpo, ma anche per la manutenzione di routine necessaria a correggere le anomalie dovute a “overuse – overload”.
Come espresso nella prima parte della tecnica “passivattiva”, è quindi ben chiaro che l’inattività, la ripetitività e il sovrallenamento, modificano negativamente la funzionalità del muscolo e del tessuto connettivo nelle sue varie forme, da mio – tendinea – aponevrotica a capsulo – legamentosa, fino nell’intimo legame fascia -fibre muscolari – nervose, data l’ormai riconosciuta “indissociabilità” tra muscolo e fascia.
A livello pratico che cosa provoca queste situazioni di “addensamento” con aumento della fibrosità del tessuto connettivo (TC) che riveste o è contiguo ad un muscolo? Consegue un aumento della forza di resistenza passiva all’allungamento muscolare, data la perdita di elasticità della guaina fasciale o del TC adiacente; per cui minore escursione mio-fasciale, conseguente retrazione e stiffness, in definitiva si instaura una diminuzione sensibile della funzionalità biomeccanica muscolo – articolare. Questa condizione è apprezzabile sia dallo sportivo che si sente “legato” nel compiere un gesto atletico, che dall’operatore durante l’esecuzione di semplici test muscolari e di ROM articolare. Di seguito (per gentile concessione dell’autore, Mauro Lastrico, fisioterapista) (1), riporto uno schema esemplificativo del meccanismo della retrazione mio-fasciale (FIG. 1).

FIG. 1

“Difatti in un muscolo, un imbrigliamento reciproco più serrato delle fibre di actina e miosina e l’addensamento del tessuto connettivo che diviene fibroso, si traduce in un aumento della forza di resistenza passiva di questo muscolo, una diminuzione della capacità elastica, una diminuita resistenza funzionale” (U. Morelli) (2).
Di seguito un esempio empirico e semplicistico, ma esemplificativo di quanto affermato sopra (FIG. 2).

FIG. 2

Questi addensamenti di collagene e fibrosità, sono aree che hanno bisogno di trattamenti manipolativi per mantenere una fisiologica elasticità/flessibilità specie dopo un evento traumatico o un ciclo di lavoro / allenamento intensivo / ripetitivo mirato a uno specifico distretto muscolo-articolare.
A tal proposito durante la ricerca di materiale per documentare e approfondire la materia trattata, la mia attenzione è stata rapita dalla visione di una dissezione ad opera del Dipartimento di Anatomia e Fisiologia Umana dell’Università di Padova (3), dove sono messe a confronto la muscolatura in forma nuda e fasciata (FIG. 3), e dalla sintesi della relazione “Studio anatomico della continuità miofasciale” (C. e A. Stecco) (3), presentata al Primo Congresso Internazionale di Ricerca sulla Fascia, tenutosi nell’ottobre 2007 ad Harvard, Boston USA.

FIG. 3 (da: “Histiological study of the deep fascia of the limbs”) (4)

In seguito mi ha colpito la definizione di “espansioni miofasciali” dei muscoli, che sono l’oggetto dello studio e della ricerca. L’aiuto prezioso avuto da Luigi Stecco, uno dei primi studiosi e operatori nel campo della fascia, per approfondire la fisiologia e i meccanismi, inerenti le varie forme di TC, ha portato a meglio comprendere e chiarire il modo in cui le manipolazioni mio-fasciali, come anche la tecnica “passivattiva”, agiscono migliorando uno stato fisico-atletico non ottimale.
Grazie a Stecco sono scaturite alcune considerazioni che devono assolutamente far parte del bagaglio scientifico di un bodyworker sportivo ed esser tenute ben presenti durante il lavoro mio-fasciale che si esegue su di un atleta.
Quando con la manipolazione si tratta un TC fibroso, o meglio ancora le “densificazioni” presenti nelle espansioni mio-fasciali, la pressione esercitata e il calore indotto sono in grado di ammorbidire la Sostanza Fondamentale della fascia, che può quindi passare da uno stato fisico di gelificazione (gel) ad uno stato più solubile (sol) permettendo anche la rottura delle eventuali aderenze tissutali. Collagene ed elastina spesso si trovano insieme, ed è la loro interazione che da luogo alle proprietà visco-elastiche del tessuto connettivo. Il grado di visco-elasticità dipende dalle quantità relative di collagene, elastina e “ground substance” * (Arti Ahluwalia) (5).
* La gelatinosa “sostanza fondamentale” che concorre a costituire insieme al Collagene e all’Elastina, la “matrice extracellulare” (MEC), sia nei “tessuti molli” sia in quelli “duri mineralizzati” consiste principalmente di proteine PoliSaccaridi, o GlicosAminoGlicani (GAG), che servono come sostanza cementante tra le fibre di Collagene e di Elastina (6).
“Il collagene maturo è suscettibile di glicazione non enzimatica e i prodotti che ne risultano vengono ulteriormente trasformati in composti cross-linkati che possono successivamente inibire il turn-over del collagene” (A. Scherillo) (7). È bene precisare che solo il TC è plastico e malleabile, proprietà tixotropica del collagene, e non il tessuto muscolare; spesso si intende per fascia solo lo strato aponevrotico che circonda gli arti, invece è fascia anche l’epimisio-perimisio-endomisio. È questo scheletro collagenico del muscolo che subisce la sovrasollecitazione o sindrome da “overuse” e il danno acuto. Mi piace ricordare sempre l’importanza che il collagene ha nel nostro corpo usando questa citazione: “il collagene è una delle più ubiquite proteine nel corpo. È l’elemento strutturale di base e supporta cariche nella pelle, vasi, tendini, legamenti, cornea, ossa ecc. Ha importanza nel nostro organismo quanto l’acciaio nel mondo tecnologico” (5). In un TC indurito e fibroso, le tecniche manuali inducono una normalizzazione dell’elasticità per via della proprietà visco-elastica della sostanza fondamentale oltre che rompere gli “incollaggi aderenziali” (cross-links) creatisi con i tessuti adiacenti, ripristinando il fisiologico movimento muscolo-articolare. Di seguito un altro esempio empirico e semplicistico, ma esemplificativo del cambiamento visco-elastico indotto con una tecnica di manipolazione mio-fasciale (FIG. 4).

FIG. 4

Ovviamente non è possibile effettuare un “release” mio-fasciale su tutte le strutture di TC presenti nel corpo umano. Infatti, come viene ben messo in evidenza da Robert Schleip in “Three-dimensional mathematical model for deformation of human fasciae in manual therapy” (8), per poter avere un apprezzabile cambiamento viscoelastico del tratto Ileotibiale (ITB) servirebbero decine e decine di kilogrammi di forza-peso indotte da una manipolazione, il che risulta per ovvie ragioni impossibile da applicare. Ma non è una partita persa!
In effetti trattando l’ITB tract come abbiamo visto nella prima parte della “passivattiva”, con la manualità di stripping eseguita con il pugno, dopo qualche minuto sia per l’operatore che per l’atleta non è difficile avvertire il “creeping” o il “popping” di un release mio-fasciale. Che cosa è avvenuto allora? Cosa ha indotto la nostra manipolazione?
Parlando con Schleip a tal proposito, siamo d’accordo nell’affermare che probabilmente la parte esterna aponevrotica dell’ITB è strutturata in maniera diversa dal “core”, con una possibile diversità di densità e disposizione delle fibre di collagene. Probabilmente, poiché al momento mancano precisi studi istiologici.
Per cui il release che percepiamo è dovuto allo spezzarsi dei crosslinks mio-fasciali, quei ponti che si formano tra i vari strati tissutali costituiti da deboli legami ad idrogeno e forze di Van der Waals, che appunto determinano le aderenze. In accordo con la proprietà visco-elastica della Matrice Extracellulare (MEC) possiamo concludere che gli effetti indotti dalla manipolazione, provocano dei cambiamenti sensibili, come la rottura dei cross-links e la variazione dell’idratazione della MEC, che permettono all’operatore di “sentire” il rilascio mio-fasciale anche per tessuti connettivi densi come il tratto Ileo-tibiale. Non si riuscirà a modificare la densa struttura fibrosa, ma sicuramente i suoi legami aderenziali e la matrice gelatinosa nella quale essa è dispersa e avvolta.
Studi rilevano la differenza di forza di tenuta nei crosslinks aderenziali tra un tessuto fasciale con maggior o minore percentuale di elastina. La forza dei legami dell’elastina è molto minore rispetto a quella delle fibre di collagene, per cui è più facile un release mio-fasciale per quel tipo di connettivo.
Apro una piccola parentesi per ricordare i valori di forza in gioco tra un “cambiamento visco-elastico” e la “rottura / deformazione” (strain) di un tessuto connettivo fibroso. Se questo si presenta con fibre di collagene allineate e parallele (in pratica le strutture tendinee e legamentose), esso sopporta tensioni elevate con carico di rottura tra 75 e 100 MPa.
Nel caso le fibre di collagene siano orientate “random” (come nella pelle, ad esempio) il carico di rottura scende a 1-20MPA (Rizzuto, Del Prete) (9).
Durante una manipolazione mio-fasciale sappiamo che già dopo alcuni minuti, per un’area modesta e con carico di pochi kg di forza-peso applicata, si ha un cambiamento dello stato fisico della sostanza di base, ovvero una fluidificazione di quel gel di polisaccaridi, acqua, proteine, acido ialuronico etc., in cui le fibre di collagene e quelle elastiche sono disperse (cambiamento viscoelastico), ma non solo! La manipolazione fasciale esercita un effetto sul ripristino della propriocettività.
A conferma di queste considerazioni, evidenziandone il preciso fondamento scientifico, ritorno al superbo lavoro di ricerca “Histiological study of deep fascia of the limbs” (4) fonte di alcuni interessanti aspetti del sistema mio-fasciale di estrema utilità al “knowhow” di uno sports-bodyworker per impostare le proprie tecniche di manipolazione.
Riporto solo alcuni aspetti dei risultati dello studio, del quale consiglio la visione integrale. Tra i primi vorrei riferire delle misurazioni morfometriche eseguite sulla fascia profonda, quello strato di TC a stretto contatto con i muscoli. Gli strati in questione sono quelli relativi alla fascia della coscia e a quella brachiale. Lo strato di tessuto fasciale non si presenta distribuito uniformemente, ma mostra un’apprezzabile differenza di densità (spessore) lungo i tratti presi in visione. Lo strato relativo alla coscia evidenzia un incremento della fascia profonda dalla zona cruro – inguinale (più sottile) che scendendo verso l’articolazione del ginocchio si fa sempre più densa, arrivando a misurare uno spessore di più del doppio della parte iniziale. Oppure, come riporta il secondo campione relativo alla fascia brachiale, una differenza di spessore minore nella sua parte anteriore e maggiore in quella posteriore, con un aumento di densità dalla regione distale a quella prossimale. Il risultato di questa misurazione morfometrica della fascia profonda è di grande aiuto per permettere all’operatore di valutare a priori come impostare le pressioni di un lavoro manipolativo mio-fasciale per la normalizzazione di una eccessiva “densificazione” in un comparto muscolare, dovuta a overuse, sovraccarico o elevata ripetitività di un gesto atletico.
Penso che sia di estrema utilità conoscere come e dove varia la densità delle fibre di collagene nel TC a stretto contatto con i muscoli, sia per ottenere una miglior efficacia dalle nostre tecniche, che per un evidente risparmio di energie da parte dell’operatore.
Un altro aspetto molto utile per gli operatori sportivi, evidenziato dai risultati della ricerca, è quello che si riferisce all’organizzazione strutturale della fascia profonda. Alcune immagini sono molto esemplificative e mostrano come s’incrocino tra loro i vari fasci di fibre di collagene, fino ad ottenere una struttura molto resistente alle trazioni e molto adattabile agli allungamenti cui è sottoposta, nonostante la poca presenza di fibre elastiche (meno del 1%), assumendo una caratteristica forma a onda che ne aumenta di fatto l’elasticità e la flessibilità.
Un successivo studio di ricerca condotto da Carla Stecco (“Modello per la misura dei parametri della fascia profonda”) (10), spiega ulteriormente come la potenzialità e adattabilità della fascia sia realmente eccezionale. Tale proprietà elastica e resistente allo stesso tempo sembra dovuta all’orientamento delle fibre di collagene tra i vari strati adiacenti dei foglietti fasciali, con angolo di circa 78°. Questa precisa disposizione, spiega l’autrice, fa si che lo strato fasciale abbia ottime proprietà biomeccaniche, poiché assume la capacità di essere elastico in tutte le direzioni di sollecitazione. Grazie a quest’angolazione strutturale, le forze di trazione, di compressione e di taglio applicate sul muscolo, vengono ripartite anche sulla fascia profonda senza che essa offra troppa resistenza negativa nonostante l’esiguo numero di fibre elastiche presenti. In più tale struttura permette lo scorrimento ottimale tra i vari strati/lamine fasciali (fascial layers).
Questo ci aiuta a spiegare come sia diverso l’approccio, impostazione/esecuzione, tra un massaggio mio-fasciale sportivo ed uno tradizionale. Quest’ultimo è basato su una manualità di “detensione”, battiture e spremiture, che risulterebbero inutili o poco efficaci se eseguite sulla fascia. Mentre questa necessita di un lavoro fatto con manipolazioni precise e specifiche, atte a variare la sua proprietà visco-elastica, cercando di normalizzare le fibrosità e “densificazioni” prodotte da sovraccarichi, tensioni, traumi, aderenze e cicatrici.
Come spiegato nella prima parte, una delle prerogative è quella di manipolare per quanto possibile tutto il muscolo e dintorni, ossia anche quello che viene definito come “espansioni mio-fasciali”.
La manualità è applicata a 360° in maniera ampia e il più possibile avvolgente: sopra, sotto, lateralmente fino alle periferie muscolari durante le fasi di cambiamento dimensionale del muscolo dettate da contrazione, allungamento e rilascio, sia attivate dall’atleta stesso, che passivamente quando l’operatore lo aiuta nel movimento di escursione muscolo-articolare. Così facendo non solo è possibile influire sulla circolazione dei fluidi nella sostanza di base che, nonostante le informazioni su di essa siano ridotte, subisce degli importanti cambiamenti indotti dall’idratazione dinamica provocata dalla manipolazione mio-fasciale: un esempio è l’incremento della rigenerazione dei GlicosAminoGlicani (GAG) componenti molto viscosi che si legano alla membrana cellulare, dove grazie alla presenza di H2O sono incomprimibili e quindi ideali oltre che come supporto e mezzo che conduce nutrimento, anche per la lubrificazione, permettendo il fisiologico scorrimento tra i vari “fascial layers” del TC (7). Se dopo il trattamento di manipolazione eseguiamo passivamente, o chiediamo all’atleta di eseguire esercizi di mobilizzazione per l’area interessata, gli effetti ottenuti sono maggiormente durevoli, per la stimolazione del fisiologico turnover del collagene (Brad Hiskins) (11).
Questa tecnica di sports-bodywork, passivattiva, è inoltre capace di stimolare i diversi meccanocettori situati sia nei tessuti profondi sia in quelli limitrofi (espansioni), vista la dinamicità e la grande superficie mio-fasciale trattata, migliorando di fatto il sistema propriocettivo nella fase di riatletizzazione e/o a vantaggio di una maggior stabilità muscolo-articolare del gesto atletico.
Prendo in prestito il termine “Induzione Miofasciale” (caro a Maurizio Cosciotti, collaboratore del Prof. A. Pilat e co-autore dell’omonimo libro, utile per finalizzare tutte le considerazioni fatte sinora ad una mia recente esperienza.
È curioso come tutte le induzioni prodotte da una manipolazione mio-fasciale, soprattutto per l’input propriocettivo esercitato, possano essere direttamente riscontrate ancor prima di conoscere il meccanismo fisiologico del cambiamento chimico-fisico che avviene nelle aree manipolate.
Tale riscontro è stato “apprezzabile dal vivo” nell’esperienza avuta nel seguire l’evoluzione di alcune sub-lussazioni di spalla occorse ad alcuni giocatori di rugby: normale iter medico: pronto soccorso, stop con immobilizzazione e visita ortopedica, riabilitazione dal fisioterapista e “riatletizzazione” con il metodologo dell’allenamento e con il “preparatore fisico”: colui che nell’ultima fase, quella post-terapeutica, lavora con le proprie mani sul corpo dell’atleta.
Tre degli atleti avevano già subito una sub-lussazione della spalla controlaterale, che era stata trattata con lo stesso iter diagnostico-terapeutico, ma senza la figura del preparatore fisico (bodyworker massaggiatore). Una volta terminate le sedute di fisioterapia, era stato consegnato all’atleta un programma da svolgere a casa : elastici, stretching, esercizi di Codman e mobilizzazioni varie.
Come riportato dalla casistica e confermato dalla mia lunga esperienza, il 60% degli atleti per la voglia di tornare in attività e accelerare i tempi di recupero, segue al massimo per una settimana/dieci giorni il programma prescritto. Del restante 40%, una metà arriva alle 2 settimane complete di lavoro a casa eseguito più o meno scrupolosamente; il restante 20%, completa per intero il programma consigliato dal fisioterapista o specialista in medicina dello sport.
Per chi non svolge gli esercizi a casa, la qualità del ritorno all’attività atletica è modesta e con grandi rischi di recidiva.
Voglio riportare alcuni dati epidemiologici forniti nel corso di “Patologia traumatica e da sovraccarico nello sport: nuovi percorsi terapeutici” organizzato dall’U.O. di Ortopedia-Traumatologia del Presidio Ospedaliero di Giussano (MI) (12).
In essi si evidenzia l’enorme differenza su base annua del numero di infortuni da pratica sportiva rispetto a quelli legati all’infortunistica stradale. Questi ultimi sono circa 94.000/anni, mentre quelli secondari alla pratica sportiva raggiungono il numero di circa 600.000. Non sono stati presentati i dati relativi alle recidive nello sport, ma vista l’enormità della casistica è sicuramente plausibile una rilevanza numerica importante.
Utilizzo questi dati solo per affermare che un programma di riabilitazione eseguito in modo non corretto, o peggio ancora non eseguito, possa aumentare la possibilità di recidive della patologia. È bene ribadire quanto sia importante il contributo delle tecniche riabilitative per evitare/limitare tali recidive: “quando un’articolazione è immobilizzata, il minore carico e scarico meccanico della cartilagine e dei tessuti circostanti interferisce con il normale ricambio delle cellule e degli elementi della matrice (MEC). Questo ridotto stimolo si traduce in minore sintesi di proteoglicani. Di conseguenza, la perdita di matrice aumenta la vulnerabilità del tessuto all’infortunio quando si riprende la normale attività sportiva” (Elzi Volk) (13).
Si conoscono bene da tempo gli effetti che l’immobilizzazione forzata per infortunio provoca su tendini e legamenti rispetto a quelli sani e liberi nei movimenti.
Faccio riferimento ad un vecchio, ma valido studio di David Amiel (14) dove si evidenziano importanti differenze nei grafici delle curve di deformazione, tra un legamento collaterale di coniglio in una articolazione del ginocchio libera, rispetto a quello con l’articolazione immobilizzata. In quest’ultimo evidenzia come, con meno della metà di carico e con leggeri incrementi, esso subisca una deformazione significativa. Tale situazione si conferma nel grafico di “stress e strain” relativo agli stessi legamenti.
A detta degli autori, questa risposta non è dovuta alla perdita di trofismo del tessuto connettivo (poco significativa), ma alla qualità del collagene del legamento, perché si modifica il fisiologico turnover degradazione/risintesi e il rapporto tra collagene vecchio e nuovo. Per tal motivo è da ribadire l’importanza che il massaggio e la manipolazione connettivale/fasciale hanno nel migliorare le caratteristiche fisiche del collagene, aumentando quindi l’efficienza meccanica e strutturale di tendini, legamenti o fascia.
Tornando agli atleti, questa volta oltre al programma da svolgere a casa, essi sono stati settimanalmente seguiti o meglio assistiti da me. Sono state effettuate mobilizzazioni articolari, test muscolari, manualità per aumentare il microcircolo e il drenaggio, eliminare rigidità, contratture e aderenze nell’area interessata e risolvere gli eventuali problemi di compenso insorti in altre zone del corpo.
L’intervento più efficace, a mio parere è stato quello di manipolazione non solo del ventre dei muscoli della cuffia e di quelli correlati al movimento di rotazione della spalla, ma soprattutto della fascia in tutte le sue varianti ed espansioni mio-fasciali comprese.
Un massaggio e una manipolazione molto più estesi rispetto alla norma, in considerazione dell’intimo legame che esiste tra il TC denso e quello lasso, ricco di sostanza fondamentale, dove uno diviene la prosecuzione dell’altro creando importanti zone di transizione (15).
In questa ottica di intervento, la manipolazione ha interessato il più possibile i vari aspetti del TC presente: tendini, legamenti, capsula articolare, fino alla periferia dei muscoli, alle zone d’intersezione, congiunzione e sovrapposizione.
Sono gli “hot spots”, punti di lesione mio-fasciale o di sovraccarico, dove convergono le forze di tensione dei tessuti non più in tensegrità, della catena cinetica mio-fasciale riferita.
“Se non vengono ripristinati i dovuti equilibri, nel tempo il sovraccarico può determinare l’insorgenza di sintomi clinici, espressione di alterazioni anatomiche che si creano lentamente e in funzione del tipo di attività, della qualità del gesto … portando ad alterazioni e a errori nel complesso sincronismo della catena cinetica” (G. Di Giacomo ) (16).
In alcune settimane gli atleti, separatamente e senza influenza reciproca, hanno riferito di avvertire una sensazione, rispetto alla riabilitazione precedente, di spalla più “solida”, meno lassa, più “sicura”, tanto che autonomamente hanno incrementato le ripetizioni e il carico negli esercizi.
Si può quindi ribadire, sulla base della vasta letteratura disponibile e dell’eseprienza preziosa di chi studia da anni la fascia, che è fondamentale un intervento di mirato alle varie tipologie di TC dell’area da trattare anche sotto l’aspetto degli input propriocettivi indotti: “La propriocezione comunque è fondamentale in quanto i segnali propriocettivi viaggiano più velocemente di quelli nocicettivi, e sono quindi molto importanti nella prevenzione delle lesioni articolari” (M. Cesena) (17).
Questo mi fa fermamente pensare che le mie esperienze non siano state casuali, ma il frutto di una precisa e ormai riconosciuta efficacia delle manipolazioni mio-fasciali (o sports-bodywork) cui anche la tecnica “passivattiva” fa riferimento.
L’intervento del massaggiatore, bodyworker o preparatore fisico che dir si voglia, in appoggio e assistenza dell’atleta, eseguito nell’ultima fase del recupero sportivo, ormai non più delicata essendo post-terapeutica, ma essenziale e mai da sottovalutare, non è da considerarsi facoltativo se si vuole tornare in attività con un certo margine di tranquillità psichica, ritrovando un’ottima efficienza propriocettiva e fisico-atletica e soprattutto diminuendo il rischio di recidive.
Per ottenere quindi la miglior efficacia delle tecniche mio-fasciali applicate all’atleta è fondamentale il giusto mix di conoscenze (esperienza, lavori di ricerca e studi scientifici), utili a far riacquistare all’atleta la miglior capacità di performance o fornendo supporto nella fase di riabilitazione specifica,successiva alla guarigione clinica.
Voglio terminare questo lavoro con una considerazione sul “movimento di studio della fascia” che in Italia sta cercando di emergere nel mondo dello Sports&Med: condivido la preoccupazione di Maurizio Casciotti che afferma che l’Italia, se non cambieranno alcune situazioni di scarsa fiducia e scarsa considerazione sull’argomento, rimarrà fuori dalla ricerca che sta invece progredendo in tutto il mondo.
Io stesso, che non essendo né medico né terapista, ho sempre trovato ostacoli in Italia, mentre da anni all’estero collaboro con illustri scienziati e ricercatori (tra i quali cito il premio Nobel per la Medicina, lo straordinario Dottor Dave Simons), ma rimango determinato e ottimista, sperando che anche il nostro paese possa contribuire al progresso comune di ricerca e sviluppo in questo campo affascinante.
Riporto un breve passo di un’intervista di Luigi Stecco: ” … solo una mano, guidata da profonde conoscenze scientifiche, può risolvere bene e velocemente un problema muscolo-scheletrico. Più si hanno conoscenze, più si riesce a risalire alla causa di un dolore e di una disfunzione articolare. Non c’è niente di magico …” (18).

TECNICHE – MANUALITÀ – MANIPOLAZIONI

Sempre grazie allo studio già citato di Carla Stecco (10), sappiamo che la fascia degli arti si presenta multistrato ed è molto spessa, mentre la fascia del tronco è monostrato sottile e adesa ai muscoli (come per esempio nei muscoli Gran Pettorale, Gran Dorsale, Trapezio e Grande Gluteo, dove appunto la fascia non è separabile dagli stessi). Di conseguenza l’approccio con le varie tecniche dovrà tener conto di questa situazione strutturale specifica per ottenere la massima efficacia e, cosa non da poco, un inutile “accanimento” nelle zone a bassa densità/spessore: nell’approccio preliminare è importante cercare – palpare le zone di resilienza e adattabilità della fascia molto superficialmente prima di cercare di intervenire per “sbrogliare” la matassa profonda. Ciò per non rischiare, andando troppo precocemente in profondità, di peggiorare ancor di più il problema piuttosto che risolverlo nel più breve tempo possibile. Una precisa strategia di approccio in più è l’aiuto da parte dell’atleta che, secondo il fondamento della tecnica passivattiva “viene coinvolto nel processo aumentando la propriocezione, per opera del fuso muscolare e dei recettori di stiramento, e permettendo all’operatore di sentire con facilità quale livello di mio-fascia è stato agganciato”(T. Myers) (19).

FIG. 5 – Scollamento del m. Elevatore della Scapola dai mm. Romboidi; la direzione di release segue la spina della scapola. Per una maggior efficacia e in “passivattiva” si chiede all’atleta una leggera spinta con la fronte del capo sul torace dell’operatore. Questa tecnica permette di sentire molto bene il “popping” del release e la mobilizzazione mio-fasciale.

FIG. 5a – Area anatomica interessata

FIG. 6 – Uguale lavoro ma con differenti “tools” per un diverso grado di profondità richiesta.
L’operatore cambia la posizione della scapola per variare la condizione dei muscoli interessati; per lo stesso scopo l’atleta modifica la posizione del capo, lavorando sempre sopra l’area anatomica interessata.

FIG. 7 – Lavoro di allungamento per i mm. Romboidi e trattamento della fascia scapolare
variando passivamente la posizione del braccio.

FIG. 8 – La stessa tecnica con il movimento attivo dell’atleta.

FIG. 9 – Area anatomica interessata

FIG. 10 – Scollamento dei bordi del m. Sottoscapolare dal m. G. Dentato per il ripristino
del fisiologico scorrimento della scapola sulla cassa toracica. Con tale manualità
si ottiene anche un discreto release per la fascia scapolare. Nel disegno a lato l’area
anatomica interessata.

FIG. 11 – Manualità di “twist&roll” per la Clavicola ed espansioni mio-fasciali collegate.
Operare nelle varie posizioni della spalla, avamposta/retroposta sia in statica che in movimento.

FIG. 12 – Area anatomica interessata

FIG. 13 – Variante supina della precedente manipolazione. In questo caso chiediamo all’atleta
di far scivolare la spalla dal basso verso l’alto e viceversa, sulla tavola da massaggio.
Nella FIG. 12, in blu l’area anatomica interessata.

FIG. 14 – Tecnica di “twist & roll” per il m. Sternocleidomastoideo. L’operatore o l’atleta modulano il grado di contrazione/allungamento con la torsione del capo.

FIG. 15 – Manualità di scollamento per il mm. Grande e Piccolo Pettorale e manipolazione del Legamento Ascellare, con varie aperture del braccio. Nella FIG. 12, in verde l’area anatomica interessata.

FIG. 16 – Scollamento per mm. G. Dorsale, Rotondi, Sottospinoso. Variare la posizione del braccio.

FIG. 17 – Area anatomica interessata

FIG. 18 – La stessa tecnica con tools differenti in base al risultato del release voluto o della struttura muscolare dell’atleta. Nella FIG. 17 l’area anatomica interessata.

FIG. 19 – Il tratto toraco-lombo-sacrale mostrato nella figura, presenta una vasta aponeurosi e molte espansioni mio-fasciali. Prima di eseguire manualità di scollamento, è utile il riscaldamento di quest’area.

FIG. 20 – Warm-up dell’area toraco-lombo-sacrale. Frizioni lente e profonde per alcuni minuti, inducono una plasticità tissutale utile poi per i lavori successivi.

FIG. 21 – Lo stesso vale per i lavori sulle ali iliache, ricche d’inserzioni e aponevrosi. A sinistra un esempio di lavoro per la SIPS, a destra anche per la SIAS dove la tecnica per una maggior efficacia sfrutta la “decoptazione” del tratto lombare sia per l’effetto gravità della gamba in caduta, sia della torsione del tronco stabilizzata dalla mano dell’atleta sul bordo della tavola.

FIG. 22 – Area anatomica interessata

FIG. 23 – Il lavoro procede con dei trust per lo scollamento del m. Piriforme per allentare l’articolazione sacroiliaca (SI).

FIG. 24 – Trattamento che completa la parte SI con il release dell’articolazione tramite la parte ulnare dell’avambraccio che s’insedia tra le due strutture ossee. La tecnica di rilascio e la mobilizzazione della SI avvengono con la sincronia dell’escursione del braccio dell’operatore e del movimento di aggancio gomito-caviglia.

FIG. 25 – Area anatomica interessata

FIG. 26 – Trattamento di “deep friction” per il legamento ileo lombare (LIL). Molto spesso il dolore del tratto lombosacrale può essere causato dal sovraccarico funzionale sull’inserzione del LIL sulla cresta iliaca. La tecnica di frizione trasversale eseguita con il tool desiderato, tende “a mobilizzare i piani cutanei e sottocutanei su quelli tendinei, fasciali e aponevrotici …” (20).

FIG. 27 – Area anatomica interessata

FIG. 28 – Manualità di scollamento e twist & roll per m. Bicipite Brachiale. Sfruttare tutto il ROM articolare in passivattiva.

FIG. 29 – Scollamento mm. Bicipite e Tricipite Brachiale.

FIG. 30 – Uguale finalità della precedente ma con la messa in stretch del braccio. L’operatore varia l’intensità di allungamento modulando la pressione esercitata con il ginocchio sul palmo dell’atleta.

FIG. 31 – Tecnica di scollamento per i tendini flessori di polso e dita. Le dita dell’operatore sul dorso dell’avambraccio manipolano i muscoli estensori. L’operatore varia l’intensità di allungamento modulando la pressione esercitata con il ginocchio sul palmo dell’atleta. Le ultime due foto mostrano l’uso della tecnica “stripping” sul lato palmare dell’avambraccio.

FIG. 32 – Area anatomica interessata

FIG. 33 – Test del terzo dito, per controllare il grado di release dei m. estensori. Con una pressione in “deep friction” sul m. Estensore del terzo dito si controlla l’eventuale estensione del dito singolarmente. In caso negativo si esegue uno scollamento centrifugo sui muscoli estensori (nella FIG. 32 l’area anatomica interessata).

FIG. 34 – Manualità smile per lo scollamento e mobilizzazione per i tendini dei mm. estensori. Separazione dei due tendini del pollice chiedendo all’atleta l’estensione attiva; il loro eventuale scollamento va eseguito con il pollice in scarico. Tali manipolazioni producono il caratteristico “popping”. Nella figura l’area interessata.

TAPING KINESIOLOGICO

Grazie ai consigli di Rosario Bellia, Fisioterapista della Nazionale Italiana della F.I.H.P, docente e sperimentatore della tecnica e dell’uso del taping kinesiologico®, ho potuto verificare la grande potenzialità di questa metodica, oltre che nella prevenzione (con fine di sostegno/contenzione), anche per il grande supporto che il kinesio taping può esercitare dopo uno “scollamento mio-fasciale”. Grazie alle proprietà del nastro e alle sue convoluzioni, lo stato di release ottenuto con la manipolazione viene mantenuto più a lungo nel tempo con un maggior beneficio dell’atleta.

FIG. 35 – Nella prevenzione o per la fase di “riatletizzazione”, ove richiesto dal caso, si può utilizzare il taping kinesiologico®

RINGRAZIAMENTI …
Un grazie a queste persone per me straordinarie: Rosario Bellia, Maurizio Casciotti, Gianni Chetta, Lorenzo Crippa, Erik Dalton, Federico Polimene, Art Riggs, Luigi e Antonio Stecco.
Un caro ringraziamento anche a Piera e Massimo della COBRAGYM di Seregno, per la disponibilità nel concedermi l’utilizzo delle attrezzature della palestra per i miei test.

… e DEDICA
Questa seconda e conclusiva trattazione della tecnica “passivattiva” è una personale dedica di ringraziamento per tutti i ricercatori e gli scienziati che si occupano di fisiologia, anatomia e biomeccanica umana. Il loro contributo per noi operatori sportivi è la base di partenza per rendere sempre più mirate ed efficaci le nostre tecniche e manualità applicate allo sport. Grazie alle loro ricerche possiamo trovare spiegazioni utili a scientificamente gli effetti che le nostre manipolazioni, massaggi e applicazioni hanno sul corpo umano, migliorando la prestazione sportiva di un atleta. Di solito quando si parla di ambito sportivo si fa quasi esclusivamente riferimento alle figure di specialista in medicina dello sport, ortopedico, osteopata, fisioterapista, massaggiatore, preparatore etc., ma poche volte si menzionano coloro che svolgono l’oscuro lavoro di ricerca di base.

Vorrei ricordare qualcuna di queste straordinarie persone: Antonio Dal Monte, William Gibson, Serge Gracovetsky, Robert Schleip, David Simons, Carla Stecco … per ribadire la stima e la riconoscenza nei loro confronti e ringraziarli ancora per le loro ricerche e divulgazioni, fondamenta e pilastri per tutti gli operatori sportivi.

Un grazie grande così …

BIBLIOGRAFIA

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Maurizio Ronchi

Docente nei corsi di Massaggio Sport TIBodyworks – ASSOTIB
Associazione Manipolazione Fasciale
Massaggiatore F.I.R. – FERERAZIONE ITALIANA RUGBY
Associazione Italiana Taping Kinesiologico®
Istruttore FIDAL
Istruttore postura MBT

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