Parliamo di Sport

IL PIEDE E IL CICLISMO

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Claudio Gallozzi

Molto spesso si sottovaluta l’importanza che ha il piede nella pratica dello sport.
Questo è, invece, un organo assai complesso costituito da un numeroso insieme di ossa, articolazioni, legamenti, muscoli e tendini. Ha, inoltre, una estesa rappresentazione a livello della corteccia cerebrale con suddivisione in diverse aree sedi, probabilmente, di meccanismi diversi.

GLI ARCHI DEL PIEDE

FORZE CHE CONCORRONO ALLA FORMAZIONE DELLA VOLTA LONGITUDINALE

Tra i compiti principali del piede c’è quello di informare sulla natura del terreno sul quale viene ad operare attraverso le vie sensitive tattile e “propriocettiva”. Questa funzione risulta estremamente importante in quanto rappresenta uno degli elementi principali di salvaguardia della sua integrità e di quella, più in generale, di tutto l’apparato locomotore.
La “conoscenza” della superficie di appoggio, infatti, costituisce un elemento modulatore dell’azione muscolare che consente il mantenimento dell’equilibrio e la deambulazione.

ANALISI DEL PASSO

Anche dal punto di vista biomeccanico, la funzione del piede è essenziale in quanto, oltre che rappresentare il tramite con la superficie di appoggio del nostro corpo, funziona come una sorta di ammortizzatore biologico capace di assorbire l’energia meccanica generata nell’impatto con il terreno, immagazzinarne parte sotto forma di energia elastica, trasmettere, nella fase di spinta, la forza generata dai muscoli.
Appare quindi evidente che qualsiasi causa che venga ad alterare questa struttura morfo-funzionale così complessa possa determinare importanti conseguenze.
In ambito prettamente sportivo, queste possono riguardare una diminuzione del rendimento meccanico nell’esecuzione di molti gesti tecnici.
Dal punto di vista medico, invece, una alterazione dell’appoggio può rappresentare causa o concausa di eventi patologici riguardanti il piede stesso o strutture diverse anche ad esso non collegate, come ginocchia, bacino e colonna vertebrale. In tale ottica, il ciclismo merita alcune considerazioni particolari.
Nella dinamica della pedalata, infatti, ciascuna articolazione e segmento scheletrico coinvolti ricoprono una specifica funzione che si differenzia nettamente da quelle ricoperte nella deambulazione e nella maggior parte dei movimenti sportivi.
L’azione dell’apparato locomotore, infatti, è tutta orientata a trasmettere energia al mezzo meccanico con modalità assai diverse rispetto a quelle utilizzate, ad esempio, nell’eseguire un passo di corsa, un salto o un lancio.
L’azione è ciclica e perfettamente ripetitiva, in quanto il mezzo, perfettamente simmetrico, costringe ad eseguire movimenti caratterizzati dal ripetersi di medesime traiettorie ed escursioni angolari.
Nell’ambito della specificità della dinamica della pedalata, al piede spetta un funzione molto importante: quella cioè di trasmettere la forza esercitata dalle catene muscolari dell’arto inferiore al pedale.
Spesso si tratta di forze molto elevate, pensiamo alle improvvise accelerazioni o agli “strappi” in salita, ma, soprattutto, di carichi che si ripetono un numero elevatissimo di volte nel tempo.
Un atleta che percorre 30.000 chilometri l’anno esegue circa cinque milioni di cicli di pedalata!!!
Ciò significa che errori legati a regolazioni della bicicletta o la presenza di alterazioni anatomico-funzionali dell’organo possono, determinare gravi problemi legati al rendimento del gesto e, ancor peggio, allo stato di salute dell’apparato locomotore.
Entrando nel merito, il primo elemento che vorrei sottolineare riguarda il fatto che l’azione di trasferimento dell’energia meccanica al pedale avviene attraverso una ristretta area di rappresentazione dell’impronta del piede.
Mentre nell’esecuzione della maggior parte delle azioni sportive viene utilizzata gran parte della pianta, all’interno dello scarpino invece, come dimostrano molti rilievi scientifici, la maggior parte della spinta è concentrata in una piccola zona corrispondente, con buona approssimazione, alle cinque teste metatarsali (arco anteriore trasverso) ed a parte dell’alluce. Questo è certamente un elemento importante da considerare per due motivi.
Il primo riguarda il fatto che la concentrazione del carico su una superficie ridotta può favorire l’insorgenza di patologie da sovraccarico a carico delle strutture anatomiche sovrastanti come le frequenti e dolorose metatarsalgie complicate, talvolta, dall’interessamento anche dei rami nervosi che decorrono in quelle zone.
Il secondo ha una valenza di tipo biomeccanico: l’area di pressione, infatti, per essere più efficace deve essere prossima al pedale, in altri termini il centro di spinta all’interno dello scarpino deve essere il più possibile vicino alla proiezione verticale dell’asse del pedale. Ogni piccolo errore di posizionamento determina, infatti, perdita di parte dell’energia meccanica che deve essere trasferita alla pedivella e un lavoro supplementare da parte della muscolatura per stabilizzare l’articolazione.
La regolazione corretta delle tacchette è quindi essenziale in tal senso. Tuttavia, malgrado le varie modalità riportate dalle case costruttrici, dai manuali di tecnica e dalle riviste specializzate, ritengo che il problema non sia di facile soluzione.
Ciò per il motivo che è difficile tener conto di tutte le variabili anatomiche proprie del piede e, come se non bastasse, della possibile presenza di paramorfismi come il piede “piatto”, “cavo”, “valgo”, “varo” (vedi oltre) che possono variare la localizzazione del centro di spinta.
È chiaro, quindi, che si cercherà, di volta in volta, attraverso i vari metodi proposti, di raggiungere il miglior risultato possibile anche se, a mio avviso, è necessario verificarne l’esattezza, in allenamento, affidandosi alle sensazioni percepite nella spinta ed agli effetti generali sull’efficienza dell’azione di pedalata.
Abbiamo accennato al fatto che il piede presenta frequentemente delle alterazioni della sua morfologia e della sua funzione, dette paramorfismi, come il “valgismo” o il “varismo”.
Tali anomalie anatomico-funzionali hanno una grande importanza nell’esecuzione del gesto ciclistico e sono una delle cause più frequenti di alterazioni della postura in bicicletta. Vediamo perchè.
Prendiamo, ad esempio, il piede “valgo”. Questo è caratterizzato da un cedimento (verso l’interno) del retropiede che determina una scarsa stabilità dell’articolazione della caviglia nel movimento di flesso-estensione.
Il piede valgo durante le fasi della pedalata si comporta in modo assai caratteristico. Esso, infatti, presenta un tipico cedimento in flessione dorsale durante la fase di spinta a causa della sua instabilità e della difficoltà, quindi, di contrastare efficacemente l’azione dei muscoli estensori dell’arto inferiore impegnati in questa fase che, ricordiamo, essere molto più potenti di quelli che sostengono il piede.
Il fenomeno è ovviamente negativo in termini di rendimento, ma purtroppo determina altre pericolose conseguenze sull’apparato locomotore.
Il cedimento in flessione dorsale della caviglia è, infatti, accompagnato generalmente da una intrarotazione dell’arto in toto cui consegue perdita di assialità nel movimento di estensione (il ginocchio si avvicina al telaio durante la fase di spinta: valgismo dinamico), rotazione ed inclinazione del bacino (anche per azione della spinta della testa femorale all’interno dell’acetabolo).
In pratica, un eccesso di pronazione del piede diventa causa di alterazioni posturali di tutto l’apparato locomotore con possibile insorgenza di patologie da sovraccarico a livello articolare, tendineo, legamentoso e addirittura della colonna vertebrale.
Molto spesso problematiche di questo tipo non vengono interpretate correttamente ed i vari interventi che vengono effettuati (rialzi, regolazioni del mezzo fino al fatidico cambio del telaio! …) non ottengono il risultato sperato nel riequilibrio dell’atleta.
Cosa fare allora? C’è soluzione a questi problemi? Certamente sì.
Non vorrei sembrare esagerato, ma credo di poter affermare che quasi tutti i problemi legati a deficit anatomici e funzionali del piede possono essere risolti o decisamente migliorati e, per tale motivo, molte alterazioni di posizione e di dinamica di esecuzione del gesto tecnico possono essere risolte.
Si tratta, innanzi tutto, di effettuare una corretta valutazione del problema dal punto di vista clinico e biomeccanico utilizzando, quando possibile, sistemi di analisi della pedalata e dell’appoggio plantare.

BAROPODOMETRIA DINAMICA

Una volta effettuata la diagnosi, il piede può essere corretto e quindi stabilizzato con l’uso di idonee ortesi plantari o lavorando all’interno dello scarpino mediante l’inserimento di cunei pronatori o supinatori. Questi non sono altro che piccoli spessori cuneiformi inseriti nei punti opportuni (soprattutto a livello delle teste metatarsali) che funzionano ne più ne meno come il classico libro infilato sotto la zampa di un tavolo traballante nel tentativo di stabilizzarlo.
Tale operazione, tuttavia, deve essere effettuata da persona esperta poiché spessori di soli 1-2 mm determinano effetti sorprendenti sulla dinamica di tutto l’apparato locomotore.
Data la difficoltà di questo tipo di approccio, si ricorre, quindi, più facilmente all’adozione di “plantari”.
È bene, a tal proposito, sottolineare alcuni aspetti che riguardano uno dei presidi terapeutici più discussi in ambito ortopedico. Il plantare utilizzato dal ciclista deve avere caratteristiche di correzione o compensazione del tutto peculiari. In altri termini un plantare costruito per migliorare l’appoggio nella stazione eretta, nel cammino o nella corsa non può avere gli stessi risultati nell’esecuzione della pedalata. Il motivo si desume da quanto fin qui esposto.
Dato che i plantari utilizzati per camminare intervengono prevalentemente sulla correzione e stabilizzazione del retropiede e talvolta a livello dell’arco plantare, questi non possono essere idonei per il ciclista in quanto i distretti sollecitati dal punto di vista meccanico nella pedalata sono, come abbiamo visto, completamente diversi.
Il plantare per uso ciclistico deve agire, infatti, lì dove si concentra la spinta e quindi agire a livello dell’arco plantare anteriore.
Sul piede si potrebbe scrivere molto ancora. Mi fermo qui con la speranza di aver posto l’attenzione su un organo al quale, in campo ciclistico, solamente in pochi riconoscono la dovuta importanza.

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